Come procedono le operazioni in vista della riapertura ai Musei del Bargello? Abbiamo raggiunto il direttore, Paola D’Agostino, che ci ha raccontato cosa è stato fatto nel periodo di chiusura dovuto al diffondersi della pandemia di Covid-19 da coronavirus, cosa si sta facendo per preparare i cinque musei del gruppo (Museo Nazionale del Bargello, Museo delle Cappelle Medicee, Museo di Orsanmichele, Casa Martelli e Palazzo Davanzati) per tornare ad accogliere il pubblico, e cosa si dovrebbe fare per rilanciare la cultura e avvicinare il più possibile i cittadini. L’intervista è a cura di Federico Giannini, direttore responsabile di Finestre sull’Arte.
Paola D’Agostino |
FG. Dottoressa D’Agostino, come si sono svolte le attività durante le settimane di chiusura nei Musei del Bargello?
PD. Abbiamo chiuso al pubblico l’8 marzo, dopodiché abbiamo trascorso una settimana di organizzazione in tempi record grazie alla collaborazione del personale e di tutti i soggetti coinvolti, perché il ministero non era abituato a lavorare secondo modalità di lavoro agile: a marzo avevamo soltanto due dipendenti in questo regime, un funzionario e un assistente amministrativo, che lo scorso agosto avevano cominciato un progetto sperimentale di lavoro agile del MiBACT. Dal 13 marzo ci siamo pertanto trovati a doverlo applicare a tutti, e per tutti intendo non soltanto i funzionarî e gli amministrativi: abbiamo messo a punto, in brevissimo tempo, una programmazione di progetti anche per gli addetti alla fruizione, accoglienza e vigilanza. Inoltre, per tutto il periodo della chiusura, io e il responsabile dell’ufficio tecnico ci siamo recati nei musei almeno una volta alla settimana, in alternanza, o una volta ogni quindici giorni insieme, per fare il giro e la verifica dello stato delle collezioni e degli immobili. Dunque, pur essendoci trovati in questa condizione privilegiata (è un sentimento stranissimo) che ci ha permesso di vedere musei silenziosi, di una bellezza molto suggestiva, mai come in questo periodo abbiamo sentito tutti la mancanza dei visitatori: così, per raggiungerli, i funzionarî storici dell’arte hanno sviluppato talenti di comunicazione, e assieme al nostro ufficio comunicazione, con il coordinamento del funzionario per la comunicazione, si sono attivati per creare una campagna Instagram molto efficace e coinvolgente – From Bargello with love. In più, c’è stato il presidio di sicurezza della vigilanza che io ho anche più volte ringraziato pubblicamente, perché non si è data abbastanza visibilità al fatto che tutti i nostri luoghi della cultura sono rimasti sicuri: questi lavoratori hanno prestato servizio di sicurezza e hanno mantenuto comunque attentamente vigilati questi luoghi fragilissimi e delicatissimi, e questo è stato veramente encomiabile, considerato anche che abbiamo una carenza di personale che non è mutata con l’emergenza, anzi si è acuita. Quindi abbiamo creato questo gruppo di valorosi che ha garantito la sicurezza dei luoghi e che poi si è via via ampliato nel mese di aprile, e il personale, anche se a distanza, ha dato grande prova di capacità di organizzazione, senso del dovere, spirito di condivisione, e forse questo è un aspetto positivo di tutta questa storia tragica.
Adesso che sono cominciate le riaperture, i musei si stanno muovendo un po’ a macchia di leopardo, perché le date di riapertura non sono le stesse per tutti: quando riapriranno i Musei Nazionali del Bargello? E al di là delle prescrizioni obbligatorie stabilite dal MiBACT, quali misure ulteriori avete in mente di adottare per garantire una visita in totale sicurezza?
Faremo un’apertura graduale, perché i Musei del Bargello sono un organismo molto diverso e molto delicato in quanto costituito da cinque singoli edifici monumentali che hanno già problematiche in tempi di accessi normali. Stiamo studiando percorsi unici con numeri di visitatori ridotti, e gli orarî sono ancora in fase di elaborazione. Non saremo tra i primi a riaprire, ma ci auguriamo di aprire Palazzo Davanzati e il Museo delle Cappelle Medicee (con percorsi a senso unico e contingentamento degli ingressi), mentre riapriremo più avanti ad inizio di agosto il Museo Nazionale del Bargello perché avevamo già in corso una serie di gare, tra cui una, molto importante e urgentissima, per la sicurezza del patrimonio, che prevede l’avvio di una revisione conservativa degli stemmi podestarili del cortile, della facciata esterna e della torre medievale, che è la seconda torre più alta di Firenze. Quindi, per motivi burocratici, i lavori potranno iniziare solo dopo la metà di giugno, ma ne abbiamo approfittato per avviare un’altra importantissima opera indifferibile, e cioè il rifacimento dei servizi igienici per il pubblico, che erano ormai desueti e assolutamente inadatti alle prescrizioni di emergenza sanitaria, ed era una gara che avevamo aggiudicato ad inizio marzo. Quindi, a questo punto preferiamo riaprire più tardi, ma con maggior sicurezza. Per il tempo in cui il Museo Nazionale del Bargello non sarà aperto al pubblico, stiamo preparando una serie di contenuti da distribuire anche online attraverso i nostri canali al fine di invogliare il pubblico, affinché ci dia il tempo di raccontare ancora di più il Bargello, in modo che quando saranno riaperte le porte, i visitatori saranno ancora più consapevoli. Per Orsanmichele e per Casa Martelli stiamo valutando quando e come riaprire, perché sono luoghi di grande delicatezza. C’è da tener presente che, come detto anche dal comitato tecnico-scientifico e ribadito dal Ministero, le aperture saranno graduali anche per valutare i flussi di visitatori, l’andamento della pandemia, e in generale tutte quelle precauzioni con le quali ci siamo ormai abituati a convivere quotidianamente. In merito alla visita, l’uso di audioguide per ora è sospeso, anche se il nostro concessionario dispone di audioguide che già ben prima dell’emergenza sanitaria venivano scrupolosamente sanificate dopo ogni uso. Quindi, su questo non ci sono problemi ma, già a dicembre scorso, sul nostro sito, avevamo comunque messo a disposizione delle brochure scaricabili, e nel nostro sito c’è dunque una sezione, chiamata Il Museo del Bargello a portata di mano, che permette a ogni visitatore di scaricare contenuti sul proprio telefonino o tablet e venire già equipaggiato per fare una visita in autonomia.
Il Museo del Bargello |
Museo delle Cappelle Medicee, La Sagrestia Nuova di Michelangelo. Ph. Credit Andrea Jemolo |
Lei ha parlato di flussi di visitatori: ovviamente dovremo aspettarci dei cali drastici, un po’ perché le persone avranno paura d’esser contagiate e dunque si muoveranno poco, un po’ perché avranno paura di contagiare gli altri (gli esperti, del resto, ci dicono che nessuno può sapere come e quanto può essere contagioso) e un po’ perché l’esperienza (penso ai musei svedesi mai chiusi, neppure nelle fasi più acute dell’epidemia) insegna che, anche quando i musei sono aperti, il rispetto e il timore sono tali che i numeri calano drasticamente. Ci sarà quindi bisogno di fare un’opera di riconquista che forse andrà anche al di là delle notizie sull’andamento epidemiologico. Come riconquistare questa fiducia quando la situazione lo permetterà?
Credo che l’idea di aprire in maniera graduale i musei e dotare tutto il personale dei dispositivi di sicurezza che sono stati richiesti darà il messaggio che si potrà andare a visitare i musei in tranquillità e in sicurezza, mantenendo le distanze. Per questo si faranno dei nuovi piani con i quali saranno monitorati gli ingressi ancora più di prima. Inoltre, le persone, per certi versi, avranno un’occasione unica, quella di poter visitare i musei come se fosse una visita privata straordinaria, perché dando l’agio di visitarli non con la massa di persone ma con un numero limitato e con la possibilità di fare dei percorsi a senso unico, si consentirà di vedere i musei e le mostre come se si fosse in uno, in due o in tre visitatori, quindi dando anche ampio margine di fare una visita di carattere eccezionale. Quello a cui noi miriamo è far sì che i cittadini possano riappropriarsi del loro patrimonio. Si parla sempre di turismo, di fiorentini che si sentivano mandati via dai loro musei, ma credo che si debba fare un’operazione più profonda, che vada al di là dell’incoraggiamento a venire a riscoprire il proprio patrimonio, e che insista sul fatto che si possa farlo in tranquillità, in sicurezza e anche con piacere, perché a chi non è appassionato di storia dell’arte può sembrare un controsenso, ma andare al museo provoca una miriade di sensazioni e sollecitazioni non solo visive, ma anche di associazioni: ogni opera si guarda ogni volta con occhi diversi, e la stessa idea di raccontare le opere sui canali digitali nasce proprio con lo scopo di far vedere alle persone molte opere poco note. Operazioni di questo tipo incuriosiscono, lo si è visto anche banalmente con i commenti su Instagram di molti che non ricordavano che al Bargello fossero conservate certe opere: la nostra densità espositiva è tale che, ovviamente, tutti conoscono il Bacco di Michelangelo, la Costanza Bonarelli di Bernini, il David di Donatello, le opere di Verrocchio, ma magari non tutti conoscono la strepitosa collezione di maioliche, gli avorî, la collezione islamica, gli affreschi giotteschi con il più antico ritratto di Dante, o i merletti che adesso esponiamo durante la mostra Bellezza e nobili ornamenti nella moda e nell’arredo del Seicento, e quando riapriremo il Museo delle Cappelle Medicee, la Cappella dei Principi potrà essere fruita da chi verrà a visitare i musei in assoluta magnificenza perché il 12 marzo, dopo oltre vent’anni, abbiamo tolto i ponteggi, e oggi è sgombra, e si vedrà come molti non l’hanno mai vista (questo vale di sicuro per chi è nato dal 1999 in poi), e tanti che l’avevano vista in passato probabilmente non la ricorderanno. Io stessa, dopo averla vista completamente vuota, al di là dell’emozione, ho avuto un attimo di spaesamento. Credo pertanto che molti che si avvicineranno al proprio patrimonio potranno avere questa rinnovata sensazione di sorpresa: ultimamente si è puntato sulla creazione dell’evento, dell’occasione, della mostra, sull’andare in un museo perché c’è qualcosa da vedere, e di conseguenza si presenta questo qualcosa come uno spettacolo che o si vede ora o non si vedrà mai più. Questo aspetto continuerà certamente a far parte della visita ai musei, però quello che contraddistingue tutti i musei italiani dal resto dei musei del mondo è che noi siamo una mostra permanente: quindi, tornare a rivederli più volte equivale a darsi il privilegio di sorprendersi e scoprirli un po’ alla volta, senza l’ansia di voler vedere tutto insieme perché poi scompare.
Il legame tra cittadini e patrimonio è un altro dei temi fondamentali su cui si sta insistendo molto in questi giorni, e anche le misure sul turismo incluse dal governo nel decreto rilancio puntano in parte su questo invito a riscoprire il nostro patrimonio. I numeri sono però molto impietosi, perché le ultime statistiche Istat rilevano che in un anno il 69% degli italiani non è mai entrato in un museo, mentre si arriva al 75% se si parla di mostre e all’80% per i siti archeologici. Cosa c’è da fare per stimolare una curiosità che, evidentemente, non siamo stati bravi a destare a sufficienza? Quali strategie, quali elementi innovativi possiamo introdurre per stimolare una risposta da parte degli italiani?
Gli italiani non vanno a vedere i loro musei, ma quando viaggiano all’estero sono voraci visitatori dei musei degli altri paesi. Detto questo, credo che si debba fare una campagna di comunicazione a più livelli. È vero che la comunicazione digitale sta avendo un enorme successo, ma è anche vero che i visitatori italiani hanno una fascia d’età talmente elevata che metà della popolazione ha un accesso al digitale limitata o inesistente, quindi tante cose vanno spiegate a mezzo stampa, con campagne di comunicazione ad hoc che io mi auguro il MiBACT intraprenda innanzitutto a livello centrale, come ha fatto quando ha iniziato lo spot L’arte ti somiglia o lo spot per l’Art Bonus del 2020, proprio con l’obiettivo di dare il senso della proprietà del patrimonio pubblico. Credo anche che occorra un profondo cambiamento culturale (anche se non possiamo aspettarci che avvenga nel giro dei pochi mesi che ci separano dalla fine del 2020) per il quale tutti noi, professionisti e cittadini, dovremo abituarci a diventare un po’ turisti delle nostre città. Lo dico anche da persona che ha lavorato spesso all’estero: ogni volta che tornavo in Italia per me era una sorpresa. E ai miei familiari facevo notare che non si rendevano conto di vivere in un paese così meraviglioso. Io mi auguro che, via via che le persone riprenderanno a uscire regolarmente e si supererà anche quello che è un giustificato timore psicologico (perché ormai chiunque ha paura dell’altro), tutti dovranno imparare a riscoprire la propria cultura, la propria città, la bellezza del godersi la propria città, e questa è un’operazione culturale che richiederà tempo e che dovrà ovviamente contare sull’apporto di scuole e università, che avranno un ruolo fondamentale. Tuttavia, i canali come la carta stampata e la televisione sono strumenti fondamentali in questo momento, affinché si racconti il nostro patrimonio. Ovviamente le riviste specializzate come la vostra lo fanno già tutti i giorni, ma questo non vale per le testate generaliste: iniziare a far capire che le notizie sull’arte possano far parte della nostra quotidianità credo che aiuti tutti e che aiuti la consapevolezza del fatto che siamo tutti fruitori temporanei, ma se non c’è la coscienza del fatto che la cultura è essenziale nella nostra vita, non riusciremo a trasmettere l’essenzialità del servizio neanche alle generazioni future, e questo secondo me è il pericolo più grave.
Il Museo di Orsanmichele |
Casa Martelli |
Palazzo Davanzati |
A proposito di pericoli. È notizia di pochi giorni fa che i musei civici fiorentini non riapriranno perché la riapertura non è per loro economicamente sostenibile. Dal punto di vista della sostenibilità economica, come sono messi i musei statali? E soprattutto, cosa abbiamo sbagliato per arrivare al punto in cui un assessore alla cultura dichiara di non poter riaprire i musei perché la città non può permetterselo?
Per quel che riguarda i musei statali è ovvio che tutti noi avremo perdite, che però non si possono ancora quantificare, perché lo sapremo solo alla fine dell’anno finanziario in corso, e in questo i musei autonomi sono i più colpiti, dal momento che in questi quattro anni sono quelli che hanno fatto da traino a tutti gli altri. Io posso dirle che i Musei del Bargello, che sicuramente tra i musei autonomi di Firenze sono quelli meno ricchi, tra il 2016 e il 2020 hanno visto un aumento degli introiti del 37%. Questo ovviamente non ci sarà più. Per quello che riguarda la sostenibilità, le nostre proiezioni sono state abbastanza prudenziali per il 2020 perché sapevamo già che saremmo stati impegnati in tante opere di riallestimento e di ristrutturazioni: quindi, se escludiamo la mostra Bellezza e nobili ornamenti, non avevamo messo in calendario nessuna mostra e ci stiamo preparando alle celebrazioni dantesche del 2021, ma anche in questo caso con previsioni di bilancio tutte da rifare. Io credo che se a fine anno avremo avuto un calo dei visitatori del 50% sarà stato già un successo enorme: per questo bisogna contare sugli italiani, sul turismo di prossimità, sul riscoprire la propria regione e sulle piccole azioni quotidiane, perché chiunque comprerà un caffè, andrà dal parrucchiere, acquisterà una pizza d’asporto, mangerà in un ristorante o visiterà un museo aiuterà i propri concittadini, aiuterà sé stesso e aiuterà il proprio paese. Quanto alla seconda domanda, premetto che non conosco a sufficienza la situazione del Comune per poter esprimere un giudizio: so che stanno lavorando seriamente, e noi siamo in contatto continuo con l’assessore Sacchi (so che in questo periodo hanno fatto tantissimo per mantenere viva l’attenzione sul patrimonio dei musei civici). Dal nostro canto, noi siamo musei dello Stato, siamo servizî essenziali, quindi faremo delle aperture sperimentali e insieme forse a pochi altri faremo probabilmente da battistrada. Forse quello che abbiamo sbagliato è non credere a sufficienza in noi stessi, ma non lo dico in maniera retorica, lo dico perché alla fine sono tanti i musei nel mondo che non riapriranno o riapriranno in forma ridotta: addirittura, tanti grandi musei all’estero stanno prevedendo licenziamenti e congedi. Tutto questo però in Italia non è arrivato, e non se ne parla a sufficienza: io personalmente vivo storie di colleghi carissimi che sono in grandissima difficoltà. Allora forse, invece di criticare sempre, in questo momento dovremmo anche apprezzare lo sforzo enorme che questo paese sta facendo con un decreto legge corposo (perché non è stato dimenticato nessuno): per una volta, investiamo su noi stessi, ripartiamo in sicurezza quando lo potremo fare, investiamo sull’Italia, perché questa è una cosa che non è mai stata fatta negli ultimi trent’anni. Dagli anni Ottanta l’Italia è stata molto proiettata su cosa fanno gli altri e sul cercare di fare come gli altri, ma forse se cerchiamo di fare come sappiamo fare potremo ancora una volta diventare noi l’esempio, come siamo stati in tanti periodi storici.
Per concludere, un’ipotesi su quello che potrebbe accadere nei musei italiani guardando a quello che succede all’estero. In alcuni paesi le misure sono molto severe: in Spagna, per esempio, sono state proibite le visite guidate, è stato posto un divieto agli eventi e, in generale, a tutte le attività che prevedono raggruppamenti di persone (in Francia, invece, le misure sono più morbide: si possono fare attività ammesso che si rispetti la distanza di sicurezza). Nell’ipotesi che vengano applicate misure rigide che non consentano di poter svolgere le visite guidate, gli eventi, o che ci sia la possibilità di fare solo percorsi obbligati o che vengano introdotti dispositivi che in qualche modo cambieranno la visita, secondo Lei il museo potrà ancora esercitare pienamente le sue funzioni o dovrà reinventarsi?
Innanzitutto occorre premettere che ci troviamo di fronte a una situazione di tale eccezionalità che neanche durante la guerra abbiamo sperimentato tutto questo. In questo periodo di pandemia io ho cercato conforto nelle situazioni del passato, e purtroppo non c’è tanta memoria di come si siano comportati i musei durante l’epidemia della Spagnola, che è l’unica cosa vagamente confrontabile con quello che sta succedendo adesso. Ho letto poco tempo fa la bellissima biografia di Fernanda Wittgens (che resta una donna leggendaria): neanche Brera ha chiuso tutto il tempo durante la seconda guerra mondiale. Detto ciò, io credo davvero che si debba fare un passo alla volta. Per esempio, il percorso obbligato potrebbe essere uno stimolo, perché comunque consente di osservare le opere con maggiore attenzione, con maggiore spazio, con maggiore meditazione. Anche un settore enorme (e penso in particolare a Firenze) come quello delle guide turistiche, che è completamente messo in ginocchio da questa situazione, potrà reinventarsi e quindi puntare su gruppi più piccoli, su visite più approfondite, su gruppi molto limitati, sulla sosta nei luoghi meno tempo ma con una qualità maggiore. Dovremo poi scoprire parti dei musei che finora erano ignorate, perché i programmi dei turisti prevedevano che in un giorno si dovessero vedere, mettiamo, sette musei: magari ora i turisti ne vedranno uno o due ma con un itinerario molto più ricco dal punto di vista delle informazioni, dell’esperienza visiva, della qualità della visita. A Palazzo Davanzati, per esempio, ci stiamo impegnando per riaprire sempre il terzo piano che fino all’8 marzo si poteva vedere solo a gruppi su prenotazione. Per fare questo ci sarà bisogno di campagne di comunicazione. Occorrerebbe che la televisione, la stampa, i canali digitali facessero anche dei brevissimi approfondimenti in pillole sul nostro patrimonio e invitassero anche gli assessori cittadini a scoprire territorî diversi, a implementare mezzi di trasporto che aiutino a raggiungere luoghi che oggi sono irraggiungibili: faccio l’esempio delle Ville Medicee che sono sotto la direzione regionale dei musei della Toscana di Stefano Casciu, che è bravissimo e abilissimo, ma fino a due mesi fa si trovava a competere con i “giganti” del centro. Questa situazione potrebbe dunque offrirci la possibilità di riscoprire le Ville Medicee d’estate, creando dei collegamenti che possano aiutare a raggiungerle. E poi Firenze ha sempre avuto capacità anche produttive e di investimento, e io credo che su questo la città, via via che gradualmente si riaprirà e si sperimenteranno i percorsi, troverà nuove soluzioni. Per i nostri musei credo che continueremo a invogliare chi verrà a vederci a fare rete, come si suol dire, nel senso che noi già l’anno scorso avevamo lanciato il nostro abbonamento annuale, la Uam Pass, il cui acronimo sta per “Un Anno ai Musei”, e che con 50 euro l’anno consente l’accesso illimitato a tutti i musei tutte le volte che si vuole. Credo che punteremo molto su questi strumenti e su esperienze alternative, anche perché comunque ci sono famiglie che soffrono una crisi finanziaria enorme. Pensiamo anche ai bambini: molti di loro, per diversi motivi, potrebbero trovarsi nella condizione di non poter andare in vacanza. I bambini potranno però venire a giocare nei nostri musei, e per “giocare” non intendo giocare in maniera scomposta, ma insegnar loro a guardare le opere da un punto di vista di gioco intelligente. Insomma, siamo in enorme difficoltà, ma credo anche che da tutti gli accidenti possano scaturire opportunità uniche, e da questo punto di vista potremo mettere a frutto tanti progetti che avevamo sperimentato in questi anni (penso ad esempio ai laboratorî per famiglie, alle visite per ipovedenti che dovranno essere ripensate ma comunque speriamo di riprendere nei mesi autunnali). È difficile adesso fare delle previsioni tout court, perché credo che quello che dobbiamo fare in primo luogo è fare innamorare i fiorentini e gli italiani dei musei, che hanno a due metri da casa, che potranno visitare in sicurezza, che potranno riscoprire in una dimensione tutta personale e personalistica. E anche da quello che loro ci chiederanno ci potremo attrezzare, perché quest’estate tanti bambini non potranno andare in vacanza ma potranno visitare gratuitamente i musei statali, perché anche fino a 18 anni l’ingresso è gratuito, perché fino a 25 anni si pagano 2 euro, perché visitare un museo è anche un modo di impiegare il tempo in cui si imparano cose con costi limitati, vista la situazione economica, e noi ci impegneremo ancora di più per aumentare l’offerta di informazioni, didattica, video e tutto quello che abbiamo già iniziato a fare e che contiamo di fare ancora di più e meglio per raggiungere tutti, in tutte le fasce d’età.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).