Dürer, un grande visionario fatalmente attratto dall'arte italiana. Intervista a Diego Galizzi e Patrizia Foglia


Diego Galizzi e Patrizia Foglia, curatori della mostra “Albrecht Dürer. Il privilegio dell'inquietudine”, raccontano il grande artista tedesco in questa ricca intervista.

Fino al 19 gennaio 2020, il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo (Ravenna) ospita la mostra Albrecht Dürer. Il privilegio dell’inquietudine, una rassegna che esplora, con centoventi opere, la produzione del grande artista tedesco Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528) nel campo dell’incisione. Abbiamo raggiunto i curatori della rassegna, Diego Galizzi e Patrizia Foglia, e con loro abbiamo parlato di alcuni dei capolavori in mostra, delle anime dell’arte di Dürer, dei suoi incontri, dei temi della sua arte, delle sue motivazioni. L’intervista è a cura di Ilaria Baratta.

Albrecht Dürer, Melencolia I (Melanconia) (1514; bulino, 240 x 186 mm, esemplare privo di margini; esemplare di II stato su due, con caratteristiche simili alla variante D secondo Meder; iscrizioni: data e monogramma AD in basso a destra)
Albrecht Dürer, Melencolia I (Melanconia) (1514; bulino, 240 x 186 mm, esemplare privo di margini; esemplare di II stato su due, con caratteristiche simili alla variante D secondo Meder; iscrizioni: data e monogramma AD in basso a destra)

IB. Nella volontà di creare esposizioni sul filone dei maggiori artisti internazionali che si sono meglio espressi attraverso la pratica dell’incisione, la mostra dedicata ad Albrecht Dürer intende essere un omaggio al “padre fondatore” del pensiero grafico. Perché Dürer può essere considerato colui che portò per primo l’arte dell’incisione ad altissimi livelli?
DG-PF. Max Klinger, artista cui abbiamo dedicato l’esposizione dello scorso anno, nel suo trattato Malerei und Zeichnung uscito nel 1891, afferma che Dürer fu suo maestro nell’arte dello stilo, l’unico mezzo espressivo, l’unico linguaggio artistico capace di raffigurare il mondo conferendo ad esso intensità e significato. L’opera di Dürer si pone all’inizio di una lunga storia nella quale l’incisione ha saputo dare testimonianza degli aspetti più profondi e complessi della realtà dell’uomo, della sua vicenda esistenziale; egli è stato anche un abile maestro nella tecnica, assimilando ciò che poteva da chi lo aveva preceduto plasmando un linguaggio del segno divenuto dopo di lui imprescindibile. Lui è stato un artista moderno anche in questa capacità straordinaria di rendere l’incisione una lingua compiuta, non più al servizio dell’illustrazione, non al solo scopo della mera circolazione di motivi, ma Arte piena e significante.

Titolo dell’esposizione è Albrecht Dürer. Il privilegio dell’inquietudine, affermazione con cui s’intende sintetizzare il carattere proprio di Dürer, ovvero una personalità dalle mille sfaccettature se lo si osserva sia come uomo che come artista. In che modo sono state presentate in mostra le diverse anime di Dürer? Perché nel caso di Dürer l’inquietudine è un privilegio?
Dürer viveva una costante tensione tra impulsi psicologici contrastanti. Per certi versi è stato uno dei più acuti e pazienti osservatori della realtà, come dimostrano ad esempio i suoi superbi e meticolosi bulini, eppure è stato un grande visionario, capace di dar forma e forza a una gran quantità di immagini interiori. L’immaginifico ciclo dell’Apocalisse testimonia una fantasia al limite dell’irrazionale, eppure deve la sua straordinaria potenza alla credibilità di quelle immagini, alla saldezza dei modellati, alla varietà delle espressioni, allo studio “razionale” delle conquiste del Rinascimento italiano. Per quanto convinto che la creazione artistica fosse una sorta di mistero, di dono infuso dall’alto, la sua vicenda artistica è caratterizzata da una costante aspirazione verso il raggiungimento di principi razionali. Il percorso della mostra accompagna lentamente il visitatore tra queste forze contrastanti, voltando le pagine di un’identità artistica instabile, eternamente insoddisfatta, a volte contraddittoria, capace di passare dalle insensatezze della Nave dei folli, o dalla turbolenta Apocalisse, alle vere e proprie prove drammaturgiche delle Passioni di Cristo, fino agli esiti più estremi delle sue ricerche sulla rappresentazione “scientifica” dei corpi e dello spazio, così ben rappresentate da capolavori come il Piccolo cavallo, Adamo ed Eva o il San Girolamo nello studio. In questa straordinaria avventura del sapere sta la sua inquietudine e, insieme, il suo privilegio: di qui la scelta di titolare la mostra con una citazione tratta da Henri Focillon, che nel suo ispirato saggio su Dürer sintetizza nel “privilegio dell’inquietudine” la grandezza dell’artista di Norimberga.

Uno dei suoi capolavori più celebri è Melanconia, che è presente all’interno del percorso espositivo. L’opera racchiude in sé un vero autoritratto spirituale dell’artista e rivela inoltre la sua consapevolezza che avvicinarsi all’arte e al mondo utilizzando solo la ragione non era adatto al suo tempo. Potreste approfondire maggiormente questi aspetti celati in Melanconia?
Quest’opera di Dürer rappresenta il perno sul quale gioca l’intera sua concezione dell’arte; per questo motivo abbiamo voluto chiudere con essa il percorso espositivo, accompagnando il visitatore sino alle soglie di una possibile comprensione della natura umana e delle sue molteplici sfaccettature, le soglie di un mistero che nemmeno la perfezione estetica, la bellezza della natura, la ragione, l’arte sono in grado di comprendere pienamente. Vi sono raffigurati numerosi simboli e richiami alla teoria neoplatonica dei quattro umori o temperamenti basata, sin dall’antichità, sulla convinzione che l’uomo fosse dominato, per mente e corpo, da quattro fluidi legati a loro volta ai quattro elementi naturali, ai venti, alle stagioni, alle fasi della vita. Il perfetto equilibrio tra questi quattro temperamenti, la collera, il flegma, il sangue, la melancolia, era possibile solo idealmente e per un essere quasi immortale, divenendo invece irraggiungibile all’uomo a causa del peccato originale. Uno degli umori prevale sempre sull’altro definendo per ognuno di noi la propria personalità. Panofsky descrive in modo mirabile quest’opera, per la quale esistono miriadi di interpretazioni esoteriche, magiche, irrazionali. L’opera segue un lungo filone iconografico, legato spesso anche all’ambito medico o filosofico, ma Dürer crea qualcosa di unico e irripetibile: seduto a riflettere c’è un essere superiore, attorniato dagli elementi della creazione, poiché l’artista è “creatore” al pari di Dio, oltre a strumenti scientifici, utili a perseguire la conoscenza piena delle regole della natura. Vi sono richiami all’astrologia, all’astronomia, alle scienze matematiche, alla tecnica; è il suo sguardo di attento teorico e studioso che entra in gioco in questa raffigurazione. Potrà mai la ragione, lo studio, la conoscenza portare l’uomo alla perfetta sapienza e alla comprensione del tutto? C’è disagio ma anche accettazione, la malinconia dei giorni ultimi, c’è fatica, dolore, ma anche un atteggiamento riflessivo profondo. La bellezza, la perfezione, sono anche per lui impossibili da raggiungere: qui si ferma la mano geniale dell’uomo, davanti alla imperscrutabile creazione divina.

Albrecht Dürer, Il piccolo cavallo (1505; bulino, 165 x 108 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, in variante A secondo Meder; iscrizioni: in alto al centro la data; in basso al centro il monogramma AD; filigrana: testa di toro e triangolo - M. 62; BR. 14881; Collezione privata)
Albrecht Dürer, Il piccolo cavallo (1505; bulino, 165 x 108 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, in variante A secondo Meder; iscrizioni: in alto al centro la data; in basso al centro il monogramma AD; filigrana: testa di toro e triangolo - M. 62; BR. 14881; Collezione privata)


Albrecht Dürer, Adamo ed Eva (Il Peccato originale) (1504; bulino, 249 x 191 mm, esemplare privo di margini; esemplare di III stato su tre, con caratteristiche simili alle varianti A, B o F secondo Meder; iscrizioni: nel cartiglio, in alto a sinistra “ALBERT / DVRER / NORICVS / FACIEBAT / [Monogramma AD] 1504”; filigrana: testa di bue sormontata da una freccia - M. 62; Collezione privata, Brescia)
Albrecht Dürer, Adamo ed Eva (Il Peccato originale) (1504; bulino, 249 x 191 mm, esemplare privo di margini; esemplare di III stato su tre, con caratteristiche simili alle varianti A, B o F secondo Meder; iscrizioni: nel cartiglio, in alto a sinistra “ALBERT / DVRER / NORICVS / FACIEBAT / [Monogramma AD] 1504”; filigrana: testa di bue sormontata da una freccia - M. 62; Collezione privata, Brescia)


Albrecht Dürer, San Girolamo nello studio (1511; xilografia,  235 x 160 mm, esemplare con piccoli margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante E secondo Meder; iscrizioni: data in basso a destra, monogramma AD in basso al centro; Pavia, Musei Civici)
Albrecht Dürer, San Girolamo nello studio (1511; xilografia, 235 x 160 mm, esemplare con piccoli margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante E secondo Meder; iscrizioni: data in basso a destra, monogramma AD in basso al centro; Pavia, Musei Civici)

Dürer sentiva continuamente il desiderio di raggiungere la perfezione, focalizzandosi soprattutto sulla bellezza. Che cosa era per lui la bellezza? Il fatto di guardare all’arte rinascimentale italiana, dove la bellezza era, si può dire, il filo conduttore delle opere rappresentative di quest’epoca (si pensi a Raffaello, a Leonardo, a Botticelli...), quanto ha influito sul suo ideale d’arte?
L’incontro col Rinascimento italiano è stato determinante a fare di Dürer quel maestro assoluto che noi conosciamo. Grazie a quest’incontro scoprì ben presto che l’arte era molto più che una miscela di talento naturale e paziente pratica di mestiere: era soprattutto una conquista intellettuale. Dürer era fatalmente attratto dall’Italia e cercava di inseguire i maestri italiani sul terreno delle loro conquiste. Lo fece in particolar modo nella rappresentazione del corpo umano, al quale si sforzava di infondere grazia e proporzione, concetti sostanzialmente sconosciuti all’arte tedesca. La sua ricerca era dettata principalmente dal desiderio di uscire dal caos e dall’arbitrario (che lui stesso imputava agli artisti tedeschi del tempo) per acquisire le “giuste fondazioni” e raggiungere così le vette della forma pura. Il canone di bellezza a cui aspirava passava per l’applicazione dei principi teorici e matematici di Vitruvio e delle esperienze degli artisti rinascimentali, costringendo la figura umana in un complesso sistema di segmenti e forme geometriche, eppure non abdicò mai del tutto dal seguire quella che considerava la via maestra nella sua visione dell’arte, vale a dire l’osservazione diretta della realtà, cosa che nei suoi trattati consigliava di fare prima di ogni cosa ai giovani artisti. La Nemesi è l’esemplificazione perfetta di questo delicato equilibrio: la struttura del corpo della Dea è il risultato di precisi calcoli basati sui dettami vitruviani, ma le sue sembianze sono tratte dalla vita di tutti i giorni, tanto che quel corpo potrebbe essere quello di una contadina norimberghese. D’altro canto, qualche anno dopo si inoltrò ben più decisamente nella ricerca della rappresentazione della bellezza “ideale” con l’Adamo ed Eva, un’opera straordinaria, che manifesta il suo desiderio di offrire l’esempio di due corpi che siano non solo perfetti nelle proporzioni, ma anche modellati con convenienza classica.

Il percorso espositivo consta di dieci sezioni tematiche, volte a raccontare ai visitatori l’arte di Dürer attraverso le sue incisioni. Nel corso della sua carriera artistica si modifica la sua arte e la visione di quest’ultima?
Non sarebbe quel grande genio che fu se non avesse fatto tesoro delle sue esperienze, su tutte quelle vissute in Italia, nei due viaggi compiuti, alla scoperta della luce, della prospettiva, del paesaggio italiano. Il suo confronto con gli artisti attivi a Venezia, Roma, Bologna fu un confronto talmente produttivo da rivoluzionare la sua concezione dell’arte, spronandolo ad affrontare nuovi temi, dandogli la padronanza piena dello spazio e della composizione. Si compie così una sintesi perfetta tra lo stile nordico e la maniera italiana. La sua volontà fu quella di plasmare il suo animo, maturando la propria ispirazione artistica alla luce di ciò che altrove si stava compiendo, non quale semplice assimilazione bensì come appropriazione piena. Nella sua produzione sono visibili questi passaggi così significativi, come ad esempio ad inizio del secolo l’assimilazione delle regole prospettiche, la padronanza delle proporzioni, desunte dai testi vitruviani, che lo fanno uno dei massimi teorici del tempo. È il suo un viaggio nella conoscenza piena della realtà e dei suoi meccanismi, questo il suo “viaggio”, l’elemento che lo distingue facendone un privilegiato e consentendogli di raggiungere un equilibrio classico difficilmente imitabile e visibile sin nelle ultime sue prove.

Albrecht Dürer, Madonna del Patrocinio o Madonna di Bagnacavallo (1495-97 circa; olio su tavola, 47,8 x 36,5 cm; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca, inv. 581)
Albrecht Dürer, Madonna del Patrocinio o Madonna di Bagnacavallo (1495-97 circa; olio su tavola, 47,8 x 36,5 cm; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca, inv. 581)


Albrecht Dürer, La Madonna col Bambino seduta presso un muro (1514; bulino, 147 x 101 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, variante A secondo Meder; iscrizioni: a destra, verso il centro, data e monogramma AD)
Albrecht Dürer, La Madonna col Bambino seduta presso un muro (1514; bulino, 147 x 101 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, variante A secondo Meder; iscrizioni: a destra, verso il centro, data e monogramma AD)


Albrecht Dürer, La Sacra Famiglia della libellula (1495 circa; bulino, 240 x 188 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante C secondo Meder; iscrizioni: in basso al centro monogramma AD; filigrana parzialmente visibile ma non identificabile; Pavia, Musei Civici)
Albrecht Dürer, La Sacra Famiglia della libellula (1495 circa; bulino, 240 x 188 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante C secondo Meder; iscrizioni: in basso al centro monogramma AD; filigrana parzialmente visibile ma non identificabile; Pavia, Musei Civici)


Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1497-98; bulino, 189 x 121 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante E o F secondo Meder; iscrizioni: monogramma AD in basso al centro; Novara, Musei Civici)
Albrecht Dürer, Madonna della scimmia (1497-98; bulino, 189 x 121 mm, esemplare privo di margini; esemplare di unico stato, con caratteristiche simili alla variante E o F secondo Meder; iscrizioni: monogramma AD in basso al centro; Novara, Musei Civici)

Una sezione della mostra illustra le incisioni legate all’intimo rapporto tra la Madonna e il Bambino, celebrando inoltre il ritorno a Bagnacavallo, dopo cinquant’anni, della Madonna del Patrocinio realizzata da Dürer intorno al 1495 e oggi custodita alla Fondazione Magnani Rocca. Che tipo di confronto si può addurre tra questo celebre dipinto e le incisioni ad essa legate?
Potendo contare su una presenza così importante in mostra come la tavola della Madonna del Patrocinio, non potevamo non offrire in mostra anche un momento di approfondimento e di riflessione sul tema della Madonna col bambino, con uno sguardo trasversale tra pittura e incisione. In quella sezione non proponiamo confronti diretti, ma offriamo al visitatore spunti e strumenti per poterne fare in autonomia. Alla base c’è la convinzione che, pur nella diversità di linguaggio, dall’accostamento della tavola con i bulini e le xilografie si possa leggere in controluce una stessa visione dell’immagine mariana, un atteggiamento votato alla sottolineatura dell’intimità e della complessità dei sentimenti che si instaurano tra la Madre e suo Figlio. Un marcato sguardo psicologico insomma. Ancora più interessante poi è la lettura in parallelo della Madonna del Patrocinio con alcune prove grafiche degli stessi anni, in particolare con la Sacra Famiglia della libellula, la Sacra Famiglia delle lepri e la Madonna della scimmia. Vi si ritrovano elementi che attingono dagli stessi retroterra figurativi: Martin Schongauer con le sue immagini mariane ammiratissime nella Germania di fine Quattrocento, e accanto i riflessi dei suoi primi entusiastici incontri con l’arte italiana, che danno forza e credibilità alle sue opere grazie a una nuova monumentalità e all’irrequieta animazione del Bambino, come quello della Madonna della scimmia, così fortemente debitore da modelli della cerchia del Verrocchio e quindi stretto “parente” di quello magistralmente dipinto della tavola della Magnani Rocca.

Quali sono le opere più significative in mostra, tra le oltre 120 esposte? Cosa dovrebbe invitare il pubblico a visitare assolutamente l’esposizione?
La mostra rappresenta una delle esposizioni più complete dedicate all’opera incisa del Maestro tedesco, un viaggio nel suo mondo e nel suo momento storico. Indubbiamente i capolavori, i tre masterpieces Il cavaliere, la morte e il diavolo, San Girolamo nello studio e Melancolia I rappresentano la summa della sua concezione dell’arte grafica e sono tra le più rappresentative della sua ricerca. Ma in mostra abbiamo anche le grandi imprese editoriali cui lui giovane artista partecipò, La nave dei folli di Sebastian Brandt, con le ancestrali paure del diverso, la pazzia quale simbolo della tragicità dell’esistenza umana, e la grande Cronaca di Norimberga, presentata in fogli sciolti ma anche in una raffinata edizione miniata. E poi l’Apocalisse, grandiosa esplosione della fantasia dureriana e meraviglioso esempio di tecnica silografica. Dürer fu un artista libero, indipendente per scelte tematiche e ispirazione, il primo grande artista europeo che seppe far dialogare il suo mondo interiore con quello dei propri tempi. L’Arte per lui era proiezione della propria personalità; egli fu un osservatore della realtà visibile ma anche del suo lato nascosto, misterioso, quello dell’amore e del peccato, della paura e della fiducia nella salvezza. L’invito ai visitatori è quello di cogliere la sottile trama che ci unisce questo grande “creatore di immagini” del Rinascimento, che fu nel medesimo tempo un appassionato studioso del mondo, delle sue regole, dell’uomo e del suo animo. Perché le sue opere parlano una lingua universale.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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