Parla Giorgio de Finis: “il MACRO Asilo? Un museo vivo, una cattedrale laica contemporanea”


Giorgio de Finis è il nuovo direttore artistico del MACRO di Roma. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare l'originale progetto MACRO Asilo.

Giorgio de Finis è stato nominato nei giorni scorsi nuovo direttore artistico del MACRO, il Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Si tratta di una notizia importante, perché Giorgio de Finis darà vita a un progetto mai sperimentato prima, che trasformerà l’istituto, come si legge nel comunicato rilasciato da Roma Capitale, in un “dispositivo nuovo che reinventa il museo, come una realtà di produzione e trasformazione culturale oltre la dimensione espositiva”. Un’idea originale e inedita per un museo come il MACRO: abbiamo raggiunto Giorgio de Finis, che ringraziamo per la disponibilità, e ci siamo fatti raccontare qualcosa nel dettaglio. Intervista a cura di Federico Giannini.

Giorgio de Finis
Giorgio de Finis. Foto di Massimo Attardi

FG: Direttore, il MACRO diventerà teatro del suo progetto “MACRO Asilo”: un museo gratuito e senza mostre, una sorta di laboratorio al quale potrà prender parte chiunque si definisca “artista”, ma anche un luogo in cui si farà ricerca e dove s’incontreranno protagonisti del mondo dell’arte contemporanea. Immagino che dovremo aspettarci un museo completamente nuovo, un programma per certi versi inedito, una rivoluzione del concetto stesso di “museo”...

GdF: Quello che mi è stato chiesto di fare, che poi corrisponde più o meno a quanto ho fatto in questi anni, è di ripensare il dispositivo museale, di provare a renderlo più interessante e non solo in termini di partecipazione, ma anche di senso. Un senso che mi pare si sia un po’ smarrito: di fatto molti dei nostri musei, soprattutto quelli che hanno dei budget abbastanza contenuti (come il MACRO, che disporrà di 400.000 euro l’anno, che serviranno per far funzionare tutta la macchina: personale, assicurazioni, pulizia), spesso e volentieri sono stati costretti a “subappaltare” la programmazione e a fare un po’ gli affittacamere. Anche per rispondere a questo tipo di problema ho intenzione di sospendere le mostre (che spesso sono costose e richiedono l’intervento della galleria che sostiene queste spese): io preferisco riportare il museo a uno spazio pubblico, anzi ho l’ambizione di farlo diventare un qualcosa che vada oltre, che sia partecipato, sentito, e in qualche modo anche indipendente. Dovrà essere, in sostanza, un progetto che si costruisce strada facendo, tutti insieme: questa è la ragione per la quale ho pensato di non fare mostre. Sarà un museo dove ovviamente l’arte entrerà (proporre un museo iconoclasta sarebbe stato molto grave per un museo di arti visive), ma in altri modi. La stessa collezione permanente sarà finalmente mostrata e resa fruibile in un modo che debba rappresentare e raccontare ciò che faremo con MACRO Asilo: sto pensando, ovviamente secondo un’ipotesi alla quale lavoreremo e che andrà sottoposta a verifiche, a una grande quadreria che tenga insieme autori anche lontani, come saranno di fatto gli artisti che parteciperanno al progetto. Il MACRO Asilo sarà un luogo dove gli artisti, anziché competere, proveranno a cooperare: anche per questo le vecchie formule saranno sospese. In sostanza vorrei far uscire il MACRO dal sistema dell’arte (o almeno ci proverò temporaneamente) per fargli giocare un altro ruolo, quello di dispositivo d’incontro tra gli artisti e la città, al di fuori di quelle che sono invece le dinamiche del sistema così come lo conosciamo, ovvero un sistema che spesso parla di mercato piuttosto che di arte.

Quanto al fatto che chiunque si definisca artista possa prender parte al progetto, terrei a specificare quest’idea, perché molti hanno timore che questa scelta possa incidere sulla qualità: MACRO Asilo sarà una macchina che avrà bisogno dell’aiuto degli artisti che lavorano sul territorio e non solo. Quindi la chiamata è aperta a coloro che di mestiere fanno gli artisti, ovvero a tutti coloro che hanno compiuto quel passaggio molto complesso che si chiama “autolegittimazione” e in seguito al quale si dichiarano artisti. Certo, potranno capitarci i “non-artisti” che si credono tali, ma questo meccanismo di apertura, che richiederà responsabilità degli artisti nei confronti di un dispositivo pubblico, collaborativo e corale, in realtà, una volta varcata la soglia, si tradurrà in un mondo molto duro e difficile per l’artista. Questo perché gli artisti si troveranno soli, nel senso che il museo non li proteggerà più: ognuno di loro dirà e farà qualcosa che qualcun altro sarà chiamato a giudicare. Non ci sarà l’ombrello o il paracadute dell’istituzione che ci fa passare per ignoranti perché una certa opera non ci dice niente o non ci piace e invece qualcun altro ha deciso che merita. L’artista, insomma, si troverà a fare i conti con un pubblico di addetti ai lavori e non: penso che questo sia anche un invito a ciascuno affinché ripensi alla propria collocazione nel mondo, nella scala gerarchica che il mondo propone. Credo insomma che il discorso della chiamata aperta sia tutt’altro che banale. Tra l’altro vorrei aggiungere che, come ricorda anche Mario Perniola nel suo libro L’arte espansa, anche Saatchi Gallery ha aperto il suo portale a tutti gli artisti del pianeta: si tratta di capire che epoca stiamo vivendo, e con un mondo invaso dagli artisti, con un mondo dell’arte che è aperto a tutti i continenti, l’idea di un direttore che faccia la selezione dei buoni e dei cattivi, di chi ha valore e chi non ha valore, penso sia falsata dai numeri. Ritengo che non esista alcun critico che conosca tutti gli artisti che operano sul territorio di Roma, per esempio. Un meccanismo del genere invece diventerebbe anche una sorta di autocensimento di tutto il territorio, e anche solo per questo motivo penso debba incuriosire.

Riflettiamo su questa entità che definiamo “pubblico”. Il MACRO Asilo sarà un qualcosa di totalmente indipendente dal sistema artistico, e quanto verrà svolto al suo interno sarà sottoposto a giudizio del pubblico. Ma da chi sarà composto questo pubblico giudicante? Parliamo della critica? Parliamo dei visitatori? Uno dei grandi problemi dell’arte contemporanea è il divario tra artisti e pubblico, un pubblico sempre più ristretto perché costretto ad aver a che fare con istituzioni e artisti che di fatto riescono a comunicare poco o niente. Mi son fatto l’idea che si potrebbe leggere il tutto secondo la prospettiva di Beuys: tutti sono artisti, nel senso che tutti partecipano alla costruzione di un progetto comune, e l’arte non ha più spettatori, non ha più un pubblico, ma ha semplicemente dei partecipanti, ognuno con un suo ruolo. Mi domandavo se questa potesse essere una chiave di lettura per il progetto...

Il nostro è un progetto partecipato, e in questo senso anche il visitatore è parte del gioco. Il MACRO mostrerà se stesso come dispositivo artistico relazionale, complesso, partecipato: in parte quello che Lei dice è vero, ma certo non accadrà che un pubblico non qualificato si erga a giudice degli artisti. Tutti saranno invitati a lavorare: storici dell’arte, critici, pensatori, filosofi, artisti, e vorrei ripensare il pubblico come a un insieme di cittadini dotati di preparazione, curiosità, intelligenza, capacità di giudizio. Pensiamo all’operazione di Cristiana Collu alla Galleria Nazionale: un’operazione che rimescola le carte della storia dell’arte in una maniera che fa moltiplicare l’enigmaticità dell’opera, perché questi incontri stranianti tra opere pongono altre domande, ed è lo spettatore che deve dare le sue risposte. C’è l’idea di fondo secondo la quale spettatore e istituzione hanno lo stesso diritto a esprimere un pensiero, nonché la stessa capacità di relazionarsi in autonomia con l’opera d’arte che l’artista pone di fronte al mondo e non regala soltanto allo specialista. Si tratta anche di restituire la dignità al visitatore, a quello che con una parola un po’ brutta definiamo “il pubblico”, che spesso interessa al marketing culturale solo in termini di numeri o di biglietti da vendere.

Il tema della dignità del visitatore è quanto mai attuale, specie se pensiamo a quella tendenza identificata con chiarezza da Jean Clair ormai già dieci anni fa, e che adesso è diventata una sorta di deriva, ovvero quella del museo (e penso in particolar modo ai musei d’arte antica ma il discorso si potrebbe estendere anche all’arte contemporanea) considerato a tutti gli effetti come una sorta di parco dei divertimenti dove passare del tempo, e non come un luogo di cittadinanza attiva. C’è dunque la necessità di andar contro a questa logica nefasta, c’è la necessità di tornare a focalizzare la vera missione del museo: il MACRO Asilo come intende porsi di fronte a questo problema?

Il museo non ha un ruolo fisso nella storia, il museo è stato tante cose. Pensiamo al Louvre, che fu per tanto tempo casa dei sovrani, e che poi diventò galleria dove esporre le varie scuole nazionali: il museo cambia nel corso delle epoche. Penso che oggi il museo possa esser considerato un dispositivo importante per dar vita a una riflessione che riguardi l’arte e, per il tramite dell’arte, tutto ciò su cui l’arte stessa riflette... ovvero tutto, perché l’arte si occupa di tutto. Mi piacerebbe che il MACRO facesse anche ricerca, mi piacerebbe avere un luogo dove gli artisti possano lavorare e anche rilassarsi di fronte a un caffè, mi piacerebbe dar la possibilità di far incontrare gli artisti mentre lavorano, mi piacerebbe insomma che il museo fosse una sorta di piazza. Ma non in termini generici: noi proporremo anche un programma di ginnastica mattutina (per esempio di Tai Chi o di altre pratiche che possano attivare il corpo per preparare la mente a una giornata di duro lavoro), ma quando lo faremo non sarà perché vogliamo intrattenere il pubblico, ma perché vogliamo lavorare, e nello specifico lavorare alla trasformazione della società in qualcosa di più interessante, per dirla in toni un po’ ambiziosi. Il museo non dev’essere l’alternativa al luna park o al centro commerciale: è un posto dove le anomalie rappresentate dagli artisti si ritrovano, s’incontrano e si scontrano, e dove tutto ribolle. Il MACRO, insomma, sarà anche un dispositivo politico.

Per estendere il discorso sul “dispositivo politico”, possiamo dire che il MACRO conterrà molto dell’esperienza del MAAM. Ma, volendo entrare nello specifico, che cosa il MACRO proporrà, di preciso, dell’esperienza del MAAM, e cosa invece conserverà del “museo” inteso come istituto, del museo come organismo che, secondo la definizione dell’ICOM, “acquisisce, conserva, espone e comunica” le opere d’arte?

Intanto vedremo se ci sarà qualcuno interessato a museificare quello che faremo al MACRO Asilo. Certo, non è la mia priorità, ma è comunque una possibilità, e non escludo che dopo questi due anni si possa veder incrementata la collezione del MACRO. Per la prima volta comunque mostreremo la collezione permanente, e faremo dunque un passo avanti in senso “classico”: la collezione sarà fruibile e non si troverà più nei depositi. Per il resto, il MACRO sarà un museo vivo: sarà, cioè, un museo dove ci saranno artisti vivi e opere vive. Al MACRO Asilo l’arte si farà e si vedrà mentre si farà, perché il gesto può essere molto interessante per capire il lavoro di un artista. Si parlerà molto, ci saranno ricerche della durata biennale che avranno però appuntamenti periodici a cadenza settimanale, nell’ambito dei quali il responsabile della ricerca a sua volta inviterà altre persone a intervenire, e alla fine dei due anni i percorsi porteranno a pubblicazioni scientifiche. Il MACRO, insomma, non farà intrattenimento ma farà ricerca a tutti gli effetti: ripenseremo alle parole e al nostro vocabolario, ci saranno anche tentativi nello spirito di collettivi come Wu Ming o Luther Blissett, con la differenza che qui ognuno firmerà le cose che farà e non agirà nell’anonimato del collettivo, proveremo a riformulare alcuni pensieri come l’idea stessa di museo. Ecco, il MACRO assomiglierà al MAAM soltanto nella maniera in cui proverà a essere un “museo reale”, secondo la definizione di Cesare Petroiusti, cioè un museo che abbia delle caratteristiche, contaminato dalla vita, leggero, attraversabile, multidisciplinare e polisensoriale. Caratteristiche che Cesare Petroiusti ha ben elencato, tra l’altro proprio nell’ambito di un incontro al MAAM, e che sono traducibili in uno spazio istituzionale come quello del MACRO. Non ci saranno muri dipinti e non ci abiteranno famiglie bisognose, perché questa è l’anima del MAAM, sono le condizioni di gioco di un altro esperimento che si chiama Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz. Per il resto, gli artisti lavoreranno insieme come al MAAM, pensando oltre, portando il loro tassello, con la consapevolezza di costruire un’opera in maniera corale, una sorta di cattedrale laica contemporanea in cui cercheremo anche di risolvere l’annosa questione del rapporto tra individuale e collettivo: dobbiamo cercare anche di riscoprire come lavorare insieme, facendo tesoro della differenza, che poi è la cifra e il manifesto del nostro tempo.

Approfondiamo il capitolo sugli artisti. L’idea che il MACRO si apra a chiunque si definisca artista è un interessante rifiuto della teoria istituzionale dell’arte, e viceversa si fonda sulla base di quello che è un principio sostanzialmente anarchico, quello dell’assunzione di responsabilità individuale...

Ogni artista che decide di fare l’artista compie da solo questo passo: è l’artista che a un certo punto decide di essere artista, poi tutto quello che ne consegue (il successo, l’entrata o meno nella storia dell’arte, il coefficiente di mercato) è un qualcosa che viene dopo. Io semplicemente, non occupandomi di coefficienti di mercato e lavorando sul contemporaneo, quindi non essendo di fatto interessato a ciò che entrerà nella storia dell’arte (perché questo si capirà almeno tra una ventina d’anni), apro la porta a chi fa una scelta identitaria di un certo tipo e abbraccia una professione in maniera lucida e consapevole. Poi valuteremo tutto ciò che ognuno farà. Tutti avranno l’opportunità di raccontare la loro ricerca in maniera leggera, poi ci sarà chi dipingerà magari “teletrasportando” al MACRO il proprio atelier per una settimana, ci sarà chi lavorerà con le scuole perché magari è particolarmente bravo con i bambini e desideroso di dare una mano ai più piccoli, ci sarà chi parteciperà alle ricerche e ai progetti più duraturi, chi proporrà ulteriori dispositivi partecipati invitando il pubblico o altri artisti a lavorare insieme, ci saranno le lectio magistralis coi grandi nomi dell’arte mondiale, sia della critica che dell’arte, che si alterneranno ogni fine settimana. MACRO Asilo lavorerà con le centinaia di artisti presenti sul territorio, che costituiranno il tessuto vivo di questo luogo, ma dovrà anche avere l’opportunità, secondo le proprie disponibilità, di dialogare coi nomi che tutti conosciamo.

E nello specifico che ruolo avranno i grandi artisti?

Semplicemente verranno a trovarci e a raccontarci il loro lavoro... e poi ci faranno respirare una boccata di globalizzazione in un contesto sicuramente molto radicato sul territorio... ! Ma faremo tutto ciò cercando di convincere gli artisti a evitare d’entrare con il tappeto rosso e ad andarsene una volta spento il microfono, ma magari a provare la dimensione più calorosa e partecipata che il MACRO proverà a creare: li inviteremo a parlare ma anche ad ascoltare, a stare un po’ con noi. Chiederò a tutti di preparare delle lezioni scritte, che possano essere pubblicabili, quindi chiederò anche a loro uno sforzo di un certo tipo. Non voglio fare passerelle per le star, ma mi sembra importante far arrivare al MACRO anche qualche artista che possa far incontrare questo nostro progetto con chi lavora oltre oceano o in altri paesi.

Tra le cose che abbiamo detto finora, una delle più interessanti secondo me è il fatto che al MACRO Asilo vedremo anche artisti impegnati direttamente nella creazione dell’opera. Una cosa che del resto abbiamo visto anche alla Biennale di Venezia di quest’anno...

Sì... anche alla Biennale quest’anno si è parlato di “arte viva”.

Appunto: alla Biennale c’erano artisti che impegnavano altre persone nella fabbricazione di oggetti artistici, artisti che si davano al lavoro a maglia, artisti che costruivano rettangoli di polvere con ramazze, artisti che hanno messo in piedi fabbriche temporanee per la produzione di opere, artisti che hanno portato quaderni di appunti. È segno che l’attenzione si sta spostando sul processo più che sul risultato?

Una cosa necessaria è far uscire l’artista dal suo studio. In un certo mondo, in un certo tipo di sistema si ottiene di più a mettere l’artista a produrre entro un certo isolamento. Io però penso che sia importante che l’artista incontri il mondo: credo che l’artista abbia molto da dare, e i modi per raggiungere questo obiettivo sono molti. Chi di noi ha avuto l’opportunità e il piacere di vedere gli artisti al lavoro è stato un privilegiato, è stato fortunato, perché ha potuto capire più cose: quindi non vedo perché non si possa chiedere agli artisti di fare questo piccolo sforzo. Magari con un po’ d’imbarazzo, perché no, ma regalare anche agli altri il loro gesto e un po’ di quello che fanno dietro le quinte potrebbe essere un qualcosa di molto interessante. Io penso a un museo vivo, dove tutti partecipano: artisti relazionali ma anche artisti relazionali che non amano lavorare in modo partecipato, ma l’importante è che ognuno faccia uno sforzo per avvicinarsi agli altri.

Un aspetto nuovo è sicuramente anche quello del direttore stesso. Lei è antropologo, videomaker, artista, curatore. Questa “somma” di professionalità che in qualche modo mette da parte la figura del direttore di museo per come l’avevamo conosciuta finora, potrebbe essere, secondo come la si voglia vedere, sintomo della necessità di rinnovamento e al tempo stesso indicazione di una via d’uscita per un mondo dell’arte contemporanea sempre più autoreferenziale, ma al contempo secondo molti è anche un azzardo, proprio per il fatto che va a scontrarsi frontalmente con una prassi, con visioni codificate...

Io sono qualificato a fare me stesso: è quello che ho sempre detto a Luca Bergamo e a tutti. Io costruisco dispositivi e smonto e rimonto il museo da qualche anno: è questo quello che mi stanno chiedendo di fare. Se mi si chiede di fare me stesso, io non ci vedo niente di male. A me è stato proposto di realizzare un progetto come se lo si chiedesse a un qualunque altro artista. Poi io, nella mia pratica, a un certo punto smetto di fare l’artista e divento curatore per un processo che ho attivato e che mi porta a preoccuparmi di fare andare bene le cose e di farle funzionare. Non so se questa dev’essere la regola per tutti i musei. A me hanno chiesto un progetto della durata di due anni, mi è stato domandato di ripensare il museo: ci ho provato, la proposta è quella di cui stiamo parlando, si arricchirà in questi mesi (durante i quali discuterò con gli artisti e chiederò loro cosa vorrebbero fare), e magari, quando apriremo le porte, questo dispositivo accogliente sarà anche diverso da come lo sto immaginando in questi giorni.

Chiudiamo con una domanda un po’ brutale: secondo Lei, siamo davvero pronti per un’esperienza di questo tipo?

Questo lo vedremo... ! Ma come tutte le cose, anche questo è un progetto che nasce perché si è avvertita una necessità. Niente nasce fuori dal tempo. Riflettendo su come vanno le cose nel nostro mondo, e su come pure l’arte contemporanea rischi di avvitarsi su se stessa e di non essere più in grado di parlare, penso sia necessario provare a ripensare a tutta una serie di situazioni. L’arte poi ci caratterizza come esseri umani fin dai tempi delle grotte di Lascaux: forse, ogni tanto, bisogna anche ripensare all’arte per quello che è, al di là dei sistemi e delle modalità in cui siamo abituati a fruirne. Anche per questo il progetto si chiama MACRO Asilo: dobbiamo ripensare all’ABC, e dobbiamo provare a togliere l’arte dal sistema dell’arte per portarla in una piccola isola che non c’è. Dentro una sorta di utopia.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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