Giulio Paolini: “Il destino dell'arte oggi? Essere astratta rispetto a una realtà incalzante”


Giulio Paolini è il vincitore del Praemium Imperiale 2022, terzo italiano nella storia a vincere il premio, dopo Enrico Castellani e Michelangelo Pistoletto. Durante l’annuncio ha espresso alcune considerazioni sul ruolo dell’arte. Abbiamo voluto approfondire in questa conversazione.

Il 15 settembre, nei sontuosi spazi dell’Hotel Westin Excelsior di Roma, sono stati comunicati, in contemporanea con altre cinque città (Parigi, Londra, Berlino, Tokyo, New York), i nomi dei vincitori del Praemium Imperiale, prestigioso riconoscimento, tra i più importanti premi per gli artisti contemporanei di cinque discipline artistiche: pittura, scultura, architettura, musica e teatro/film. Al vincitore spettano 15 milioni di yen (circa 105.0000 di euro) e una medaglia, che verrà consegnata durante una cerimonia in Giappone il prossimo ottobre. Il premio nel corso della sua storia ha insignito grandi personalità: Willem De Kooning, Jasper Johns, David Hockney, Anselm Kiefer, Renzo Piano, Martin Scorsese e Riccardo Muti, solo per citarne alcuni.

Giulio Paolini nel suo studio a Torino nel 2022, con il suo collage Senza titolo (2015). © The Japan Art Association / archivio Paola Ghirotti
Giulio Paolini nel suo studio a Torino nel 2022, con il suo collage Senza titolo (2015). © The Japan Art Association / archivio Paola Ghirotti
Giulio Paolini, Disegno Geometrico (1960). © Giulio Paolini. Foto di Mario Sarotto, su gentile concessione di Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino
Giulio Paolini, Disegno Geometrico (1960). © Giulio Paolini. Foto di Mario Sarotto, su gentile concessione di Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Gli artisti vengono scelti da un comitato di personalità illustri, tra cui Yasuhiro Nakasone, William Luers, François Pinault, Chris Patten e Klaus-Dieter Lehmann e Ilary Clinton. Completa il consiglio anche Lamberto Dini, che proprio nelle sale dell’Hotel di via Veneto oltre ad annunciare i vincitori per le varie discipline, ha presentato l’artista premiato per la pittura, che quest’anno è un pittore italiano. L’ultimo tra gli artisti italiani a vincerlo fu Giuseppe Penone nel 2014 premiato per la scultura, mentre è dell’anno precedente l’ultimo pittore italiano premiato; infatti, nel 2013 il riconoscimento toccò a Michelangelo Pistoletto, che fu solamente il secondo italiano a vincerlo, dopo Castellani.

A questi, si va ora ad aggiungere Giulio Paolini, vincitore del Praemium Imperiale 2022. Il nome dell’artista, secondo quanto riferito da Dini, è stato fortemente sostenuto dal comitato italiano da numerosi anni. Paolini, nato a Genova nel 1940, si indirizza verso l’arte concettuale e ancora giovanissimo partecipò a numerose esposizioni del gruppo dell’Arte Povera, movimento promosso dal critico Germano Celant. Ma rispetto a quel manipolo di artisti piemontesi, Paolini mantenne una propria originale ricerca che lo allontanava dalle tendenze poveriste. Paolini ha preso parte a numerose occasioni espositive tra le più rinomate, con svariate partecipazioni alla Biennale di Venezia, alla Documenta di Kassel, alla Biennale di San Paolo, a quella di Parigi, oltre che a diverse mostre collettive e personali in alcuni dei musei più importanti del mondo. Una lunga e prolifica attività espositiva che conferma come Giulio Paolini, si inscriva giustamente tra i maestri più influenti del panorama italiano e non solo, e che vede nel Praemium Imperiale un ulteriore riconoscimento.

Durante la cerimonia di proclamazione Paolini, prima di prestarsi alle domande della stampa, ha tenuto a ricordare il regista francese Jean-Luc Godard, scomparso pochi giorni fa, anch’egli vincitore del premio nel 2002, che è sempre stato uno dei suoi importanti riferimenti, insieme a Wim Wenders, vincitore fresco di nomina del Premium per la categoria cinema. L’artista, che ha recentemente chiuso la mostra Quando il presente presso il Museo del Novecento di Firenze, ha svelato alcuni suoi progetti futuri: “Sto preparando una mostra, una personale, che si terrà all’Accademia di San Luca a Roma, e che mi onora e mi impegna intensamente”, ha dichiarato. “La mostra avrà come punto di riferimento l’idea e la storia intorno al concetto di accademia. Con tutte le incertezze che la questione implica, vorrei attraverso le opere dare un contributo a quello che è un termine un po’ in disuso, del passato, che andrebbe riscoperto e ripraticato”. Sarà quindi la storica realtà fondata da Federico Zuccari nel 1593 a ospitare il prossimo progetto espositivo di Paolini, che intende mettere al centro delle sue riflessioni l’istituzione che per secoli è stata tappa obbligata del percorso formativo degli artisti, per poi essere fortemente criticata ed esautorata dagli artisti contemporanei. “La scelta di soffermarsi sull’idea di accademia è consapevole di essere un po’ anacronistica, forse fuori luogo”, ha spiegato Paolini “L’arte oggi è attirata e riferita a nuove tecniche di comunicazione, e l’accademia è quasi un dato archeologico. Ma non sepolto. Va, come tutti i reperti archeologici, riconosciuto e quantomeno ridiscusso. Secondo me c’è una potenzialità diversa dal passato, ma può rigenerarsi in questo terreno così arduo e specialistico come l’arte, perché non provarci?”.

Giulio Paolini, Anni-luce (2000-2001; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea). Su gentile concessione di Giulio e Anna  Paolini, Torino
Giulio Paolini, Anni-luce (2000-2001; Torino, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea). Su gentile concessione di Giulio e Anna Paolini, Torino
Giulio Paolini, Mimesi (1975-1976). © Giulio Paolini. Su gentile concessione di Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino
Giulio Paolini, Mimesi (1975-1976). © Giulio Paolini. Su gentile concessione di

La scelta di confrontarsi con l’accademia, con le regole e i canoni è secondo Paolini un passaggio che contraddistingue spesso la carriera di molti artisti. Già Giorgio De Chirico passò da una pittura spoglia ed essenziale come quella dei suoi quadri metafisici, a una pittura almeno, volutamente perfetta, grondante di mestiere e di conoscenze. “Da una nudità essenziale, si arriva a una ricerca impaziente di ricchezza”. E anche Paolini stesso avverte che le opere giovanili, caratterizzate da una vocazione essenziale e concentrata, hanno con la tarda età demandato parte di quel rigore per “arricchirsi e in qualche maniera, compiacersi”.

L’accademia, del resto, si inscrive nella personale ricerca che impegna Paolini fino dagli albori della sua produzione. L’artista ha infatti fatto della riflessione sull’alfabeto dell’arte la sua personale cifra stilistica. Indagando in maniera analitica numerose delle sue componenti, dagli elementi costitutivi del quadro, agli strumenti del processo artistico, i meccanismi della fruizione e dell’esposizione, fino agli spazi della rappresentazione, spingendo poi questo serrato confronto continuamente a contatto con la grande storia dell’arte occidentale.

E proprio sul ruolo del fruitore d’arte, Paolini ha espresso la sua opinione: “Voglio rispondere prendendo la parola dell’arte e non dell’artista. L’arte, se posso parlare a suo nome, non si preoccupa dell’osservatore, l’arte non osserva, l’osservazione è a senso unico, è lo spettatore che la guarda. Nella mia idea, l’arte non ha nessun obbligo, va per conto suo. L’arte è oltre quella porta, non ci ascolta né si interessa a noi”. L’artista ha poi spiegato la sua idea sulla natura dell’arte stessa: “Essa ha un suo corso che è autonomo, questo lo credo fermamente. L’arte guarda soprattutto sé stessa e la sua storia. Dice presunzioni su un futuro che ancora non c’è, ma che comunque la riguarda. Certamente, il linguaggio dell’arte è collegato alla vita e al mondo, ma mantiene sempre una memoria e una sua prospettiva, che sono un po’ scettiche alle cose che viviamo e che vediamo ogni giorno. La tentazione dell’arte come linguaggio è quella di penetrare sé stessa, cogliere gli aspetti più impliciti e non le manifestazioni più esplicite”.

Sollecitato sulla discussione attorno al mercato dell’arte, Paolini ritiene che servirebbe un dibattito a più voci, ma di sicuro il mercato “non è un demonio come qualcuno sembra portato a definirlo. Certo è una questione molto suscettibile di influenze e variazioni gratuite”. L’artista preferisce non occuparsene, poiché estremamente instabile, e non vuole prendere una posizione a riguardo né demonizzandolo né credendo che sia una verità assoluta, poiché, come tutto oggi, è suscettibile a diverse varianti, colpi di scena e complicazioni. Si interroga invece sulla corrispondenza tra le quotazioni e il valore di un artista, quest’ultimo a suo parere non valutabile: “Il mercato ci sovrasta, ma non solo quello dell’arte”. Al termine della conferenza stampa abbiamo avuto l’opportunità di approfondire alcune tematiche con l’artista, che ringraziamo per la disponibilità e per la generosità nelle risposte.

JS. Ha appena vinto il prestigioso premio promosso dalla Japan Art Association, in proposito pensa che la sua produzione mostri una certa consonanza con le filosofie orientali, dopo che nel corso della sua lunga carriera ha indagato con le sue opere approfonditamente la dimensione spirituale, evocando spazi meditativi e silenziosi?

GP. La mia inclinazione d’autore è sempre stata un po’ slegata dalle cose del mondo, per dedicarsi piuttosto a quelle di un mondo altro; l’immaginazione, ad esempio, che pervade l’anima di ogni artista. In questo senso faccio un po’ da contrappeso al vincitore del premio per la scultura, Ai Weiwei, che invece è tutto proteso a testimoniare la sua vita personale.

Lei ha vinto il premio per la pittura, nonostante poi abbia ampiamente esplorato tecniche e medium diversi, la pittura nel corso della storia dell’arte ha coperto per lunghi periodi il ruolo preminente tra le arti, dettando spesso disposizioni alle altre che si affrettavano a seguirla. Ma oggi qual è la situazione della pittura nell’arte contemporanea? Ha sempre un ruolo di supremazia o di subalternità?

Bisogna intenderci sul termine pittura. Se intendiamo pittura come uso del pennello e quindi l’attuazione di qualcosa di disegnato o dipinto sulla superficie, certamente in questo senso il termine pittura è messo in discussione, e non solo da oggi. Perché ha ceduto l’iniziativa a tecniche diverse, ad atteggiamenti a volte contraddittori. Se invece intendiamo per pittura in generale l’arte visiva, che include a questo punto anche scultura, fotografia e cinema, perché le arti visive si sono apparentate in diverse declinazioni, io credo che questi diversi modi confluiscano in una sorta di destino e funzione comune, che è quella di essere particolarmente astratta rispetto a una realtà che è sempre più incalzante e che sembra esprimersi piuttosto attraverso pubblicità e media. La pittura invece, tende a un distacco che la porta sempre più vicina alle sue radici linguistiche più che alle apparenze oggettive della vita.

Giulio Paolini nel suo studio a Torino, 2022 © The Japan Art Association / archivio Paola Ghirotti
Giulio Paolini nel suo studio a Torino, 2022 © The Japan Art Association / archivio Paola Ghirotti
Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967) © Giulio Paolini. Su gentile concessione di Fondazione Giulio e Anna  Paolini, Torino
Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967) © Giulio Paolini. Su gentile concessione di Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Durante la sua produzione si è spesso confrontato con un dialogo interrotto con la storia dell’arte, senza però abbandonarsi al facile citazionismo, in cui si rifugiano spesso oggi gli artisti contemporanei, quasi a voler esibire un pedigree, a legittimare la propria azione. Come valuta questa tendenza?

Attenzione, quando dico che l’arte si rigenera in sé stessa, non è grazie alla citazione. La citazione è un’esibizione di omaggio o di cultura specialistica. Non deve essere una citazione palese, deve essere qualcosa di implicito. Ma in quel caso diventa difficile parlarne, il ricordo implicito è quasi invisibile, mentre la citazione è lì in bella mostra. Uno deve assorbire il ricordo dell’arte, ma non sempre è riscontrabile, altrimenti è superficiale ed epidermico, come sventolare una bandiera.

Lei ha indagato molto il ruolo dell’artista, anche dal punto di vista sociale, come è cambiata questa figura nel corso del tempo?

Il ruolo dell’artista è come quello dell’arte: si rinnova sempre in sé stesso, anche se cambia aspetto. L’artista è sempre la stessa anima che naturalmente si adegua alla vita del proprio tempo. Però, sempre di più nelle epoche a noi vicine e in quella attuale, c’è una sorta di immedesimazione da parte dell’artista nei problemi della società. Questo va benissimo ma è arduo esprimerla, e rischia di diventare un commento passivo alla realtà oppure propaganda, un terreno minato. Bisognerà forse aspettare un po’ di tempo, la giusta distanza storica.

Come valuta invece lo stato di salute del sistema arte in Italia?

Credo sia accettabile. In passato si guardava con ammirazione ai paesi del Nord Europa. La Svizzera, ad esempio, è stata indicata spesso come modello da imitare. Oggi mi sembra che questa rincorsa verso i modelli di altri paesi non esista più. Quello che invece guasta l’umore degli addetti all’arte oggi, è che stiamo spesso assistendo a una progressiva caduta negli effetti tout court, facili. Quando c’è un artista o un’opera che fa notizia bisogna andarci piano, il fare notizia secondo me, è qualcosa di aggiuntivo, ma non è l’essenza dell’opera.


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Jacopo Suggi

L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi

Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.





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