La Pinacoteca Comunale di Faenza, il museo più antico della Romagna, ha compiuto negli ultimi anni importanti interventi di rinnovamento e di riallestimento e un’ampia campagna di restauri delle opere. In particolare, nei primi mesi del 2024 è stato presentato il nuovo allestimento delle sale dedicate al Novecento e alla collezione Bianchedi Bettoli-Vallunga, donata nel 2011 al museo e che conta una selezione delle principali correnti artistiche del Novecento italiano. In che ottica è stata rinnovata la Pinacoteca e come si presenta attualmente? Ne abbiamo parlato con Roberta Bartoli, direttrice scientifica della Pinacoteca Comunale di Faenza. L’intervista è di Ilaria Baratta.
IB. Faenza è stata tra le città maggiormente coinvolte dall’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna lo scorso anno, a maggio, e ora a un anno di distanza, un’altra alluvione ha colpito di nuovo la regione. Ci sono stati danni nei musei della città in seguito a quest’ultima? E riguardo all’alluvione del maggio 2023 la Pinacoteca Comunale di Faenza, che è il museo più antico della Romagna, ha risentito del difficile momento post-alluvione?
RB. Per fortuna la Pinacoteca non ha avuto danni materiali in seguito a questa seconda alluvione, visto che si trova in una zona dove le acque non sono arrivate. Tuttavia, ha naturalmente dovuto osservare le chiusure straordinarie imposte dall’emergenza. Non è stata colpita direttamente neanche dall’alluvione dello scorso anno (l’acqua si è fermata qualche centinaio di metri più a valle), che però ha messo in ginocchio la città e la sua economia. Un altro aspetto che viene poco considerato è quello del territorio circostante e dei collegamenti. Infatti le frane della zona collinare verso Brisighella e Marradi hanno creato enormi difficoltà nei trasporti, specialmente verso Firenze, sbarrando il percorso a una parte dei flussi turistici: la strada del passo della Colla è ancora punteggiata di tratti a senso unico alternato. Inoltre il celebre trenino che collega Faenza con Firenze è stato fermo per molti mesi, per gli accertamenti sulla tenuta del terreno, poi parzialmente sostituito con un sistema bus+treno, comunque scomodo e lungo. Ai primi di settembre aveva finalmente ripreso a viaggiare quasi come prima dell’alluvione, ma ora è stato di nuovo sospeso perché la linea è stata duramente colpita.
La Pinacoteca ha compiuto un importante intervento di rinnovamento nel periodo di chiusura dovuto all’emergenza sanitaria da Covid, ridefinendo anche gli spazi e gli allestimenti, al quale è seguita un’ampia campagna di restauri grazie al contributo della Regione Emilia Romagna. Per quale motivo si sono resi necessari questi interventi? In quale ottica di museo?
La Pinacoteca è situata nel convento gesuita del Settecento in cui si trova anche il liceo classico. Le sale destinate a museo sono in gran parte storiche, e gli adeguamenti devono pertanto rispettarne il carattere e i materiali. Per questo nel corso del Novecento ogni intervento è stato indirizzato a garantire l’utilizzo degli spazi (elettricità, riscaldamento, sistema antifurto), allo stesso tempo con molti limiti, dovuti anche alla tecnologia di allora e all’esigenza di mantenere l’apertura al pubblico. La chiusura imposta dal Covid ha consentito di avviare dei lavori difficili da concepire in tempi normali. Specialmente la grande sala del Medioevo e del Rinascimento, la prima che il visitatore vede entrando, è stata risistemata proprio in quel periodo con pannellature che permettono di distribuire meglio i dipinti e un nuovo impianto di illuminazione a led. Anche due sale più piccole al piano superiore sono state pannellate e riallestite. Sono stati lavori importanti che hanno dimostrato una rinnovata attenzione dell’amministrazione cittadina per il museo più antico della Romagna. La Regione Emilia Romagna ha poi dato enorme impulso a questo corso con i restauri di ben sei dipinti su tavola del Quattro e Cinquecento, tra i più importanti della collezione, ora tutti esposti.
È invece successivo, dei primi mesi del 2024, il nuovo allestimento delle sale dedicate al Novecento e alla collezione Bianchedi Bettoli-Vallunga, donata nel 2011 al museo e che rappresenta una selezione delle principali correnti artistiche del Novecento italiano. L’allestimento di questa sezione è in linea con gli interventi di rinnovamento di cui si parlava prima?
Direi di sì. Le opere della donazione Bianchedi Bettoli-Vallunga si trovano in due salette che non hanno carattere storico, e dunque la sistemazione di quegli spazi è stata per fortuna meno complessa, anche se ha comportato un radicale ripensamento dei criteri espositivi. Grazie al supporto finanziario di Bucci Industries e a un contributo della Regione Emilia Romagna, abbiamo potuto sistemare infissi e tende, rifare tutto l’impianto di illuminazione a led, organizzare meglio l’allestimento delle opere (con un sistema più versatile per appenderle) e provvederle dei necessari apparati didattici.
Come si presentano ora le sale del Novecento e della collezione di Augusto Vallunga e consorte? Perché è stato scelto il blu come colore delle pareti?
Le due sale ora invitano al raccoglimento, alla sosta davanti alle opere, tant’è vero che in quella più grande c’è anche un divano per potersi sedere. Alcuni disegni sono stati tolti dall’esposizione per motivi di conservazione: le opere su carta non possono stare troppo a lungo alla luce. Abbiamo invece inserito alcuni capolavori, da tempo in deposito, che fanno parte della collezione del museo - come lo splendido Mazzo di rose di Morandi e la Fanciulla al piano di Guido Ferroni – per costruire un dialogo con i capolavori della donazione. Lo studio di architettura Lucchi & Biserni ha scelto il blu scuro per le pareti, un colore che favorisce la concentrazione, creando un’atmosfera sospesa e facendo risaltare i dipinti sulle pareti. In effetti, grazie anche a dei faretti led di nuovissima generazione che esaltano i colori, i quadri hanno acquistato una vividezza che prima non si notava.
Quali sono le opere più importanti della collezione Bianchedi Bettoli-Vallunga che si possono vedere esposte?
Abbiamo dei capolavori che potrebbero ben figurare in un grande museo internazionale: Le Rive della Tessaglia di De Chirico, ad esempio, è un manifesto della pittura metafisica (datato 1926) che ci viene continuamente richiesto per varie mostre. La Natura morta con bottiglie di Morandi e la Periferia di Sironi, esposte una accanto all’altra, dialogano meravigliosamente ed esprimono due modi diversi di raccontare la solitudine e il silenzio, ma a ben vedere sono anche due modi molto poetici e astratti di rappresentare l’architettura: uno con le forme delle bottiglie e dei vasi, l’altro con i solidi scabri e nudi degli edifici. Tra le opere del secondo Novecento, abbiamo le splendide nature morte di Casorati (con il raro motivo delle farfalle) e di Mafai, e sulla parete accanto un accostamento molto coerente tra la Città con Statue di Fiume e la Scalinata di Campigli: in entrambi i casi la figura umana è ospitata in un ambiente urbano che però, a contrasto, rimane petroso e indifferente ai sentimenti.
Delle opere visibili in questa sezione, quante e quali sono quelle recentemente restaurate?
Le nostre opere del Novecento per fortuna godono di buona salute, al massimo abbiamo dovuto sostituire una cornice, ma per motivi estetici. Solo la Fanciulla al piano di Guido Ferroni (dei primi anni Trenta del Novecento) è stata restaurata, in occasione della bella mostra sull’artista tenutasi a Palazzo Pitti a Firenze nel 2023. L’opera era rimasta a lungo in deposito, la tela era allentata e anche la pulitura della superficie pittorica era necessaria.
In termini di illuminazione quali sono stati i miglioramenti apportati?
Ci siamo avvalsi della Erco, azienda leader nel settore. Non è solo una questione di faretti e impianti, direi che è stata una vera e propria collaborazione: i sistemi sono stati studiati ad hoc per ogni ambiente da Sergio Stocchi, uno specialista illuminotecnico dell’azienda, con progetti che tenevano conto delle fonti di luce naturale, dei volumi delle stanze, della posizione delle opere. Naturalmente si tratta di interventi molto costosi, e per questo abbiamo avuto donazioni veramente generose. La nuova illuminazione della grande sala delle pale d’altare, ad esempio, è stata interamente finanziata da Generali Arte, e potremo completare le prossime sale grazie alla Fondazione Maramotti e, di nuovo, a Bucci Industries, un’azienda faentina particolarmente interessata alla Pinacoteca.
Oltre agli interventi di rinnovamento e di allestimento, è stata scelta anche una nuova selezione dei dipinti esposti in Pinacoteca?
Certamente: ogni volta che una sala viene sistemata, viene ripensato l’allestimento. Come in quasi tutti i musei i capolavori sono sempre esposti, mentre le opere che costituiscono il “tessuto connettivo” vanno e vengono dai depositi. Al momento, ad esempio, la lunetta di Biagio d’Antonio raffigurante l’Annunciazione è all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze per un restauro che si annuncia lungo e molto complesso, ma abbiamo preferito diradare quella parete e intervallare i grandi dipinti di Biagio d’Antonio con una bella Madonna col Bambino di Angelo Zoppo, appena restaurata. Nella sala delle pale d’altare, abbiamo sostituito la tavola di Antonio di Mazzone, che aveva problemi conservativi, con la pala di San Maglorio di Jacopone da Faenza, un capolavoro.
E dal punto di vista degli apparati didattici quali criteri sono stati seguiti?
Ogni sala ha un pannello introduttivo e le opere sono corredate da didascalie essenziali ma esaustive, complete di provenienza, con in più un codice QR che rimanda a schede più approfondite.
Com’è il rapporto della Pinacoteca con la comunità locale? Qual è stato il suo riscontro riguardo ai nuovi allestimenti?
A Faenza la cultura ha grandissimo peso. Non a caso è stata definita l’Atene della Romagna… in più l’arte è nel DNA dei faentini, abituati all’estetica delle forme e dei colori grazie alla tradizione secolare della ceramica. La Pinacoteca sta diventando a poco a poco una meta per i cittadini, anche per via dei nostri ottimi programmi per le scuole, alla collaborazione con gli studenti del Liceo, chiamati a far da guida in un progetto gemellato con quello degli Ambasciatori dell’arte creato agli Uffizi, alle conferenze mensili, sempre frequentatissime (non ci sono mai meno di 80-100 spettatori). I nuovi allestimenti vengono percepiti in maniera differente a seconda di chi viene: gli specialisti e gli storici dell’arte notano i cambiamenti e finora mi sembra che li abbiano sempre apprezzati; i visitatori sono via via più numerosi e, a quanto pare, sono colpiti dalle opere, che naturalmente ora si vedono meglio.
Quanto conta secondo Lei un buon allestimento per favorire una maggiore frequentazione di un museo?
Naturalmente conta molto. Intanto, la tecnologia museografica – che ha fatto passi da gigante – permette di illuminare senza danneggiare le opere, che ora vediamo molto meglio rispetto a qualche decennio fa, quando le luci diffuse appiattivano i colori. Conta anche avere un sistema di sicurezza senza allarmi disturbanti, ma con sensori e videosorveglianza che integrano in maniera discreta ma efficace quella offerta dai custodi. Per quanto riguarda i criteri espositivi, va detto che nella Pinacoteca di Faenza abbiamo dei limiti di spazio, e spiace non poter mostrare alcune opere molto belle che però, se le aggiungessimo, sovraffollerebbero le pareti perdendo importanza e sminuendo quelle vicine. Trovo molto giusto il metodo usato dalle mie colleghe durante il Covid e che continuiamo a seguire: sfoltire con mano leggera, sacrificare qualcosa per esaltare quello che veramente conta. Il risultato è una narrazione più chiara e immediata, che aiuta il visitatore ad apprezzare i capolavori ma anche, se vuole, a scoprire qualche opera meno nota, o a soffermarsi su un dettaglio che in altre occasioni era sfuggito.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.