Questa mattina 17 febbraio 2022 a Verona, nell’ex caserma Asburgica, in una sala conferenze gremita di quasi 200 persone e alla presenza del direttore generale Musei del Ministero della Cultura, Massimo Osanna, si è tenuta l’inaugurazione del Museo Archeologico Nazionale di Verona, quel museo atteso da ormai quarant’anni, da quando cioè l’edificio situato nello stradone San Tomaso fu individuato come idoneo a ospitare le testimonianze archeologiche provenienti dagli scavi del territorio, che da allora, salvo sporadiche apparizioni in mostre e eventi, attendevano di vedere la luce.
In realtà, va detto, nonostante l’evento sia stato presentato come l’inaugurazione dell’attesissimo Museo (fatto questo che spiega anche il grande affollarsi non solo di giornalisti, istituzioni e studiosi, ma anche di interessati veronesi), ciò che è stato inaugurato oggi è solo la prima parte del museo, le sezioni dal Paleolitico all’Età del Bronzo: a causa di qualche ritardo, sottolineato anche durante la conferenza stampa, la sezione dedicata all’Età del Ferro sarà inaugurata all’inizio dell’autunno, come garantito dal direttore regionale Daniele Ferrara, mentre per la sezione romana si dovrà attendere il 2025, secondo le previsioni fatte dai responsabili del progetto.
Si tratta comunque di una boccata d’ossigeno per l’archeologia veronese, che trova una nuova sede espositiva stabile oltre al Museo Civico al Teatro Romano, e per tutti coloro che in questi anni avevano ormai perso le speranze di vedere l’agognato museo aprire le porte. I fondi ministeriali stanziati (3 milioni) consentiranno di concludere i lavori della sezione protostorica, mentre nuovi stanziamenti dovrebbero consentire senza intoppi di “restituire l’intero palazzo alla città entro il 2025”, ha affermato durante la conferenza l’architetta Chiara Matteazzi della direzione regionale del Veneto. Le sale inaugurate oggi accompagnano il visitatore lungo un viaggio nella preistoria di Verona (e nella preistoria umana, come sottolineato dal direttore generale Osanna), dal 200mila avanti Cristo fino a circa 3 mila anni fa, con un interesse e un approfondimento di assoluto livello per un museo archeologico nazionale. Grande attenzione, come ha voluto sottolineare colei che è stata responsabile scientifica del progetto, Federica Gonzato (da qualche mese Soprintendente a Ravenna) è stato dato ai culti, agli aspetti sociali, all’interazione dell’uomo con la sua quotidianità.
Si inizia con la pittura rupestre in ocra rossa detta dello “Sciamano” (che è anche il logo del museo), rinvenuta nella Grotta di Fumane e datata a 38mila anni prima di Cristo, una delle più antiche figure teriomorfe (uomo-animale) del pianeta. E poi si prosegue attraverso il Neolitico e l’Età del Rame (con la capanna di Gazzo Veronese), fino ai siti palafitticoli dell’Età del Bronzo, come Olmo di Nogara o Laghetto del Frassino. Sotto le capriate lignee della metà del XIX secolo (il palazzo era un ex carcere) si susseguono ricostruzioni - molto curate - di siti e abitazioni, sepolture, reperti ceramici, armi, statue-stele e anche resti botanici carbonizzati, dai siti. Non mancano gli oggetti d’ornamento e le ricostruzioni di spazi rituali o sepolcrali, da tutto il territorio veronese, mentre alcuni video accompagnano il visitatore in questo viaggio lungo il tempo esposto con chiarezza dalla successione di sale e pannelli. Notevole la ricostruzione dell’enorme pozzo di Bovolone, raro esempio di manufatto in legno preservatosi fino ai giorni nostri.
Oltre al finanziamento ministeriale, il progetto ha potuto contare sulla collaborazione stretta con la Soprintendenza archeologica locale (dopo la riforma Franceschini musei archeologici e soprintendenze afferiscono a due direzioni diverse), sul lavoro di ricerca delle Università di Ferrara, Trento, ma anche Padova e Venezia, e sulla cooperazione con i Musei Civici. A riguardo si deve sottolineare che, fino a quando il Museo Nazionale non sarà completato, a Verona si creerà un’anomalia, con la preistoria locale ospitata in un museo nazionale mentre la parte romana esposta in un museo civico: a riguardo, Giovanna Falezza, funzionaria della DG regionale e direttrice del neonato istituto, garantisce che sarà presto creata non solo una bigliettazione condivisa (di cui ancora non v’è stato tempo di parlare) ma una programmazione delle attività e dell’offerta culturale organica tra i vari istituti cittadini. L’inizio di un percorso che dunque ambisce a creare nella città Veneta uno dei più importanti musei archeologici del Paese. Certo la strada è ancora lunga (tra i corridoi si sussurrava che l’auspicato termine dei lavori per il 2025 fosse piuttosto ottimista) ma è finalmente segnata, e speriamo prosegua senza interruzioni: le interruzioni che oggi hanno caratterizzato l’esperienza chi sperava di ammirare le sezioni di Preistoria e Protostoria, trovandosi di fronte a un viaggio che s’interrompeva “sul più bello” alla fine dell’Età del Bronzo. Ma l’attesa dovrebbe durare poco.
La parte di museo inaugurata da domani aprirà, per questi mesi, dal venerdì alla domenica (dalle 10 alle 18) grazie al personale SAP-società archeologica padana, azienda scelta dalla Direzione regionale dopo un’indagine di mercato: il personale del Ministero, anche in questo caso, non era sufficiente per garantire l’apertura del nuovo istituto.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.