La Galleria Giampaolo Abbondio è una delle più attive degli ultimi mesi: in controtendenza rispetto alle direttrici del mercato ha da poco trasferito la sua sede a Todi, è appena tornata da Miart (la prima fiera in presenza in Europa dall’inizio della pandemia di Covid-19), e ha in serbo alcuni interessanti progetti, a partire della mostra Poesia e Rivoluzione nello spazio di via Porro Lambertenghi a Milano. Con Giampaolo Abbondio abbiamo parlato delle sue scelte inquadrandole nell’attuale contesto del mercato e della scena italiana. L’intervista è a cura di Federico Giannini.
FG. La vostra galleria è reduce da Miart. Come è stato tornare a una fiera in presenza dopo quasi due anni di fermo forzato?
GA. Ha fatto molto piacere tornare alla fiera e incontrare il pubblico e i collezionisti: il nostro è già di per sé un lavoro che normalmente contiene della solitudine, figuriamoci cosa può voler dire non poter più incontrare il pubblico. Si perde il senso di quello che si fa, perché è un lavoro che si fa per essere visti, e se non riusciamo ad essere visti è come se non esistessimo, quindi la fiera in sé è una bellissima occasione. Purtroppo pesano alcuni gravi errori di programmazione da parte di Miart, perché fare a fiera a ridosso di Art Basel ha significato mettere una grande parte del pubblico di fronte alla scelta tra venire a Milano o, la settimana dopo, andare a Basilea, e secondo me purtroppo tanti hanno scelto la seconda opzione. E questo è stato sicuramente un danno per noi. Per esempio, non si è visto in fiera nessun direttore di museo italiano, il che è stato abbastanza mortificante alla prima uscita dopo due anni.
Peraltro, scorrendo l’elenco delle gallerie presenti ad Art Basel, si notano i nomi di poche gallerie italiane. È sintomo di un problema di cui soffre il mondo degli operatori italiani?
Art Basel è sempre stata un fenomeno anglo-tedesco. Perché comunque anche di francesi non è che ce ne siano tantissimi. Ad Art Basel noi italiani siamo in quota etnica, e soprattutto ad Art Basel vogliono le nostre gallerie di arte moderna, non quelle di arte contemporanea... se si fa un giro tra gli stand ci si accorge di quale sia la proposta italiana. Cioè se ci sono cinque artisti italiani contemporanei esposti, sono tanti.
Secondo te il mercato dell’arte in Italia, in questo ultimo anno e mezzo di pandemia, come è cambiato? Cosa ha dovuto affrontare, che evoluzioni ha conosciuto, come si sta muovendo?
Chi ha beneficiato in questa situazione sono state le case d’asta, perché comunque loro potevano operare online offrendo titoli riconoscibili che sono più facili da trattare senza la presenza. Inoltre, il mercato si è sempre più concentrato su proposte consolidate. Non c’è stato molto spazio per la ricerca e per l’innovazione. È fisiologico: accade perché non è stato possibile vedere le opere dal vivo e non è stato possibile visitare le mostre. Il fatto è che se tu proponi un taglio rosso di Fontana, il collezionista sa benissimo di che cosa stai parlando, e può comprarlo anche addirittura senza vederlo, ma se proponi, per esempio, un tecnica mista su tela di due metri per tre di un artista sconosciuto, ecco il collezionista ha bisogno di vederlo. Poi magari parliamo di un capolavoro straordinario, ma se l’acquirente non ci si trova davanti non capirà mai di che cosa si tratta. Questo meccanismo è stato dunque favorevole per quello che si conosceva e non per quello che non si conosceva.
Spostando l’attenzione dal discorso più generale sul mercato alla vostra galleria: da qualche tempo vi siete trasferiti a Todi, ed è interessante conoscere il perché di questa scelta in controtendenza, e come sta andando.
Abbiamo inaugurato a Todi il 19 giugno con una mostra di Matteo Basilé. Abbiamo aperto a Todi un po’ perché è successo così: avevamo, a Milano, uno spazio espositivo che condividevamo con Luger, e trovandomi in questo giro mi è stato proposto uno spazio in Umbria di una bellezza straordinaria... e mi sono detto “facciamo questo esperimento, invece di cercare il solito spazio post-industriale in città proviamo ad esporre le opere all’interno di una cornice rinascimentale in una città d’arte”. Ma devo anche dire che queste riflessioni sono arrivate dopo: cioè, il primo impulso è stato l’impatto con una galleria bellissima, e l’idea di provare ad andare ad aprire in questa galleria bellissima. Un impulso legato anche alla prigionia del lockdown, in qualche modo. Quanto a come stia andando, mi sembra stia andando abbastanza bene, la prima mostra è stata molto ben accolta, abbiamo avuto tantissimo pubblico, tantissimi visitatori, paradossalmente molti più di quanti ne ricevevo a Milano avendo di fronte un parcheggio, la fermata del 9 e la metropolitana. Quindi sono molto soddisfatto di questa scelta. Poi, certo, bisogna far passare anche un ciclo completo, ovvero bisogna che passino come minimo due anni per capire se funziona o se dovremmo cambiare.
Che tipo di pubblico è quello di Todi?
Mi sono trovato professionisti, addetti ai lavori, turisti. Di tutto, insomma. Todi in sé ha settemila abitanti e non è di certo la popolazione di Todi quella che fa lo zoccolo duro dei visitatori della galleria... e poi soprattutto tanta gente viene da Roma, perché comunque Todi rientra nella zona gravitazionale di Roma per cui molti vengono a fare la scampagnata nel fine settimana e passano in galleria.
Dicevamo che l’impulso ad aprire a Todi è arrivato durante i mesi del lockdown. Ma questa scelta è sintomo del fatto che è in atto qualche cambiamento? Ovvero, dopo la pandemia si andrà verso un decentramento?
Questo non lo so, perché comunque cercare di comprendere questo lavoro generalizzando o provando ad attribuire i comportamenti a grandi numeri secondo me non funziona, poiché ognuno fa storia a sé. Io sento questa necessità e altri invece continuano a venire a Milano, penso per esempio ai colleghi che dalle città di provincia si spostano su Milano, per cui no, non penso sarà una cosa generalizzata. In ogni caso io ne faccio anche una questione culturale: abbiamo dei valori da riproporre, che sono quelli che troviamo in Umbria: quelli della bellezza del paesaggio, della storia, della gastronomia, cose a cui io non sono insensibile, e sono i vantaggi che abbiamo nei confronti degli Stati Uniti dove, per esempio, la potenza è soprattutto economica. Dunque si tratta di tornare alle proprie radici e cercar di far valere la forza di queste radici.
La scena attuale dell’arte contemporanea italiana è allineata a questi valori? E più in generale, cosa ne pensa?
La scena dell’arte italiana è un disastro. Abbiamo sicuramente degli ottimi artisti, ma non abbiamo sistema, e i collezionisti non spenderanno mai oltre certe cifre per un artista italiano, quindi non lo sostengono in una crescita utile per poi affrontare un mercato internazionale. E poi, facciamo la prima fiera in presenza dopo quasi due anni e non vengono i direttori di musei. È un sistema che non ha fiducia in se stesso, per cui è messo molto male. Io sono sicuro che i nostri artisti non abbiano niente da invidiare a tanti altri artisti affermati di altre realtà. Il problema è che, appunto, qui non li sostiene nessuno.
E cosa si potrebbe fare, non dico per risolvere i problemi (perché sono questioni di lunga data che non si risolveranno in breve e con pochi interventi), ma quanto meno per cominciare a dare avvio a un’inversione di tendenza?
È una situazione ben compromessa. Anche perché, come dicevo, il collezionista è il primo a non investire sugli artisti italiani. In ogni caso ci vorrebbe innanzitutto un bel programma di acquisizioni da parte dei musei, e non aspettare che gli artisti siano morti per valutarli, come è stato fatto per esempio con Maria Lai o con Alighiero Boetti. Io per esempio ho scoperto l’arte contemporanea attraverso Boetti, ma quando nel 1997 mi sono avvicinato all’arte me lo tiravano dietro, perché stava per essere dimenticato. Poi l’hanno comprato da Christie’s e da lì è cambiato tutto, ma Boetti stava scivolando nel dimenticatoio.
Tornando invece alla galleria: qualche anticipazione sul programma prossimo venturo?
Il 23 ottobre inauguro una mostra collettiva sulla parola come immagine. Ho chiesto (ma aspetto una conferma) a Frankie Hi-Nrg di scrivermi la presentazione perché è uno che di parole se ne intende. Poi a dicembre farò una personale di Pablo Candiloro, pittore argentino attivo in Italia e con il quale lavoro già da qualche anno, poi ho un po’ di progetti per la primavera con artisti diversi da quelli della programmazione storica nella galleria per i quali però aspetto a dirvi. Ancora, parteciperemo al MIA, parteciperemo ad Artissima con uno stand monografico su Maria Magdalena Campos-Pons e per ora direi che questo è quanto.
Per concludere, che aspettative avete per l’esperienza umbra?
Dicevo che è un ritorno alle radici: quando mando le foto agli artisti che conosco e che vivono negli Stati Uniti, mi chiedono subito dov’è casa mia. Quindi io mi aspetto di poter far venire gli artisti a produrre in Umbria e ampliare un po’ il dibattito, cioè non essere più solamente tristi importatori di opere ma produttori che dànno un valore aggiunto.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).