È fondamentale che gli artisti dialoghino con il territorio in modo serio e sincero


Una residenza d'artista a Fano, chiamata Lido La Fortuna e curata da Luca Zuccala e Caterina Angelucci, invita quattro giovani artisti a dialogare con il territorio. Ma come farlo, con che mezzi, in che modo lavorare per unire territorio e arte contemporanea? Lo abbiamo chiesto ai curatori.

Dopo il successo della prima edizione, nonché l’ottimo riscontro di critica e di pubblico, torna la Residenza d’artista Lido La Fortuna, promossa dall’Associazione Culturale Lido Contemporaneo in collaborazione con il Comune di Fano – Assessorato alla Cultura e Beni Culturali e Fabbrica Urbana, e curata da Luca Zuccala e Caterina Angelucci. Il progetto di durata triennale mira a promuovere e sostenere il lavoro di artisti under 35 invitati a confrontarsi con le peculiarità artistiche, culturali e paesaggistiche del territorio marchigiano. Gli artisti selezionati per l’edizione 2022 sono Nicolò Cecchella, Andrea Martinucci, Davide Serpetti e Caterina Erica Shanta. Accompagneranno il loro percorso due figure internazionali che in maniera diametralmente opposta hanno un legame con la città di Fano: Danny Avidan, come luogo d’elezione e Silvia Mariotti, come luogo di nascita. A questi si aggiungerà una triade d’eccezione: Jingge Dong, Oscar Contreras Rojas e Sophie Westerlind, i tre pittori protagonisti dell’edizione 2021 che hanno mantenuto e coltivato un legame affettivo e lavorativo con il territorio. Come sono stati selezionati gli artisti? Come lavoreranno? E soprattutto come far dialogare l’arte contemporanea con il territorio? Abbiamo rivolto alcune domande a Caterina Angelucci e Luca Zuccala in merito al progetto. L’intervista è di Ilaria Baratta.

Andrea Martinucci
Andrea Martinucci
Caterina Erica Shanta
Caterina Erica Shanta
Davide Serpetti
Davide Serpetti
Niccolò Cecchella
Niccolò Cecchella

La Residenza d’artista LIDO LA FORTUNA di Fano si rivolge espressamente al sostegno dei giovani artisti, under 35. Sostenerli e dar loro l’opportunità di esprimere la propria creatività e il proprio linguaggio artistico diventa sempre più importante per dare loro spazio nel panorama contemporaneo italiano. Quali opportunità offre la vostra Residenza d’artista e come intende aiutare gli artisti a promuovere il loro lavoro nel progetto triennale? Cosa prevede in sintesi il progetto?

Caterina Angelucci. La rassegna nasce con una necessità che segue un doppio binario: da una parte l’esigenza di introdurre in una realtà di provincia a “bassa concentrazione contemporanea” la ricerca di giovani artisti (con già alle spalle lodevoli e riconosciute esperienze) che provengono dai circuiti centrali del sistema e dall’altra quella di offrire la possibilità agli artisti invitati -mediante il confronto, lo scambio, la riflessione e l’immersione nel territorio ospitante (ricco e pulsante di illustri memorie culturali e popolari)- di lavorare (attraverso un sostegno che ricopre dal vitto all’alloggio, fino alla produzione e alla restituzione finale) in un luogo non conosciuto, mettendo in discussione quelle che sono le strutture portanti della propria ricerca. La dislocazione dello studio e un ritmo di vita quotidiana dilatato, uniti a stimoli di diversa natura, permettono di varcare dimensioni fino a quel momento non considerate e in un certo senso “uniche”, grazie ad una congiunzione spazio-temporale e ispirazionale. Lido La Fortuna cerca di costruire un ponte, un canale di comunicazione attivo e riflessivo, tra i grandi centri metropolitani e la realtà di un luogo di provincia come la città di Fano che si mostra aperta e ricettiva, squisitamente entusiasta nell’aprirsi allo sguardo “straniero” e nel raccontarsi coinvolgendo. Il nome, Lido Contemporaneo, esplicita il doppio valore di questo progetto di residenza: “lido” prima di tutto inteso come luogo di confine tra terra e mare, spazio di arrivo e di partenza, dove si sedimentano i materiali portati dall’acqua che a loro volta provengono da altri lidi. Uno scambio reciproco tra culture, identità e pratiche differenti. Da qui l’idea della contaminazione, del dialogo, dell’incontro. E sulla stessa natura ibrida si costruiscono le tre mostre di restituzione: a Fano, presso Fabbrica Urbana, dal 19 agosto all’8 settembre; a Pergola, presso Casa Sponge, dall’11 al 30 settembre; a Milano, presso la sede italiana della Casa d’aste Artcurial (Corso Venezia, 22), dal 6 al 18 ottobre. Tre momenti espositivi differenti che portano gli esiti del periodo di residenza ad un pubblico e un collezionismo diversificato.

Potete fare una breve presentazione degli artisti scelti? Da quali città provengono?

Caterina Angelucci: Quest’anno sono stati invitati, Andrea Martinucci (Roma, 1991) che vive e lavora tra Roma e Milano e Davide Serpetti (L’Aquila, 1990) diviso tra l’Italia e gli Stati Uniti, che lavorano principalmente con il mezzo pittorico; mentre per la fotografia -anche se è riduttivo identificarli solo attraverso questo medium, possiamo infatti parlare di metafotografia o postfotografia, ma si tratta anche di video e scultura- Nicolò Cecchella (Reggio Emilia, 1985) che vive e lavora tra Reggio Emilia, Modena e Roma e Caterina Erica Shanta (Germania, 1986) che vive e lavora tra Torino e Pordenone. Tutti e quattro, come anticipato sopra, con esperienze riconosciute sia a livello nazionale che internazionale, al momento tra i nomi più importanti del panorama contemporaneo italiano.

In che modo saranno portati a confrontarsi con le peculiarità artistiche, culturali e paesaggistiche del territorio marchigiano? Si confronteranno anche con la comunità artistica locale?

Caterina Angelucci: Dalla cultura contadina dell’entroterra a quella della marineria, dalle memorie storico-artistiche alle tradizioni popolari è stato costruito un percorso ad hoc che potesse suggerire e accompagnare il lavoro dei quattro artisti in residenza, offrendo spunti di riflessione e tematiche da approfondire, materiali su cui lavorare e altri invece da scartare (è interessante anche vedere cosa non viene scelto da un artista e invece accolto da un altro). In particolare, quest’anno nonostante l’organizzazione di appuntamenti e attività -come l’uscita in barca con i pescatori, la visita alla città con l’archeologa, l’incontro con docenti universitari di storia dell’arte e letteratura italiana, oltre che di biologia marina- il programma è stato ogni giorno ridiscusso, cambiato, adattato a più esigenze e diverse necessità. Se da un punto di vista organizzativo questo tipo di conduzione richiede estrema elasticità, da un punto di vista curatoriale e, aggiungo, umano (perché l’opportunità che offre una residenza ma non è mai unidirezionale) permette, mediante il dialogo e il confronto tra organizzatori e artisti, la possibilità di creare una situazione sempre più accogliente e “unica” finalizzata alla produzione. Il non limitarsi alla semplice conduzione di un ruolo lascia così spazio a quello che intendiamo con contaminazione, non solo dunque tra pratiche, culture e identità ma anche tra la dimensione lavorativa e umana, esperienziale e ispirazionale che si mischia, si confonde e si fonde con la contingenza del vivere. Cito Angela Vettese che nella prefazione di un’esperienza di residenza tra la Fondazione Bevilacqua La Masa e la Fondazione Spinola Banna (2010 – 2012) paragona questi momenti di convivenza ad un acquario: momenti che possono essere fatti propri che per periodi brevi, in cui ci si allontana dal mondo della competizione o della sopravvivenza esterna e che offrono una “possibilità di leggerezza, condizione per un pensiero pesante”. Anche la comunità artistica locale è coinvolta, certo, ma non solo. Intendiamo fare rete anche con altre rassegne presenti nel territorio come, per esempio, Centrale Fotografia (Fano) e Traffic Festival (San Lorenzo in Campo – Pergola), e altre realtà culturali, in primis Casa Sponge. A questo intento, infine, si lega la scelta di invitare per la mostra finale due artisti che hanno fatto di Fano punto di partenza e punto di arrivo: Silvia Mariotti (Fano, 1980) tra le più importanti rappresentanti della fotografia italiana contemporanea e Danny Avidan (Tel Aviv, 1989) che ha scelto di trasferire il suo studio da Berlino alla provincia di Pesaro e Urbino.

Avete scelto artisti che utilizzano la pittura e la fotografia, due medium tradizionali. A cosa è dovuta questa scelta? Sono due linguaggi che si possono relazionare meglio con il territorio marchigiano?

Luca Zuccala: Esattamente. È stata proprio una scelta ben precisa. Abbiamo voluto lavorare su due livelli differenti: quello tra virgolette più semplice e immediato della pittura, per cogliere e raccontare nella maniera più diretta peculiarità, temperature e sfumature del luogo in questione, mediate e filtrate dall’occhio colto e sensibile degli artisti; e quello più espanso e processuale della fotografia, o meglio della post-fotografia, contemporanea; sia per testimoniare una delle ricerche più attuali e interessanti in termini di linguaggio per leggere e decifrare la contemporaneità attraverso il suo congenito essere spuria, ibrida, contaminata; sia per “entrare” in un territorio vergine, dal punto di vista della ricerca contemporanea, come quello delle alte Marche, ragionando e raccontando -in primis alla comunità- la forza di penetrazione e la potenza nel tessere trame e corrispondenze nuove e inusuali del medium, relazionandosi con il tessuto socio-culturale e naturale-paesaggistico, lavorando sull’antropologia dei luoghi, sulle narrazioni antiche, sul mito e così via. Dispiegare come questa nuova generazione di artisti (nati tra gli anni Ottanta e i primi Novanta) possa attraverso il medium espanso e concettuale del mezzo fotografico odierno rileggere, reinterpretare e trasfigurare la natura, la cultura, la comunità, la storia di un luogo tracciando nuovi sentieri, accendendo energie sopite da tempo, traducendo il tutto in nuove e dense prospettive, connettendo il tutto attraverso il linguaggio universale dell’arte. Stesso discorso “a livelli” per la cosiddetta Restituzione, ossia la mostra post-residenza. Abbiamo concepito l’esposizione in varie località lavorando su vari livelli. Tutte (le comunità) e tutti (i livelli) di qualità eccelsa, tutte con un sostrato, una dimensione e una realtà connotativa differente. Quindi una sfida sempre diversa per ogni luogo espositivo scelto.

Il Ritorno, il Locale, il Periferico, il territorio, l’idea di comunità: questi sono i temi con cui dovranno confrontarsi gli artisti. Avete scelto di puntare quindi sul rapporto tra l’artista e l’ambiente in cui si trovano. Quanto è importante secondo voi per un artista questo rapporto? Quanto un artista necessita di sentirsi inserito all’interno di un territorio, anche se diverso da quello d’origine, e all’interno di una comunità?

Luca Zuccala: Una realtà stratificata e satura di storia come quella fanese e alto marchigiana non poteva necessariamente che essere colta attraverso l’occhio della pittura e dell’immagine fotografica di artisti con un curriculum oramai maturo e con alle spalle anni di studi e ricerca a livello internazionale, proprio anche come luoghi vissuti e fatti propri per essere “portati” e trasportati in Residenza. Riteniamo che sia fondamentale questo sguardo “straniero”, “altro”, ricco di un bagaglio esperienziale e culturale raccolto in giro per il mondo che possa essere mediato in un progetto di Residenza come il nostro. È assolutamente fondamentale il dialogo serio, sincero e profondo tra artista e ambiente, quindi con artista e comunità. Senza una dialettica rispettosa e osmotica tra le due figure in questione non può esserci una Restituzione efficace e costruttiva, che possa lasciare massa critica agli abitanti e al territorio intero. L’artista deve quindi necessariamente sentirsi a casa, fattore che sia noi curatori organizzatori, sia loro stessi devono coltivare e sensibilizzare attraverso una lenta, rispettosa e profonda conoscenza di tutte le parti in causa, a cominciare da chi il luogo lo abita da sempre. Una delle risposte più belle che abbiamo avuto sia nella prima che in questa edizione è proprio il fortissimo legame che si è creato tra gli artisti e la comunità. Questo ha fatto sì per esempio che tutti i tre pittori dell’anno scorso (Jingge Dong, Oscar Contreras Rojas e Sophie Westerlind) siano ritornati a lavorare o tenere tavole rotonde a Fano anche dopo il progetto di Residenza. Il concetto del Ritorno, oltre a livello, di tornare a lavorare sulle potenzialità infinite del Locale e del suo dialogo fecondo con il Centro, si è rivelato anche nell’accezione di ritorno fisico e mentale degli artisti in quanto la terra ha lasciato qualcosa di seriamente autentico, toccando alcune corde profonde. Una condizione sine qua non per la nascita e la crescita del progetto è stata proprio la condivisione con l’Amministrazione locale per un fare osmotico di crescita a lungo termine. Nessuna cosa spot, una botta e via, ma un lavoro certosino e dialettico con la comunità, le identità e la cultura del posto per una prospettiva partecipata inclusiva comune.

Per concludere, come vedete la situazione attuale per i giovani artisti? Secondo voi sono sufficientemente sostenuti in Italia? Cosa proporreste per sostenerli di più?

Luca Zuccala: Drammatica e disperata. Non c’è soluzione. È un problema sia di forma mentis degli artisti stessi, più artigiani e ancorati a una visione limitata e locale di risoluzione di problemi e visione, sia a un paese a cui dell’arte contemporanea non frega assolutamente nulla. Fuori dai confini nazionali non esistiamo. Per ora non c’è via di fuga, se non quella che gli artisti stessi devono prendere per scappare al di là delle Alpi e costruirsi una carriera e un percorso tutto loro senza aspettare il vuoto pneumatico italiano.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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