“Dipingere è un processo di conoscenza”. Conversazione con Letizia Galli


Letizia Galli, nome di spicco dell’astrattismo italiano, è approdata all’arte dopo aver abbandonato una carriera universitaria di successo in ambito scientifico. Ci racconta la sua arte in questa conversazione con Gabriele Landi.

Letizia Galli (Roma, 1957) è una delle principali artiste astratte italiane. Dopo essersi laureata in Matematica Applicativa a Genova e aver insegnato Statistica all’Università di Londra, nel 1984 ha abbandonato la carriera universitaria per dedicarsi all’arte. Le sue opere sono fortemente influenzate dai suoi studi scientifici e matematici. Ha esposto in molti musei importanti, inclusi il Pecci di Prato, il Macro di Roma, la Whitechapel Gallery di Londra. Oggi vive e lavora vicino a Pisa. In questa conversazione con Gabriele Landi ci parla della sua arte.

GL. Letizia, la tua formazione è avvenuta in ambito scientifico-matematico. Come sei arrivata all’arte?

LG. Fin da piccola ero contornata da quadri e libri d’arte essendo il mio nonno fiorentino molto amico di pittori macchiaioli e ritrattisti. Mi dicevano che ero molto portata per l’arte, amavo moltissimo disegnare, a dieci anni copiavo Modigliani e Lautrec, volevo fare l’artistico. Ma per mio padre ciò era impensabile e quindi venni istradata a fare studi scientifici che mi avrebbero permesso di avere un lavoro stabile e ben retribuito. Poi, a 28 anni, ero a Londra, avevo finito con la mia borsa di studio in matematica, ero in un momento di insoddisfazione e incertezza, e ho buttato tutto all’aria, iscrivendomi a una scuola d’arte, scegliendo di fare quello che io volevo veramente fare nella mia vita.

Inevitabilmente come sempre accade si riparte da dove si smette. Che cosa è transitato del mondo matematico-scientifico nel tuo lavoro d’artista?

La mia formazione matematica è stata fonte iniziale della mia ricerca, iniziata circa a metà degli anni Ottanta. Mi sono portata dietro cose che sono diventate temi ricorrenti: la geometria frattale, il numero 2, algoritmi e processi ricorsivi e soprattutto l’albero binario. Penso che la mia formazione scientifica abbia influito anche sul mio approccio al “dipingere”: dipingere per me è un processo di conoscenza. Faccio degli esperimenti (talvolta infruttuosi), seguo delle procedure, osservo e cerco di capire il comportamento chimico e fisico di certi materiali e della gravità per sfruttarne gli effetti. Esiste un equilibrio tra il controllo che cerco di applicare e quello che poi si genera sulla tela (che si potrebbe pensare essere dovuto al caso, ma non credo che il caso esista in Natura). A parte la serie delle Piscine del (2002 realizzata con l’aerografo, tutti i miei quadri sono dipinti con tecniche sperimentali di mia invenzione. Riguardo agli esperimenti che non funzionano: ho molto scarto e tutto ciò è frustrante perché tanto lavoro e anche tanti soldi vanno in fumo quando butto via una tela che per me non va bene. Però per me dipingere è un processo di apprendimento e gli esperimenti che non funzionano servono comunque a farmi capire quello che non devo fare e ad accrescere la mia esperienza. È una metafora della vita in un certo senso: tanto tempo fa rimasi colpita da una frase che mi disse una terapeuta: “ Either you win or you learn” e imparare dai propri errori è molto importante, ci fa crescere. Non dipingendo in modo tradizionale, queste forme micro macro che si auto-generano sono inerentemente frattali, essendo la geometria frattale la geometria della Natura. La geometria frattale mi intriga molto: negli ultimi anni ho fatto molti lavori in piccolo formato che sono basati sul concetto dell’iconica griglia modernista. Le griglie dei pittori storici come Malevic e Mondrian o i reticoli degli astrattisti geometrici degli anni Cinquanta fino ai Settanta come alcuni lavori di Josef Albers, Ad Reinhardt, (e di tutti coloro che ancora usano il nastro adesivo) sono comunque griglie euclidee con contorni ben definiti e netti. Le griglie di altri pittori astratti come per esempio Rothko o Scully non hanno contorni netti ma sono comunque riquadri euclidei e sono dipinti in modo tradizionale. Nel mio caso invece la griglia è organica e inerentemente frattale perché non dipingo in modo tradizionale: il materiale pittorico si dispone all’inizio su un reticolo ma poi si può spostare sulla superficie della tela a causa della gravità, creando delle forme organiche. Quindi sono griglie dove c’è un ordine ma ci sono anche dei gradi di libertà e ciò in generale mi piace. Non mi piace il caos totale, ma neanche mi piace essere troppo costretta, mi piace ci sia un ordine ma anche avere la mia libertà.

Letizia Galli, D.White.5 (1998; olio su tela, 180 x 180 cm)
Letizia Galli, D.White.5 (1998; olio su tela, 180 x 180 cm)
Letizia Galli, Jagged (1998; olio su tela, 180 x 180 cm)
Letizia Galli, Jagged (1998; olio su tela, 180 x 180 cm)
Letizia Galli, Therapeutic Blue.1 (1996; olio su tela, 150 x 150 cm)
Letizia Galli, Therapeutic Blue.1 (1996; olio su tela, 150 x 150 cm)
Letizia Galli, Pool 2002.3 (2002; acrilico su tela, 180 x 250 cm)
Letizia Galli, Pool 2002.3 (2002; acrilico su tela, 180 x 250 cm)
Letizia Galli, Pool 2002.4 (2002; acrilico su tela, 180 x 250 cm)
Letizia Galli, Pool 2002.4 (2002; acrilico su tela, 180 x 250 cm)
Letizia Galli, Microcosmo (1996; olio su tela, 200 x 150 cm)
Letizia Galli, Microcosmo (1996; olio su tela, 200 x 150 cm)
Letizia Galli, Looking for the essence (2019; olio su tela, 70 x 50 cm)
Letizia Galli, Looking for the essence (2019; olio su tela, 70 x 50 cm)
Letizia Galli, Fractal.2 (2019; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Fractal.2 (2019; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Acceptance (2021; tecniche miste su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Acceptance (2021; tecniche miste su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Alone (2021; tecniche miste su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Alone (2021; tecniche miste su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Small pink and fat (2021; tecniche miste su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Small pink and fat (2021; tecniche miste su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Dittico Seagram grids (2020; tecniche miste su tela, 120 x 80 cm)
Letizia Galli, Dittico Seagram grids (2020; tecniche miste su tela, 120 x 80 cm)

ll tuo modo di lavorare può essere accostato alla così detta process painting?

Direi di no se non per il concetto di cercare di capire intimamente alcuni materiali pittorici, l’interazione tra loro e con la tela con l’effetto della gravità e del tempo. Mi discosto però dalla Process Art perché il processo non è particolarmente evidente e non è il fine ultimo del lavoro. Spero che il lavoro sia aperto ad altri significati a parte il processo, che vada oltre. Essendomi formata in Inghilterra, la mia pittura è di stampo inglese anni Ottanta-Novanta, la mia tesi era un’intervista a Giuseppe Panza di Biumo sul tema della pittura astratta. Mi identifico di più con pittori che, invece di dipingere tradizionalmente col pennello, drippano, colano, fanno muovere il media pittorico tramite la gravità o che si costruiscono dei loro particolari strumenti per dipingere. Se c’è del gestuale nel mio lavoro, non è per niente espressionista, non è Action come Pollock, è un gestuale controllato col contagocce tipo esperimento chimico, ho un approccio procedurale al lavoro. Per fare qualche nome penso a pittori come Nicky May, Callum Innes, Ian Davenport, Ross Bleckner, Jason Martin, Bernard Frize, e successivamente Alexis Harding e, prima, con espressionisti astratti come Helen Frankenthaler e Morris Louis. Sebbene fossero stati dipinti in modo tradizionale mi piacevano tanto i primi lavori di Larry Poons, un pittore americano anni Sessanta-Settnata, che, quando tutti facevano linee, lui faceva i “dots”, piccoli tondi. Anche io faccio tondi, lui li dipingeva col pennello quindi erano statici, io li dipingo colando del materiale, quindi sono dinamici.

Che importanza ha il colore in tutto questo?

Il modo in cui lavoro è piuttosto cerebrale, cognitivo, mentre è con la scelta del colore che esce la mia parte emotiva e spirituale. Io uso il colore in modo molto intuitivo e con il mood, lo stato d’animo del momento o del periodo. A parte qualche escursione con i rosa, in generale i due colori che continuo ad usare da decenni sono il nero e l’azzurro. Penso che il nero rispecchi un lato della mia personalità più introspettivo e più sofferente e l’azzurro il lato più positivo e desideroso di serenità. Sono molto attratta dai fondi neri da cui emergono luci e forme, mi piacciono i paesaggi notturni con le luci della città, ricordo che nel 1999 feci una personale alla Galleria Marabini di tutti quadri neri. Nella serie di quadri verdi del (2014 mi sono ispirata ai colori verdini dei primi computer. Ho usato anche molto l’azzurro per la valenza terapeutica di questo colore associato al cielo terso, all’acqua chiara (per esempio la serie dei Therapeutic Blue del 1996 e le piscine del (2002). Adesso sono tornata ad utilizzare l’azzurro nei quadri perché al momento ho bisogno di leggerezza ma allo stesso tempo vedo che ritorno sempre al nero. Sento di continuo tante brutte notizie di guerre, di disastri climatici, di femminicidi e di morti sul lavoro. Vedo molte persone vicine a me che hanno difficoltà economiche, o che stanno male o che sono mancate. I canali internazionali (non mainstream) che seguo, delineano stressanti scenari di un futuro distopico (non cosi tanto futuro) dove ci saranno sempre più controlli e restrizioni delle nostre libertà, ancora più povertà per il 99% della popolazione, cibi sempre più tossici e una tecnologia che, se non regolamentata in tempo, potrà solo danneggiarci. Mi rendo conto che quando dipingo mi riesco a sintonizzare temporaneamente su un canale molto particolare che mi riduce l’ansia di vivere in un mondo dove c’è così tanta cattiveria, intolleranza, avidità, pazzia, corruzione e ingiustizia. Lo stesso mi succede quando vedo un lavoro d’arte che mi piace. È un canale dove trovo originalità, intelligenza, stupore, meraviglia, mistero, commozione, pace. Ambisco e apprezzo la bellezza: non quella della decorazione ma quella dell’originalità, dell’intelligenza, dell’empatia, dell’etica.

Letizia Galli, Grid 22.4 (2022; tecniche miste su tela, 30 x 30 cm)
Letizia Galli, Grid 22.4 (2022; tecniche miste su tela, 30 x 30 cm)
Letizia Galli, Grid 22.8 (2022; olio su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Grid 22.8 (2022; olio su tela, 40 x 40 cm)
Letizia Galli, Grid 23.1. (2023; olio su tela, 150 x 50 cm)
Letizia Galli, Grid 23.1. (2023; olio su tela, 150 x 50 cm)

Puoi parlarmi delle tue sculture binarie?

Quando ero al college a Londra nel Novanta, presentando un albero binario, ero stata tra i finalisti di un bando per una scultura in larga scala per una grande azienda di telecomunicazioni. Avevo fatto anche altri lavori informati dal concetto dell’albero binario, questo grafo che ha la proprietà di biforcarsi e che cresce esponenzialmente. Poi, una decina di anni fa un mio collezionista mi ha spinto a riprendere il discorso dell’albero binario e da allora ho prodotto molti alberi tri-dimensionali e bi-dimensionali di varie misure e di vari livelli di complessità. La scultura tri-dimensionale parte da una lastra di ferro che viene tagliata al laser secondo una logica binaria e poi subisce circa 5/6 processi di lavorazione da parte di varie aziende toscane. Nel caso di altri materiali più sottili e più duttili il processo di piegatura è fatto da me e non a macchina. Al contrario del lavoro di pittura che faccio in pieno isolamento, la catena produttiva delle sculture è un lavoro di team ed è un gran piacere per me interagire con questi bravissimi specialisti toscani da cui imparo molte cose interessanti e con i quali ho instaurato, dopo l’iniziale diffidenza, un rapporto di reciproca simpatia e stima. L’albero binario può essere visto come l’albero della vita e come un’icona dell’Informatica. L’albero binario ha anche una valenza etica che è l’aspetto più importante per me. Infatti può essere associato all’interdipendenza dei fenomeni e alla non esistenza del caso in Natura. Sebbene la realtà ci appaia random o caotica, mi piace credere che tutto sia interconnesso e che ogni cosa che ci accade derivi da cause e condizioni. Se ciò fosse vero come io credo, noi avremmo una responsibilità morale ancora più forte perché ogni nostra scelta, ogni nostra azione avrebbe un impatto e delle conseguenze su noi stessi, sugli altri e sull’ambiente. Mi interessa molto ora poter fare degli interventi site specific temporanei realizzando delle ramificazioni binarie. Quella di Bientina era stata fatta con i nastri di distanziamento durante la pandemia all’esterno del capannone dove facevo cromare le mie sculture. Questa installazione aveva una valenza politica di dissenso contro le restrizioni che provavo io e molti altri in quel particolare momento storico. In questi ultimi anni tra pandemia, lockdown, poca mobilità, e gli aumenti proibitivi dei materiali e delle lavorazioni, non ho più prodotto delle sculture ma mi sono dedicata alla pittura, il mio grande amore da sempre.

Letizia Galli, Binary Tree BTK43D (2018; acciaio placcato oro, 40 x 8 x 27 cm)
Letizia Galli, Binary Tree BTK43D (2018; acciaio placcato oro, 40 x 8 x 27 cm)
Letizia Galli, Binary Tree BTK63D (2018; acciaio placcato oro, 57 x 16 x 36 cm)
Letizia Galli, Binary Tree BTK63D (2018; acciaio placcato oro, 57 x 16 x 36 cm)
Letizia Galli, Connection to the Divine (2019; alluminio verniciato, 84 x 56 x 32 cm)
Letizia Galli, Connection to the Divine (2019; alluminio verniciato, 84 x 56 x 32 cm)
Letizia Galli, Binary Tree BT7 LC Simmetrico (2019; alluminio placcato oro, 63 x 41 x 0,3 cm)
Letizia Galli, Binary Tree BT7 LC Simmetrico (2019; alluminio placcato oro, 63 x 41 x 0,3 cm)
Letizia Galli, Installazione Binary Tree BT presso TSM Bientina (2021; Nastri)
Letizia Galli, Installazione Binary Tree BT presso TSM Bientina (2021; Nastri)
Letizia Galli, Algorithm 17.2 (2017; olio su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Algorithm 17.2 (2017; olio su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Algorithm 17.4 (2017; olio su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Algorithm 17.4 (2017; olio su tela, 60 x 50 cm)
Letizia Galli, Algorithm 17.4, dettaglio
Letizia Galli, Algorithm 17.4, dettaglio
Letizia Galli, Algorithm 23.1 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Algorithm 23.1 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Algorithm 23.2 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Algorithm 23.2 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Algorithm 23.3 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)
Letizia Galli, Algorithm 23.3 (2023; olio su tela, 120 x 100 cm)

Tornando alla pittura, cosa stai facendo adesso?

Adesso in pittura mi sto dedicando a fare delle griglie con delle spirali che al momento mi attirano molto sia perché sono frattali presenti Natura (perché la Natura è frattale), sia perché le associo agli algoritmi. Devo però specificare che pur essendo partita da questi input, andando avanti col lavoro mi accorgo che non ha importanza per me da dove sono partita. Ogni nuovo lavoro fornisce informazioni al seguente e in questa concatenazione creativa si perde qualsiasi significato, qualsiasi rappresentazione, qualsiasi riferimento ma si va dentro un luogo misterioso, dentro un linguaggio retinico che non ha senso cercare di esprimerlo verbalmente o giustificarlo concettualmente: è pittura. Il (2022 l’ho passato in tribolazione: nei due anni precedenti avevo fatto molti lavori piccoli 40 per 40 cm o (50 per 70 cm al massimo) che andavano bene ero soddisfatta. Quando invece ho tentato di allargarmi su formati più grandi, tutto quello che facevo nel piccolo non funzionava più né da un punto di vista tecnico, né da quello compositivo. Erano lavori che non potevano avere un impatto a una certa distanza, è pazzesco come incida la dimensione nel mio tipo di ricerca, come tutto cambi nel grande. Quindi ho passato un anno facendo tanti lavori che non mi soddisfacevano e che scartavo, con gran dispendio di soldi, tempo e energia e ottenendo solo un un gran senso di frustrazione. Imparavo quello che non dovevo fare ma non quello che dovevo fare, ma anche ciò fa parte del processo di apprendimento. Poi, pian piano con pazienza, da inizio di quest’anno ho cominciato a vedere i frutti del lavoro degli anni precedenti. E quindi mi sembra che si sia aperto un cammino di ricerca interessante da percorrere.


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Gabriele Landi

L'autore di questo articolo: Gabriele Landi

Gabriele Landi (Schaerbeek, Belgio, 1971), è un artista che lavora da tempo su una raffinata ricerca che indaga le forme dell'astrazione geometrica, sempre però con richiami alla realtà che lo circonda. Si occupa inoltre di didattica dell'arte moderna e contemporanea. Ha creato un format, Parola d'Artista, attraverso il quale approfondisce, con interviste e focus, il lavoro di suoi colleghi artisti e di critici. Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Milano, vive e lavora in provincia di La Spezia.





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