Si terrà a Firenze, a Palazzo Corsini, dal 28 settembre al 6 ottobre 2024, la 33ma edizione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze (BIAF). È una delle più importanti manifestazioni al mondo per quel che riguarda il collezionismo d’arte antica e sarà diretta, come le ultime cinque edizioni, da Fabrizio Moretti che, dall’aprile 2014, dunque da dieci anni, è il Segretario Generale della BIAF. Abbiamo raggiunto Fabrizio Moretti che ci ha svelato alcuni retroscena di questa nuova edizione della Biennale, e l’intervista è anche l’occasione per fare brevemente il punto sui cambiamenti che sia la BIAF sia il mercato hanno conosciuto in questi ultimi tempi. L’intervista è di Federico Giannini.
FG. Lei ha detto durante la presentazione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze che questa edizione si preannuncia come una delle più belle sotto la Sua gestione: perché sarà una delle più belle?
FM. Intanto perché, dopo anni che si lavora a un progetto, poi alla fine arrivano dei risultati, e il primo risultato secondo me è l’adesione dei più grandi mercanti che ci sono in circolazione: alcuni hanno deciso di confermare la loro presenza, altri di ritornare, altri ancora di venire a Firenze per la prima volta. Quindi, avendo il gotha del mercato, già la mostra si preannuncia molto importante. Poi, per quanto riguarda tutto il collaterale, abbiamo sempre delle grandi conferme, con Gucci che quest’anno ha voluto essere il nostro main sponsor: vedo questo come una conferma del lavoro svolto, della nostra dedizione alla Biennale. Gucci è uno dei brand di moda più importanti al mondo e difficilmente si lega a manifestazioni. Avremo poi la cena di gala del 26 settembre che sarà gestita, curata e firmata da Massimo Bottura, che comunque è un’altra eccellenza del nostro panorama, avremo la serata di Palazzo Vecchio (quella che verrà dopo la serata di gala), che sarà organizzata in collaborazione con la Fondazione Bocelli, che per la prima volta si lega al mercato dell’arte. Credo che tutte queste conferme, anche da una parte un po’ più mondana, siano la dimostrazione che la Biennale attragga molto, quindi sono tantissimi i collezionisti, i curatori, i direttori che vorranno venire a Firenze. Poi magari fra una settimana saremo qui a dire che abbiamo sbagliato tutto perché non ci sono opere abbastanza importanti ma, da quello che vedo, credo che la Biennale si preannunci di ottimo livello. Noi cerchiamo di avere anche un vetting molto severo, che possa vagliare opera per opera e fare così un ottimo lavoro: quando mi sono espresso dicendo “forse la più bella” è perché alla fine, dopo tanti anni, siamo arrivati a un ottimo risultato. Certo, non che le altre Biennali non fossero belle, non mi ricordo una Biennale brutta, però quest’anno sento veramente il frutto di cinque edizioni che arriva a termine.
Abbiamo menzionato il vetting: una fiera importante come la BIAF presuppone un processo di vetting estremamente rigoroso. Può dare al nostro pubblico qualche informazione sul vetting della BIAF, su come avviene questo processo?
Funziona come in tutte le grandi manifestazioni: c’è un gruppo di esperti, diviso per settori (arti decorative, sculture, dipinti antichi) che gira per gli stand, vaglia opera per opera, e poi davanti alle opere con punto interrogativo ci sono incontri, ci sono discussioni, ci sono approfondimenti e alla fine il vetting decide cosa fare. In caso l’oggetto fosse anche giusto, ma non all’altezza della Biennale (perché di qualità non sufficiente, o comunque non bello abbastanza), quell’oggetto verrà rimosso.
Dato che prima abbiamo citato Gucci: poiché non è scontato che un marchio della moda si leghi, come ha detto Lei, a una fiera d’arte anche importante, qual è il valore aggiunto che dà il legarsi a Gucci? Avete pensato che possa portarvi anche un pubblico di collezionisti nuovi, o che magari non si erano ancora avvicinati al collezionismo d’arte antica?
Lei mi ha anticipato: quello che vogliamo fare è portare un pubblico nuovo alla Biennale, quindi diciamo che la moda oggi è il settore più trasversale, perché tiene insieme sia i ragazzi, sia i giovani, sia gli adulti. Quindi se noi oggi riusciamo a portare la moda, che in un certo modo è sinonimo di bellezza ed eleganza, verso l’arte, questo secondo me è già un punto a favore. Noi dobbiamo provare tutte le strade per rinvigorire il patrimonio di collezionisti che abbiamo, perché purtroppo sono tutti di una certa età. Il problema è invece trovarne di più giovani, ma per “giovani” intendo quaranta-cinquantenni, perché prima di questa età si parla di eccezioni vere e proprie. Però, tornando al concetto della Biennale a cui tengo molto, per me comunque non è solo una mostra mercato per pochi eletti. La Biennale è la mostra di Firenze, d’Italia, d’Europa, è un momento in cui noi diamo la possibilità di far vedere, a chi non ha possibilità (perché la maggior parte delle persone non si può permettere arte: il mondo è completamente ingiusto, la ricchezza in mano a pochissimi e la povertà, purtroppo anche in Italia, è in mano a tantissimi), queste opere che mai si potrebbero vedere pubblicamente, a meno che non fossero acquistate da enti pubblici. Questo a me sembra un grande risultato: se c’è un giovane ragazzo, uno studioso, un appassionato che non può permettersi di acquistare opere nelle gallerie, può entrare alla Biennale e godersi un museo. Voglio dire che le opere vanno considerate anche da un punto di vista intellettuale: noi facciamo questo di lavoro, e di conseguenza otteniamo un lucro dalle opere. Però facciamo anche cultura, ed è importante dare anche questo messaggio.
A proposito del pubblico: naturalmente il pubblico della Biennale è sempre un pubblico di altissimo livello. Ci saranno direttori di musei italiani e internazionali, ci saranno fondazioni, aziende, grandi collezionisti...
Esatto.
Ma ci saranno naturalmente anche tanti collezionisti privati. Prima abbiamo accennato al fatto che il collezionista privato tipico è abbastanza in alto con l’età, ma comunque, al di là di questo, mi piacerebbe chiederLe chi è il collezionista tipico che viene a visitare la Biennale e che viene a comprare. Ovviamente se c’è un collezionista tipico.
Il tipico profilo è senza ombra di dubbio l’appassionato, la persona che compra perché ha un progetto. C’è poi il direttore di un museo che Lei ha citato, il curatore, ma può esserci anche la persona che non sa niente di arte ma deve arredare la casa, e dice “vado in Biennale perché trovo qualcosa che mi piace”.
È un pubblico di collezionisti consolidati, quindi persone che frequentano da tempo l’ambiente, oppure la BIAF può essere un territorio interessante anche per chi si avvicina al collezionismo d’arte antica?
Secondo me la Biennale è il palcoscenico perfetto, per qualsiasi tipo di collezionismo o di avvicinamento al collezionismo, perché la Biennale non è pesante. Noi siamo comunque dentro Palazzo Corsini che è secondo me uno dei palazzi più belli di Firenze se non del mondo, quindi già entrare lì e farsi una passeggiata, fermarsi in terrazza a prendere un caffè, significa non avere quella pesantezza di quando si vanno a visitare altre mostre o fiere che vengono solitamente allestite dentro un capannone, quindi noi siamo già avvantaggiati da questo punto di vista, e allora possiamo attrarre un pubblico che viene a farsi una semplice passeggiata, ma che al contempo potrebbe essere fatto di possibili clienti. Per esempio, uno che fa un giro per vetrine in via Tornabuoni o in via Montenapoleone, poi alla fine vede magari qualcosa in vetrina e lo compra. Ma fa il giro in via Montenapoleone perché è gradevole, perché si ferma da Marchesi a prendere il caffè, e così via: credo che noi siamo questo, a differenza di altre mostre dove si va solo solo per l’arte.
Prima abbiamo parlato anche, un po’ en passant, dei giovani. Ecco: mi piacerebbe sapere perché i giovani si tengono così... forse lontani dal mercato dell’arte antica. Secondo Lei c’è un motivo per cui quello dei più giovani e quello del collezionismo d’arte antica sono percepiti come mondi distanti?
È sempre stato così da quando faccio questo mestiere: i collezionisti sono sempre stati un po’ di una certa età, a parte qualche eccezione di qualche ragazzo che però sembrava aver vissuto delle realtà anomale, circondato da opere d’arte antiche. In questi casi allora si può trovare anche un trentenne o un quarantenne che acquista, ma l’arte antica è sempre qualcosa alla quale si arriva col tempo. È come se uno volesse avvicinarsi, dico paradossalmente, alla morte: lo stesso vale per chi si avvicina all’arte antica. Così i collezionisti cominciano dal contemporaneo e finiscono ogni tanto all’antico: è raro che ci sia il passaggio inverso. E quando c’è il passaggio dall’antico al contemporaneo solitamente è perché la persona non era un collezionista ma era un investitore, che è peraltro la parte più brutta del nostro lavoro, perché i collezionisti devono fare i collezionisti e non fare speculazioni, ma questo forse è un tema che non possiamo affrontare in questo momento, ci vorrebbero quattro interviste... il vero collezionista è quello che parte da un modello e poi si appassiona. Ho conosciuto tante persone che hanno comprato contemporaneo e hanno poi contaminato, diciamo così, le proprie collezioni con arte antica.
Una delle ultime volte che ci siamo sentiti, in un’intervista che avevamo fatto all’ultima edizione della BIAF prima del Covid, dunque quella del 2019, avevamo parlato anche della situazione del mercato italiano e il Suo giudizio non era molto positivo, dal momento che diceva che ci sono molte leggi, una pressione fiscale alta e una burocrazia che ingolfa sia l’importazione che l’esportazione. Sono passati cinque anni, è cambiato qualcosa?
Poco, ma direi che comunque i miei colleghi hanno fatto un ottimo lavoro con il gruppo Apollo: si parla però di piccoli passi in avanti. Io non entro assolutamente nel merito di quello che deve uscire dal nostro territorio, ma sulla possibilità di fluidificare la posizione del bene culturale... su questo sì. Voglio dire che siamo sempre troppo lenti: l’Italia è un paese che ancora non aiuta. E poi comunque ci vorrebbe più oggettività nel dare, mettiamo, gli attestati di libera circolazione, e anche un po’ più di elasticità per aiutare il mercato. Infatti molti mercanti hanno chiuso. Io credo che ancora si debba lavorare molto, però diciamo che, rispetto a prima, oggi c’è un dialogo che non c’è mai stato: quindi bravi i miei colleghi dell’Associazione Antiquari d’Italia che stanno portando avanti questa questa lotta.
Tra i problemi che alcuni rilevano c’è quello dell’IVA sulle opere d’arte, che in Italia è al 22% mentre in altri paesi per le opere d’arte comincia a profilarsi la possibilità di regimi agevolati. Secondo Lei questo problema è veramente incisivo e davvero ha un’influenza sui comportamenti degli acquirenti?
L’IVA c’è sempre stata, non penso che cambi drasticamente il mercato. L’IVA c’è e va pagata, anche all’estero è così, se Lei va a Parigi è chiede un prezzo sarà, mettiamo, 5.000 euro più IVA. Poi se Lei compra come azienda l’IVA non c’è, se la compra come privato se la deve accollare.
Secondo Lei cosa servirebbe, di urgente, al mercato dell’arte italiana per renderlo più competitivo?
Secondo me servirebbe che si fluidificasse l’import e l’export dei beni culturali, che si velocizzasse: un mercante che viene a fare la Biennale di Firenze con queste regole sull’import ed export deve tenere gli oggetti fermi in Italia per un mese, un mese e mezzo, e per chi non ha molto stock e deve fare altre fiere questo è un limite. Quindi io vorrei che si trovasse un modo, casomai, per fare un passaporto, che ho sempre proposto diverse volte: un passaporto che faccia entrare e uscire l’opera senza problemi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).