Il 17 settembre 2022 ha inaugurato presso lo Studio Iannaccone di Milano, con la mostra Caos Calmo dei giovani Chiara Di Luca e Aronne Pleuteri, l’ottava edizione del progetto In pratica che offre ad artisti emergenti la possibilità di esporre attraverso un processo simile alla “pratica” che svolgono i giovani avvocati. Per la prima volta i giovani artisti scelti, però, hanno dovuto dividere lo spazio e dialogare con le opere della collezione degli anni Trenta di Giuseppe Iannaccone che, in questa intervista, ci racconta da dove è nata l’idea e quali sono gli sforzi per promuovere i giovani che si affacciano in questo difficile mondo. La collezione di Giuseppe Iannaccone, stimato avvocato milanese, è nata da un sogno e da una sfida personale. Il sogno di creare uno spazio ricco di opere dei suoi amatissimi anni Trenta che comprende grandi nomi quali Aligi Sassu, Scipione Bonichi e Renato Guttuso. E la personalissima sfida di unire, ad essi, nuovi artisti emergenti creando uno spazio in continuo dialogo, che non fa altro che dimostrare come due epoche apparentemente distanti e incompatibili, siano estremamente simili. Il progetto In pratica, volto a mettere in relazione questi due mondi, nasce nel 2015. L’attuale mostra Caos Calmo è curata da Giuseppe Iannaccone, Daniele Fenaroli e Gloria Vergani.
FG. Lei è uno stimato avvocato che ha fondato l’omonimo studio legale. Ecco, quali sono state le tappe che l’hanno condotta a prendere la decisione di diventare un mecenate e collezionista d’arte?
GI. Ho iniziato il lavoro di avvocato a 27 anni, non avevo nessun cliente, solo una passione divorante per la mia professione. È andato bene, fin troppo bene e sembrava di vivere una fiaba. Ho poi vissuto una fase, nella mia esperienza personale, con un po’ di angoscia, un’ansia che ho creduto di vincere staccandomi un po’ dai pensieri della professione e ho ritrovato l’arte. Ha funzionato benissimo. Tant’è vero che continuo a comprare libri d’arte e studiare. Quando ho avuto le possibilità, anche comprare l’arte mi ha donato grande serenità e forza per affrontare le difficoltà della professione. L’arte è diventata una compagna, è un matrimonio indissolubile che non ha crisi.
La Sua collezione, nata dalla grande passione per l’arte fra le due guerre, negli anni è stata ampliata aggiungendo opere d’ arte contemporanea diventando una commistione fra due epoche totalmente differenti. Come coesistono fra loro queste due anime? E come è nata la passione per l’arte di giovani artisti e artiste?
Compro tutto ciò che mi piace. Ho iniziato con una collezione degli anni Trenta e poi, con grande continuità, si è aggiunta quella contemporanea. Ricerco emozioni e non le considero due collezioni separate, ma un’unica raccolta perché una rappresenta le radici e l’altra rappresenta i fiori, ma è un’unica pianta che continua a germogliare. Le emozioni che mi infondono artisti come Birolli e Scipione sono coincidenti con le emozioni che mi fanno provare gli artisti contemporanei. Provare a creare una collezione con artisti giovani, diciamo che è stata una sfida. È una caratteristica del mio carattere, quella di mettermi sempre in discussione e mi ritengo il più feroce critico di me stesso, quindi, nel momento in cui cercavo e compravo arte degli anni Trenta mi dicevo “devi stimolarti di più e guardare la contemporaneità”. È stata una sfida con me stesso. E proprio da questa sfida, mi sono accorto della meraviglia che è l’arte contemporanea. La sfida più grande per un collezionista è quella di individuare quegli artisti che rimarranno nella storia e non quegli artisti che avranno più valore.
Nel sito della galleria ha raccontato come preferisca avere un capolavoro di un artista meno conosciuto piuttosto che un’opera minore di un maestro. Quali sono le opere o l’opera che ha più a cuore?
L’ho sempre pensato e lo penserò sempre. Non si scrive la storia per i nomi degli artisti, si scrive la storia in funzione delle opere che hanno segnato le vicende artistiche di un determinato periodo. Sono i capolavori che fanno la storia dell’arte, non i nomi degli artisti. Nella mia collezione voglio solo capolavori e, soprattutto, ho bisogno di opere che mi emozionino. Il nome dell’artista mi importa relativamente. Sono disposto a spendere anche di più del valore di mercato pur di avere il capolavoro perché è quello che rimane per sempre, tutto il resto scompare. Non ho un’opera in particolare che mi sta più a cuore di altre perché mi sono tutte necessarie. Certo, ci sono opere, come quelle di Scipione che mi commuovono un po’ di più. Quando sono dinnanzi a una sua opera, mi scopro a pensare e a provare un’immensa tenerezza.
Nelle mostre precedenti i giovani artisti si confrontavano con quelli a loro contemporanei e per la prima volta sono stati invitati a relazionarsi con le Sue opere degli anni Trenta. Come è nata questa idea?
Il confronto è nato da una mia convinzione di sempre. Arte degli anni Trenta e arte contemporanea, sono in realtà, in strettissima relazione. Non ho voluto soltanto sfidare i giovani artisti mettendoli a confronto con gli altri ma ho voluto rivendicare la qualità degli anni Trenta e dimostrare quante similitudini ci siano in questi due precisi momenti storici.
Vista la sua stima e ricerca di giovani artisti, può raccontarci come cerca di promuoverli?
Cerco di promuoverli, non solo dando loro il mio spazio per esporre le opere, ma anche, provando a farli conoscere e notare da un pubblico più vasto possibile, anche tramite mostre in spazi pubblici, senza mai prestarli alle gallerie private. Recentemente, per esempio, ho comprato un quadro in America e l’ho lasciato alla galleria per consentire la sua visione a un pubblico più vasto. Offro ai giovani una sorta di cassa di risonanza e aiuto loro a prendere il treno che passa. Per esempio, lo scorso anno ho ideato una mostra in una chiesa a Corniglia di una giovane artista, Iva Lulashi, che ha avuto un grandissimo successo e ne hanno parlato molti giornali. Le iniziative per diffondere e promuovere i giovani artisti, ci saranno sempre da parte mia e sono motivo di grande orgoglio.
Lei ha raccontato che la Collezione Giuseppe Iannaccone è un “contenitore di racconti, uno sguardo sul mondo e uno straordinario documento del presente”. Come trova l’opera giusta? Quali sono, le caratteristiche che deve avere un’opera d’arte per entrare nella sua collezione?
Io non guardo tutta l’arte contemporanea, ma solo quegli artisti che esprimono questa emotività, questa passionalità, quest’essenza dell’essere umano di cui ho bisogno. È come un eterno abbraccio di umanità. E sono questi gli artisti che ricerco, quelli che mi emozionano e che ritengo meritevoli di avere quel famoso posto nella storia dell’arte. Cerco pezzo per pezzo. A un collezionista morto, capita che facciano una mostra della sua collezione, quindi che a un collezionista vivo, abbiano fatto sei mostre è un grandissimo orgoglio.
Quali le prospettive, le previsioni e gli auspici per il futuro? Della collezione e dei giovani artisti?
Vorrei che la collezione contemporanea sia conosciuta come lo è quella degli anni Trenta e che la realtà internazionale possa avere una sua esibizione pubblica e la faccia conoscere. Per quella degli anni Trenta, invece, ho un sogno nel cassetto che è un’esposizione permanente nella città di Milano. Credo che questa sia una collezione che racconta un pezzo importante della storia degli italiani e quindi dovrebbe essere a disposizione dei cittadini. Spero sinceramente di riuscire, ci sto lavorando molto.