Nessun confinamento obbligatorio per contrastare il diffondersi dell’epidemia di Covid-19 da coronavirus. La Svezia ha scritto una pagina significativa della storia della pandemia rimanendo l’unico paese dell’Unione Europea a non imporre il cosiddetto lockdown: non si può certo dire che la vita quotidiana non abbia subito dei cambiamenti, ma nel regno non sono state applicate misure drastiche come nel resto del continente e nella stragrande maggioranza dei paesi mondiali, e gli abitanti hanno potuto continuare a passeggiare nei parchi, a mangiare al ristorante, a ritrovarsi al bar, ad allenarsi nelle palestre e nei club sportivi, e a visitare i musei.
Ovviamente però non tutto è andato avanti come prima e non tutto è aperto, come si potrebbe credere senza approfondire cosa sta succedendo nel paese scandinavo: la Svezia ha bandito tutti gli eventi pubblici con più di 50 partecipanti (e di conseguenza è stato imposto il divieto a concerti, rappresentazioni teatrali, dimostrazioni e sit-in, eventi religiosi e grandi manifestazioni culturali o sportive, a cominciare dall’Allsvenskan, il campionato della serie A svedese che doveva cominciare il 4 aprile ed è stato rinviato a data da destinarsi), bar e ristoranti possono servire soltanto ai tavoli, scuole superiori e università hanno lasciato a casa gli studenti e hanno continuato le lezioni tramite didattica a distanza, non è possibile far visita ai parenti anziani nelle case di riposo, ed è stata diramata una lista di precauzioni, consigli e raccomandazioni a cui tutti gli abitanti devono tenersi.
Veduta di Stoccolma |
Veduta di Stoccolma |
Persone in un parco di Stoccolma durante il coronavirus. Ph. Anders Wiklund/EPA |
L’approccio, insomma, non è quello del no lockdown, ma quello delle misure di contenimento sopportabili: in Svezia, il contrasto all’epidemia si affida più alla responsabilità collettiva che alle imposizioni governative. Le persone vengono comunque incoraggiate a lavorare da casa, a tenere comportamenti prudenti e rispettosi nei riguardi del prossimo, a seguire una scrupolosa igiene personale, a evitare contatti sociali non essenziali, e a non mettersi in viaggio se non è fondamentale. Il modello svedese non è stato certo esente da critiche, anche nello stesso paese: a fine aprile, ventidue eminenti scienziati hanno scritto un articolo sul quotidiano Dagens Nyheter per chiedere al governo misure più restrittive, dal momento che l’approccio soft, a loro avviso, non era stato sufficiente, soprattutto a causa degli elevati tassi di mortalità toccati in Svezia, più alti rispetto a quelli dei paesi vicini.
Sulla base dei dati raccolti dal progetto Our World in Data dell’Università di Oxford, a oggi, 14 maggio 2020, la Svezia registra un tasso di 342,6 morti per milione di abitanti: il dato è significativamente inferiore rispetto a quello di paesi più densamenti popolati che pure hanno imposto molti più obblighi e divieti e regole più stringenti (514,47 per l’Italia, 414,78 per la Francia, 579,71 per la Spagna, 488,85 per il Regno Unito, 763,01 per il Belgio), ma è molto più alto di quello degli altri paesi vicini come la Danimarca (92,02), la Finlandia (51,26) e la Norvegia (42,24). Sono necessarie però altre evidenze per comprendere perché in Svezia il numero di deceduti sia così alto: la prima è la distribuzione dei casi. Al 14 maggio, il 35% dei contagi (10.188 su 28.582) si è verificata nella contea di Stoccolma, la più densamente popolata del paese: la sola capitale ha una densità abitativa di circa 5.000 abitanti per chilometro quadrato, superiore, per esempio, a quella di Roma, Firenze, Genova, Bologna, Bari e Palermo (tutte sotto o abbondantemente sotto i 4.000 abitanti per chilometro quadrato), e paragonabile a quella di città come Milano (circa 7.600), Torino (6.700), o alla densità di molti comuni dell’hinterland milanese o napoletano (in breve: se Stoccolma fosse in Italia, sarebbe tra i 30 comuni più densamente popolati, e in Italia i comuni sono quasi ottomila). Il tasso di morti per centomila abitanti a Stoccolma è almeno doppio o triplo rispetto alle altre contee del paese (con l’unica eccezione del Södermanland, contea confinante, che ha un tasso inferiore, ma paragonabile): 74,83 a oggi contro, ad esempio, i 20,5 del Västra Götaland (capoluogo Göteborg, seconda città del paese) e gli 8,99 della Scania (capoluogo Malmö, terza città della Svezia), ovvero le due contee più popolate dopo quella di Stoccolma (per fare un raffronto con l’Italia, il tasso è di 150,51 per la Lombardia, 79,42 per il Piemonte, 87,56 per l’Emilia Romagna, 34,87 per il Veneto, 25,84 per la Toscana). Togliendo la contea di Stoccolma dalla statistica, il dato di morti per milione di abitanti calerebbe a 219,94.
Ancora, a spiegare il conto salato dei decessi concorre anche, come in Italia, la gestione delle case di riposo: la FHM, l’Agenzia per la Sanità Pubblica della Svezia, ha già avviato indagini per capire per quali ragioni il virus si sia così diffuso nelle residenze per anziani. Basti pensare che, al 30 di aprile, circa metà delle morti registrate a Stoccolma riguardavano anziani ospitati nelle case di riposo. Queste evidenze, tuttavia, secondo molti non sono sufficienti per giustificare la strategia svedese, e la Svezia continuerebbe a “barattare malattie in cambio di minori danni economici” e a “giocare una scommessa molto rischiosa” (così oggi i giornalisti Peter Coy e Charles Daly su Bloomberg Businessweek). Tuttavia, l’epidemiologo Anders Tegnell, specialista di malattie infettive e Statsepidemiolog della FHM (quindi responsabile dell’elaborazione della strategia), continua a difendere l’approccio svedese: la scorsa settimana, parlando all’emittente CNBC, Tegnell affermava che “stiamo facendo qualcosa che nessuno ha mai fatto prima”, che “le cose stanno funzionando”, che “abbiamo chiaramente superato il picco a Stoccolma e il nostro sistema sanitario è stato in grado di gestirlo, abbiamo letti aggiuntivi negli ospedali e sono stati curati tutti coloro che necessitavano di cure, anche i pazienti non-Covid che avevano bisogno”, e concludeva dicendo che l’esperienza svedese “non ha causato problemi importanti, possiamo tenere la nostra società aperta in modo ragionevole senza che ci siano effetti pesanti”. Quanto al confronto con i paesi confinanti, Tegnell si è limitato a dichiarare che “c’è da ricordare che ci sono molti altri paesi in Europa che hanno avuto pesanti lockdown e situazioni molto peggiori della nostra”, e ha menzionato il Belgio come worst case, senza però ulteriori raffronti (giusto per citare un solo elemento, il Belgio ha una densità abitativa che non è neanche lontanamente paragonabile a quella della Svezia: è dieci volte superiore). E c’è poi il drammatico caso della comunità degli immigrati somali, di cui si parla poco ma che fa registrare tassi di mortalità sproporzionati rispetto a quelli del resto della popolazione svedese.
Veduta di Stoccolma |
Anders Tegnell. Ph. Frankie Fouganthin |
Probabilmente occorrerà molto tempo prima di capire se davvero la strategia svedese sarà quella che avrà pagato meglio, perché oltre agli effetti immediati sarà necessario valutare quelli a lungo termine, in particolare quelli economici. Nel frattempo è però possibile registrare quello che sta accadendo nel paese, e dal punto di vista della nostra testata è interessante rilevare che la Svezia è l’unico paese europeo che non ha mai chiuso i musei: ognuno è stato lasciato libero di decidere che cosa fare, e nel paese la situazione è molto varia. A Stoccolma è aperto lo Skansen, il “museo all’aperto più antico del mondo” come recitano le presentazioni ufficiali, che si trova sull’isola di Djurgården ed è uno dei luoghi più gettonati dagli abitanti della capitale e dai turisti: dopo il Museo Vasa, è l’istituto più visitato del paese. Non tutte le sezioni sono però aperte: rimangono interdetti al pubblico l’Hazeliusporten, il grande edificio a forma di ferro di cavallo dei primi del Novecento che fa da ingresso alla funicolare (anch’essa chiusa a tempo indeterminato), e Lill-Skansen, lo zoo dei bambini che ospita piccoli animali domestici e selvatici, aree di gioco, fattorie didattiche. Sono invece aperti lo Skansen-Akvariet (l’acquario), il Baltic Sea Science Center, i negozi e le boutique del parco.
Ovviamente la direzione dello Skansen ha disposto alcune misure: alla biglietteria sono state installate delle macchine automatiche per le quali non è possibile utilizzare il contante, gli ambienti più angusti sono stati chiusi, la frequenza delle operazioni di pulizia è stata incrementata, gli eventi sono stati cancellati, il personale ha annullato i suoi viaggi e le riunioni vengono fatte in videoconferenza, ogni giorno la direzione tiene una riunione per monitorare gli sviluppi del contagio e agire di conseguenza in caso di necessità. Non è stata decisa la chiusura, perché lo Skansen gode di una vastissima superficie all’aperto, ragion per cui è possibile mantenere la distanza interpersonale di sicurezza. Inoltre, per visitare il parco e le sue sezioni al chiuso è necessario attenersi ad alcune regole per prevenire la diffusione del contagio da coronavirus: i visitatori sono dunque invitati a mantenere la distanza di sicurezza, a rimanere a casa se non stanno bene, a seguire le elementari norme dell’igiene personale, a partire dal frequente lavaggio delle mani.
Non tutti però sono stati dello stesso avviso dello Skansen, e a Stoccolma c’è anche chi ha chiuso i battenti, come nel resto d’Europa. È il caso dei musei statali di Stoccolma, primo su tutti il Nationalmuseum, il Museo Nazionale di Belle Arti, uno dei più antichi d’Europa (fu fondato nel 1792 e prese il nome attuale nel 1866), molto attivo sulle acquisizioni internazionali anche di alto profilo, e dove sono conservate opere di primissimo livello: c’è il meglio delle scuole svedesi di ogni epoca, c’è una ricca collezione di Seicento italiano ed europeo (con opere di Rembrandt, José de Ribera, Matthias Stomer, Jacob Jordaens, Antiveduto Gramatica, Domenico Fetti, e da qualche settimana s’è aggiunta anche una preziosa tela di Artemisia Gentileschi), ci sono opere del Perugino, di Giovanni Bellini, del Bronzino, di Federico Barocci. Entrando nel sito, disponibile in sei lingue (l’inglese, lo svedese e gli idiomi delle più numerose minoranze linguistiche del paese: il finlandese, la lingua dei sami del nord, il romaní, l’yiddish e il meänkieli, ovvero un dialetto della Lapponia), si legge un laconico avviso che informa del fatto che il museo è chiuso fino al 16 giugno per coronavirus (la data di riapertura è stata comunicata ieri).
“La chiusura”, ci ha spiegato Hanna Tottmar, capo ufficio stampa del Nationalmuseum, “non è stata obbligata o imposta dal governo: è stata una decisione comune dei musei statali di Stoccolma, ed è stata presa come misura per contribuire a ridurre la diffusione del Covid-19, dal momento che l’area della capitale è quella più colpita in Svezia. I musei statali, al momento, stanno lavorando per comprendere come sarà possibile riaprire in estate”. Porte sbarrate dunque in tutti i musei della città, dal Moderna Museet alla Tensta Konsthall, dalla Thielska Galleriet al Museo di Storia Naturale della Svezia. Chiusi anche lo Stadsmuseet, il Museo della Città (che ha fermato tutte le attività il 24 marzo e programma di riaprire al pubblico addirittura l’11 di agosto), e il già citato Vasa Museum, che con un milione e mezzo di visitatori è il museo svedese più frequentato, e non ha ancora comunicato la data della ripartenza.
Ingresso dello Skansen. Ph. Holger Ellgaard |
Dentro al parco dello Skansen |
Il Nationalmuseum di Stoccolma. Ph. Jonas Bergsten |
Sala del Nationalmuseum di Stoccolma |
Sala del Nationalmuseum di Stoccolma |
La situazione è però radicalmente diversa nelle altre città del paese. Nella seconda città della Svezia per numero di abitanti, Göteborg (575mila abitanti, contro i 960mila di Stoccolma) sono aperti i due principali musei d’arte, il Konstmuseum e la Konsthall, insieme a tutti gli altri musei municipali. Il primo è la “casa” del modernismo svedese, della scuola nordica fin de siècle (per conoscere da vicino l’arte di Anders Zorn, il Konsthall è una tappa obbligata), dei cosiddetti “coloristi di Göteborg” (una scuola che fiorì negli anni Trenta), e di una delle raccolte d’arte impressionista e post-impressionista più importanti dell’Europa settentrionale, con dipinti di Monet, Degas, Pissarro, Renoir, Van Gogh, Cézanne. La Konsthall è invece uno dei più importanti poli del paese per l’arte contemporanea. Per visitare i due musei, valgono le solite raccomandazioni: evitare contatti, stare a casa se si avvertono sintomi influenzali, lavarsi regolarmente e molto bene le mani, starnutire o tossire nella piega del gomito. Non vige l’obbligo di mascherina facciale (anzi, l’utilizzo di questo dispositivo in Svezia non è raccomandato, perché l’Agenzia di Sanità Pubblica non lo ritiene “necessario nella vita di tutti i giorni”, reputando più importante il distanziamento fisico e l’igiene delle mani). Ancora, in modo conforme a quanto avviene nel resto del paese, sono stati sospesi gli eventi che potrebbero contare più di cinquanta partecipanti. Per farci spiegare come vivono i musei aperti nel pieno dell’epidemia in Svezia, abbiamo raggiunto Britta Söderqvist, direttrice dei musei comunali di Göteborg.
“Qui in Svezia”, ci ha detto Söderqvist, “molti musei hanno adottato strategie diverse, basate a loro volta su diversi elementi: le raccomandazioni dell’Agenzia di Sanità Pubblica della Svezia, il luogo in cui il museo è ubicato (e quindi la situazione del virus nello specifico contesto), e il modo in cui il museo è organizzato e gestito. Per esempio, i musei nazionali svedesi sono autonomi e possono decidere da soli se chiudere o no. Il Konstmuseum di Göteborg è invece un istituto gestito da un ente locale e dunque l’eventuale chiusura è una decisione politica”. Occorre però sottolineare, precisa Söderqvist, che l’Agenzia di Sanità Pubblica “non ha mai suggerito di chiudere alcun museo in Svezia”. A Göteborg i musei sono stati tenuti aperti perché, spiega ancora la direttrice, “la politica locale non ha mai suggerito di chiudere nessuno dei servizî cittadini. Ovviamente abbiamo implementato numerose misure di carattere sanitario, ma lo stesso hanno fatto tutti i settori della società. La situazione tuttavia ha portato a un calo significativo dei visitatori, e di conseguenza i nostri musei sono arrivati al distanziamento sociale senza bisogno di imporlo, dal momento che è stato ottenuto spontaneamente, e i visitatori si autoregolano”.
Ovviamente non sorprende molto il fatto che il numero dei visitatori sia drasticamente calato: “abbiamo avuto davvero pochi visitatori questo mese”, afferma Söderqvist. “Le persone qui rimangono a casa ed evitano gli spazî pubblici a causa delle restrizioni imposte dal governo e dall’Agenzia di Sanità Pubblica. E anche se qui non c’è mai stato un lockdown come negli altri paesi, la maggior parte della popolazione rimane a casa”. Abbiamo poi chiesto a Britta Söderqvist quali misure, nello specifico, i musei cittadini abbiano adottato per contrastare il coronavirus. “Chiediamo al nostro pubblico di recarsi al museo solo se si è in salute”, ci ha spiegato, “oltre che di rimanere a casa se non ci si sente bene, di lavarsi le mani e di mantenere le distanze. Sono misure di carattere generale che anche l’Agenzia di Sanità Pubblica raccomanda. Inoltre, non abbiamo attività in programma a causa del divieto di organizzare eventi con più di 50 persone per volta. In più, noi adoperiamo il numero 50 anche come principio-guida per accogliere il pubblico all’ingresso e per i musei più piccoli. Abbiamo adottato anche misure per la biglietteria, che consentono di poter stare in coda in sicurezza. Tutti, ad ogni modo, stiamo seguendo i consigli dell’Agenzia di Sanità Pubblica. Questo è quello che stiamo facendo adesso. Se l’Agenzia fornisce delle raccomandazioni diverse, noi le seguiamo. Siamo ben consapevoli che altri paesi stanno agendo diversamente, ma qui in Svezia abbiamo una lunga tradizione di fiducia nei consigli forniti dagli specialisti, e in questo caso gli specialisti sono rappresentati dall’Agenzia di Sanità Pubblica”.
Veduta di Göteborg |
Ingresso del Göteborgs Konstmuseum |
Sala del Göteborgs Konstmuseum |
Sala del Göteborgs Konstmuseum |
Ingresso della Konsthall di Göteborg |
Sala della Konsthall di Göteborg |
Abbiamo concluso il nostro viaggio virtuale nella città di Norrköping, per vedere cosa succede invece nelle comunità di medie dimensioni: Norrköping è infatti un comune di 87mila abitanti, nella contea di Östergötland, ed è situato a meno di due ore di viaggio da Stoccolma, procedendo verso sud per 160 chilometri. L’area urbana della città, con poco meno di centomila abitanti, è la seconda della contea dopo quella del capoluogo Linköping, e la decima della Svezia. Qui ha sede il Norrköpings Konstmuseum, fondato nel 1913 grazie alla donazione, risalente al 1901, di Pehr Swartz, un industriale della città (che, peraltro, è tra le più industrializzate del paese, tanto da essersi guadagnata il soprannome di “Manchester della Svezia”): è il principale museo locale, e accoglie una collezione di circa 1.500 dipinti dal Seicento in avanti, arricchitasi soprattutto grazie ai lasciti dei numerosi collezionisti della città (è una delle principali raccolte d’arte svedese della nazione), ed è noto soprattutto per il suo Skuplturparken, un grande parco di scultura all’aperto, tra i maggiori della Svezia.
Come nei musei di Göteborg e in altri istituti del paese, anche il Konstmuseum di Norrköping ha tenuto aperto le sale della collezione permanente e tiene visitabili le mostre già inaugurate. “Il nostro è un museo comunale”, ci ha detto Linn Nyström Bennich, responsabile comunicazione e marketing dell’istituto, “e il Comune di Norrköping ha deciso di non chiudere alcun servizio. Siamo aperti ma abbiamo cancellato tutti gli eventi, incluse le visite guidate. Il museo però è grande e spazioso, e i nostri visitatori possono facilmente mantenere la distanza di sicurezza. Seguiamo poi con attenzione le linee guida del governo, e contiamo i visitatori in modo da non eccedere i limiti imposti per gli eventi pubblici”. L’Agenzia di Sanità Pubblica, inoltre, “ha imposto a tutti gli organizzatori di eventi pubblici di compilare i propri profili di rischio, e ha stabilito una checklist che noi seguiamo. Abbiamo aumentato di frequenza le nostre procedure di igiene sia nelle aree pubbliche che negli uffici, abbiamo installato dispenser di gel disinfettante alla biglietteria e nei locali riservati al personale, e invitiamo caldamente i nostri visitatori a prendersi cura gli uni degli altri, a mantenere le distanze e a lavarsi le mani. Ancora, chiediamo a tutti di stare a casa non appena si avverte il minimo sintomo di qualsiasi malattia“. Nyström Bennich aggiunge inoltre che ”la maggior parte dei musei municipali in Svezia sono ancora aperti, e noi ci teniamo in costante contatto con i nostri colleghi".
Anche al Norrköpings Konstmuseum il decremento dei flussi di visitatori è stato molto rilevante. “Il coronavirus”, afferma Nyström Bennich, “ha avuto un forte impatto sui numeri del pubblico. Abbiamo aperto un’importante mostra monografica dell’artista Cecilia Edefalk, tra i più importanti artisti svedesi, lo scorso 28 marzo. C’è stata un’inaugurazione virtuale su Facebook, ma nessun evento al museo, soltanto una tranquilla apertura con 67 visitatori che sono venuti al museo durante tutte le sei ore d’apertura. Prima dell’epidemia di Covid-19, la nostra stima era di accogliere 25mila visitatori nei mesi di aprile e maggio. In questi due mesi, al momento [14 maggio, ndr], abbiamo registrato solo 800 visitatori: ci siamo accorti che le persone sono molto attente. La maggior parte dei nostri frequentatori abituali è composta da persone sopra i 70 anni, che sono considerate gruppo a rischio, e le linee guida del governo sono state molto chiare su questo punto: chi è a rischio deve stare a casa il più possibile. Ci sono poi restrizioni sui viaggi, perché agli svedesi viene richiesto di non fare viaggi non necessari, e questo ovviamente colpisce i nostri numeri, perché, ad esempio, non arrivano turisti da altre città”.
Veduta di Norrköping |
Veduta di Norrköping |
Il Norrköpings Konstmuseum |
Sala del Norrköpings Konstmuseum |
Le indicazioni che arrivano dalla Svezia potrebbero essere dunque utili per immaginare i musei in Italia quando riapriranno: la gestione dell’epidemia in Svezia, per tutta la sua durata, non sembra così lontana da quella che noi chiamiamo “fase 2”. E anche se i musei riapriranno, dovremo aspettarci una situazione non tanto diversa rispetto a quella svedese: rigorosi protocolli di sicurezza, distanza tra i visitatori, contingentamento degli ingressi, cancellazione di eventi, inaugurazioni, attività che prevedono la partecipazione di numerosi gruppi di persone (o, com’è ormai uso dire, gli ormai famigerati “assembramenti”). E soprattutto, dovremo aspettarci aspri cali di visitatori: un po’ perché mancheranno i dati relativi ai turisti, un po’ perché una larga parte della popolazione teme di contagiarsi o di contagiare qualcun altro, un po’ perché il pubblico tenderà a evitare luoghi al chiuso (del resto è comprensibile, dopo più di due mesi di misure restrittive e confinamento domestico forzato) e, con l’approssimarsi dell’estate, molto probabilmente preferirà riversarsi nei parchi, sulle spiagge, sui sentieri di montagna, tra le campagne.
È dunque probabile che il distanziamento fisico sarà spontaneo anche in Italia, esattamente come è accaduto nel paese scandinavo: una condizione che, del resto, si può ottenere facilmente nella maggioranza dei musei italiani, già naturalmente poco frequentati. La Svezia, dunque, potrebbe essere un modello a cui guardare per la riapertura dei nostri musei?
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo