Nel generale clima di attenzione per il Guercino, la Pinacoteca Nazionale di Bologna gli dedica una mostra curata da Barbara Ghelfi e Raffaella Morselli, entro il disegno culturale di Maria Luisa Pacelli, sulla complessa trama di relazioni che lo legarono ai suoi collaboratori e alla clientela.
La Pinacoteca Nazionale di Bologna offre alla cittadinanza e alla cultura internazionale una mostra sul Guercino (Cento, 1591 – Bologna, 1666). Una rassegna verso un’antologia di opere che collocano il maestro al centro della pittura europea secentesca e che, soprattutto, echeggiano pienamente una gloria che mai si è spenta lungo le secolari vicende della critica e degli interessi transeunti.
Splendido genio di alta cultura, ma capace di un linguaggio popolare, il pittore centese dal soprannome stuzzicante ha impersonato in modo universale quell’appagante equilibrio tra la metrica classica e l’immediatezza espressiva che è stato il riversamento più generoso e più continuamente creativo di un filone tutto emiliano dell’arte tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo. Tale raggiungimento non è un segreto per gli studiosi che ben conoscono la fonte gaudiosa del dipingere emiliano: una fonte sgorgante dal cuore del rinascimento che porta il nome e le gesta di Antonio Allegri. Infatti dal Correggio, dalla sua viva compiutezza armonica, dalla sua tenera tattilità, e dalla sua cosmica libertà spaziale è disceso un patrimonio che ha immagato dapprima i Carracci e i loro successori, poi il Guercino, che dichiarò il Correggio “maestro senza pari”. Egli raccolse senza vincoli la grande lezione e ad essa aggiunse il suo felice pensiero compositivo, insieme all’istanza premente di un naturalismo vissuto in modo immediato e alla fragrante freschezza di uno “spirito di campagna” che rende indegradabili le sue opere soprattutto riguardo alla pugnace e vivida dialettica tra luci, penombre, ed ombre.
Per introdurre al Guercino i suoi abitanti e i visitatori la città di Bologna ha già iniziato cicliche illuminazioni e percorsi riguardo a questo genio pittorico che ha ingemmato la città di oltre cinquanta capolavori (così come fece nella Roma papale) e sta richiamando il pieno godimento culturale ed estetico di molti flussi popolari e giovanili che aumentano con volontà il loro preciso interesse sulle opere presenti e sulle arti figurative europee.
Pure l’attenzione artistica italiana e generale sta vivendo felicemente un grande momento di ammirata rivalutazione su Giovanni Francesco Barbieri, che fu un bel signore di portamento nobile, assai colto e limpidamente cristiano. Era pittore, ed uno strabismo congenito lo fece chiamare fin da ragazzo “il Guercino”, ma ci vedeva bene, anzi benissimo. Come abbiamo già scritto era nato a Cento nel 1591 e avrebbe terminato la sua vita a Bologna, dopo molti trionfi, nel 1666. Crescendo nella campagna, vicino alle porte della sua città, si intrise di quel buonsenso delle famiglie semplici, e del contatto immediato e universale con la natura. Ognuno dei suoi dipinti, infatti, porta in sé una limpidità subitanea, una verità che entra con slancio nell’animo dell’osservatore, accompagnata nelle varie visioni dal potente effetto atmosferico che modula la vivida luce irradiata e le ombre potenti raccolte nei giovanili e temprati giorni centesi.
Questa è la nostra premessa, la quale è ben conscia delle doti prodigiose conferitegli dal cielo, ma anche dello studio compositivo da lui tenacemente condotto: nuovo, convincente, sempre efficace e totalmente prensile rispetto al soggetto, pur nelle proposte che più ci sorprendono per la pienezza del loro fascino di piena avvolgenza. Sappiamo che la prossima stagione di studi porterà mostre illustri sul Guercino, anche a Torino e a Roma, quasi un abbraccio internazionale sul grande maestro.
I valori di Giovanni Francesco Barbieri sono davvero sorprendenti. Colpirono i suoi primi sostenitori nel paese natale, e rapidamente l’ambiente pittorico bolognese nella persona del grande Ludovico Carracci, poi immediatamente nelle valutazioni degli uomini sapienti e degli ecclesiastici, con una subitanea e dilagante ondata di fama sonora. Il cardinale Alessando Ludovisi, suo cliente nella città felsinea, diventando papa Gregorio XV, lo portò in Roma dove in due anni (1621-23) vinse ogni paragone. Poi, acclamatissimo, lavorò per Reggio Emilia e Piacenza; inviò lavori in altre città e luoghi. Nel 1629 fu onorato personalmente a Cento dalla visita intenzionale di Diego Velasquez: un evento clamoroso. Nel 1642 fu invitato a portare la sua bottega a Bologna, dove lavorò intensamente sino alla morte.
Tra i valori fa spicco la capacità disegnativa, certamente priva di ogni ostacolo di ricerca, e che rende toccante quella virtuale e immediata mobilità figurativa che fa del dipinto un dialogo movimentato, facile e assumibile, per ogni episodio esposto, religioso o profano. L’equilibrio della composizione, sempre, anche quando le masse presenziali sono parecchie. L’uso di colori squillanti, fra i quali l’amatissimo blu che contraddistingue il maestro. La mimica dei personaggi, corrispondente al cuore immedesimante del Guercino, devoto o lirico, che entra nell’intimità stessa dei protagonisti delle sue scene. Certamente il Catalogo della Mostra rivela la forza del linguaggio e i particolari più sensibili, che possiamo confermare dall’ampiezza delle sue applicazioni.
Qui possiamo ricordare il grande studioso che esaltò il Guercino, ovvero Sir Denis Mahon, ottimo amico di Gnudi eppoi di Andrea Emiliani che lo seguì con sapienza: lo vedemmo appunto sorridente alla Mostra del 1968 proprio qui a Bologna nella medesima Pinacoteca. Al nostro tempo il testimone è passato adeguatamente a Daniele Benati e alla sua Scuola che hanno approfondito le indagini territoriali, documentarie, contestuali, e realmente scientifiche. Seguendo ora una traccia cronologica delle opere guerciniane possiamo vedere in parte la diffusione territoriale che esse ebbero e i riconoscimenti che ottennero dopo il ritorno del maestro da Roma. Senza dimenticare l’ormai celebre “Libro dei conti” curato dal fratello Paolo (ottimo cesellatore in pittura), al quale documento la mostra che si apre in questo ottobre dedica una Sezione speciale.
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L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.