Van Gogh: il rosso dei suoi dipinti diventa bianco col tempo. Una ricerca scientifica svela perché


Il rosso di alcuni dipinti di Van Gogh sbiadisce e diventa bianco col passare del tempo. Il perché svelato da un gruppo di chimici dell'Università di Anversa.

Con un articolo pubblicato lo scorso 20 febbraio sulla rivista scientifica tedesca Angewandte Chemie, un gruppo di ricercatori dell’Università di Anversa (Frederik Vanmeert, Geert Van der Snickt e Koen Janssens), ha confermato ciò che si sapeva da tempo: che molti dipinti realizzati da Vincent van Gogh (1853 - 1890) sono già sbiaditi e rischiano di perdere i colori con il passare del tempo. La prova scientifica è arrivata a seguito dello studio di un dipinto del grande artista olandese conservato al Kröller-Müller Museum di Otterlo, nei Paesi Bassi: il Covone di grano sotto un cielo nuvoloso, dipinto nel 1889. In questo dipinto le foglie dello stagno, se in origine erano contraddistinte da un rosso acceso, autunnale, adesso hanno assunto colori simili a quelli delle nubi che vediamo nel cielo.

Vincent Van Gogh, Covone di grano sotto un cielo nuvoloso
Vincent Van Gogh, Covone di grano sotto un cielo nuvoloso; 1889; Otterlo, Kröller-Müller Museum

Dicevamo che da tempo ci si era accorti che alcuni brani di certi dipinti di Van Gogh sono sbiaditi: i tre chimici di Anversa hanno scoperto il perché. Per dipingere i suoi rossi, Van Gogh faceva largo uso di minio, un ossido di piombo che nella storia dell’arte è stato da sempre diffusamente utilizzato: basti pensare che il termine miniatura deriva proprio dal nome di questo pigmento. I ricercatori hanno notato che nel dipinto del museo olandese, il minio si è convertito in plumbonacrite, un minerale derivato dal piombo che, a contatto con l’anidride carbonica contenuta nell’aria, reagisce formando piccoli cristalli bianchi e causando, in questo modo, la perdita del colore originario.

Il professor Janssens, alla guida del team, spiega nell’articolo che si tratta della prima volta in cui la plumbonacrite, un minerale peraltro piuttosto raro, viene trovata in un dipinto realizzato prima della metà del ventesimo secolo. Nella ricerca, la scoperta viene definita come il "collegamento mancante" per spiegare la degradazione del minio. La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo di un particolare metodo d’analisi, la tomografia a raggi X, che proiettando un fascio di raggi X su campioni del dipinto, consente di studiarlo da diverse posizioni e quindi di ottenere informazioni onde ricostruire in modo accurato i materiali dai quali il dipinto è costituito. I ricercatori hanno anche diffuso alcune immagini che dimostrano la scoperta. Nell’immagine A vediamo, cerchiato, il campione su cui gli studiosi hanno condotto la ricerca. Nelle immagini B e C vediamo invece alcuni frammenti di plumbonacrite: laddove si trovava protetta dall’aria, perché ricoperta da altri pigmenti, ha conservato il colore rosso (B), mentre invece nelle zone esposte all’aria, è diventata completamente bianca (C).

Le immagini diffuse dai ricercatori dell'Università di Anversa
Le immagini diffuse dai ricercatori dell’Università di Anversa

La domanda che nasce spontanea è: per quale motivo il minio si è trasformato in plumbonacrite? È probabile che la degradazione sia dovuta alla presenza di impurità nel pigmento originale, che avrebbero innescato il processo. Senza mezzi termini, un articolo del Times di qualche giorno fa, titolava: “i rossi di Van Gogh sbiadiscono perché il pittore utilizzò tinte economiche”. È noto infatti che Van Gogh si servisse ampiamente di colori industriali. Alcuni di quei rossi probabilmente sono stati prodotti con, appunto, elementi che avrebbero compromesso la stabilità del colore nel corso del tempo.

Che cosa comporta questa scoperta? Intanto, costituisce un’importante indicazione per i musei, che potranno modificare gli ambienti in cui sono conservate le opere, onde rallentare il processo di degradazione in modo significativo. E inoltre, potrebbe aiutare i restauratori nel loro lavoro, sebbene ci sia chi esprima contrarietà sul problema del restituire alle opere le loro tonalità originali: è il caso di Francesca Casadio, chimica italiana dell’Art Institute di Chicago che, oltre a supportare l’ipotesi secondo cui responsabile della degradazione dei colori dell’opera di Van Gogh sarebbe stato proprio il modo in cui i pigmenti sono stati prodotti, dichiara, in un’intervista rilasciata a Public Radio International, che non sarebbe considerato etico un intervento volto a “ripristinare le originali tinte rossastre” e che le “tecnologie digitali permettono di vedere come l’artista realizzò i suoi dipinti in origine”. E su questo aspetto della storia dell’arte, sappiamo quanto sia spinosa la discussione... !


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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