A fare un’attenta analisi sul diverso scenario a cui danno vita i turisti che scelgono di alloggiare in vacanza in un hotel rispetto a quelli che scelgono l’affitto di un appartamento per brevi periodi (sotto la settimana) ci ha pensato Federalberghi, commissionando uno studio in merito a Sociometrica diretta da Antonio Preiti, esperto di turismo con cui Finestre sull’Arte aveva già avuto modo di interloquire sul tema. Lo studio è stato presentato durante la 73esima assemblea nazionale dell’Associazione di albergatori. Dallo studio che Sociometrica ha condotto sui primi 500 comuni italiani a vocazione turistica emerge che sono superiori a 57 miliardi di euro i consumi turistici realizzati nel 2022, di cui l’88% (50,3 miliardi) relativi a presenze ufficiali e il 12% (6,8 miliardi) relativi a presenze “non osservate”. I pernottamenti non rilevati, che rappresentano il 23,6% dei flussi turistici, generano solo l’11,9% dei consumi e, di conseguenza, un’analoga percentuale nella creazione di ricchezza e di occupazione.
Lo studio mette a confronto due modelli: il primo è fondato sull’ospitalità alberghiera, il secondo sulla commercializzazione delle case per affitti brevi, su cui abbiamo già parlato su queste pagine. Entrambi i modelli hanno il fine di offrire ospitalità a chi pernotta in una destinazione turistica, ma le conseguenze economiche sono molto diverse, e, come avevamo evidenziato, determinano anche dei cambiamenti sociali, urbanistici e commerciali dei centri storici delle nostre città. Presentandolo, il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca ha voluto sottolineare come l’albergo sia “il fulcro su cui gioca tutta la grande macchina dell’ospitalità. Il suo valore non sta semplicemente nei suoi fatturati, nella sua economia in senso stretto, ma negli effetti espansivi che è in grado di diffondere sugli altri settori”.
Secondo lo studio di Sociometrica “l’economia generata dalle presenze ufficiali copre un valore complessivo che riesce a finanziare oltre un milione di occupati, mentre l’economia fondata sulle presenze non registrate genera appena 137 mila posti di lavoro. Il maggior contributo che gli alberghi apportano alla crescita dell’occupazione è determinato anche dalla presenza di un’organizzazione aziendale complessa, con figure professionali di varia specializzazione e la capacità di creare e diffondere una molteplicità di interdipendenze economiche che producono occupazione e reddito. Questa capacità moltiplicativa è del tutto scarna nel caso degli affitti brevi, le cui operazioni, quasi sempre, si limitano alla consegna delle chiavi, alla pulizia finale delle camere e alla manutenzione ordinaria”.
Quindi in entrambi i casi abbiamo presenza turistica ma gli scenari sono molto diversi e, aggiungiamo noi, nell’affitto di brevi periodi si sta addirittura andando verso l’eliminazione anche del passaggio della consegna delle chiavi. Molto spesso infatti il turista trova sul portone un tastierino su cui digitare un codice per entrare nel palazzo (inviatogli via sms al momento del pagamento online) e alla porta di casa una scatola allucchettata alla maniglia dove inserire una combinazione e quando si apre si trova la chiave per aprire la porta. Quella che era nata come la possibilità di vivere una vacanza immersi e a contatto con le persone del luogo (a dispetto degli alberghi considerati privi di sentimento e caratteristiche del posto) diventa un viaggio nell’anonimato più assoluto. Neanche il saluto con il padrone di casa. E pensare che slogan e spot televisivi delle piattaforme online che sponsorizzano l’utilizzo delle case anziché degli alberghi puntavano proprio sulla possibilità di vivere la vacanza come una esperienza immersiva già a partire dall’alloggio utilizzato dagli abitanti del luogo scelto di visitare.
Lo studio ricorda come “l’indicatore universalmente adottato per valutare la performance dell’economia dell’ospitalità è dato dalle presenze turistiche, cioè dal numero di notti trascorse dagli ospiti in strutture alberghiere, extra-alberghiere o in altre modalità più informali. Tuttavia, com’è facilmente intuibile, questo indicatore non ha una natura economica, bensì si limita a segnalare il fenomeno in maniera generale. Per dimostrare quanto questo approccio sia sbagliato, o almeno insufficiente, bastano alcune analogie: non si giudica l’industria tessile in base al puro e semplice numero di abiti venduti; né si valuta l’industria automobilistica esclusivamente sulla base del numero di veicoli acquistati (in quel caso, alcuni paesi dell’area sovietica sarebbero risultati ai vertici delle classifiche mondiali dei produttori di automobili), ma è valutata in base al numero dei beni venduti moltiplicato per il loro valore economico”. Abbiamo perciò la necessità, al fine di avere un esatto computo del peso economico del turismo, di stimare queste presenze e di definirne il loro valore economico. Il turismo quindi, comprendiamo, è una dimensione vasta e trasversale nella nostra società che determina varie opzioni di scenari i cui indicatori vanno scelti e valutati attentamente.
“Raramente”, prosegue, “si pensa che anche nel turismo ci sia bisogno di scegliere, perché quando le cose si configurano da sole, in maniera casuale, pezzo dopo pezzo, senza un disegno, una destinazione rischia di essere l’oggetto e non il soggetto dello sviluppo. Dove disegno non è la vecchia, inadeguata e sorpassata, programmazione, ma le idee-guida che ogni destinazione, in maniera condivisa, decide di seguire per ottenere il massimo beneficio dal turismo”.
Ci sono molte modalità con cui una destinazione turistica si sviluppa: e se è sempre vero che la ragion d’essere del fenomeno sia l’attrazione dei luoghi, è pur vero che quella destinazione può svilupparsi in vari modi e con risultati differenti sul piano dell’impatto economico e sull’identità urbanistica dei centri storici, ma il punto fondamentale è che la somma delle case non porta alla complessità. Ad esempio, se compariamo un insieme di 100 abitazioni con un albergo di 100 camere, la somma delle abitazioni non crea nuove figure professionali, semplicemente somma le funzioni elementari di cui si compone la singola offerta.
Per la ricerca sono stati considerati i primi 500 comuni turistici italiani (3.390 su circa 8.000), che rappresentano ben l’83% del valore aggiunto del turismo italiano. È interessante vedere il ranking delle prime città con offerta di unità abitative per affitti brevi sulle maggiori piattaforme on line (Tab. 4). Come si può osservare tra le prime venti destinazioni, 16 sono città, mentre le restanti 4 sono destinazioni balneari, che naturalmente crescono come disponibilità nel periodo estivo. Ad esempio, Olbia arriva a 3.048 unità, collocandosi al nono posto della classifica e Alghero con 2.425 all’undicesimo. Vedremo più avanti come soprattutto al sud il peso dell’offerta di affitti brevi sia molto consistente. Per il momento la conclusione è che il fenomeno si è sviluppato soprattutto nelle grandi città d’arte e poi nelle medie città d’arte e infine nelle destinazioni balneari del sud.
Possiamo quindi dire dall’analisi di Preiti emerga come mentre per il piccolo paesino di campagna o di mare la presenza sulle piattaforme risulta essere una ineguagliabile vetrina pubblicitaria a spesa zero per farsi conoscere (e come ci conferma lo studio nella nostra considerazione, spesso l’affitto di una casa è l’unica opportunità nella stragrande maggioranza delle piccole località che sono prive di strutture alberghiere. Affittare una casa online insomma è l’unico modo per portare turismo nelle aree interne o fuori dai grandi flussi turistici. E portare ricchezza quindi in questi piccoli paesi) per le città d’arte il fenomeno è diventato di una ampiezza tale da sviluppare quelli che sono rischi di effetto negativo non preventivato. Gli “affitti brevi” sono un “problema” solo per le città d’arte e “oggi quel livello non è dissimile anche nelle città di medie dimensioni con un alto valore artistico, che possiamo definire come ‘second best’. Nelle destinazioni balneari meridionali il fenomeno generalmente non si sviluppa, se non in parte, nei centri storici, ma coinvolge massimamente le seconde case per uso vacanze”.
Preiti ci fa vedere come la frastagliata presenza dei presidi alberghieri ci porti ad avere due modelli di crescita del turismo fondati sulla diversa tipologia dell’alloggio: “il primo modello ha il driver nella maggiore presenza alberghiera e il secondo è guidato, al contrario, dall’offerta delle seconde case” che sono determinanti per lo sviluppo di località dove la struttura alberghiera non è mai arrivata o ha chiuso nel corso dell’ultimo ventennio.
Le tabelle elaborate da Sociometrica rendono chiaro a colpo d’occhio la situazione Considerando, come sempre, i primi 500 comuni turistici italiani vediamo che a febbraio 2023 sono disponibili 205.546 unità abitative sulle piattaforme on line. Se, invece, consideriamo il periodo estivo, allora l’offerta cresce a 267.076, vale a dire 61.530 in più. È interessante vedere il ranking delle prime città con offerta di unità abitative per affitti brevi sulle maggiori piattaforme on line (Tab. 4). Come si può osservare tra le prime venti destinazioni, 16 sono città, mentre le restanti 4 sono destinazioni balneari, che naturalmente crescono come disponibilità nel periodo estivo. Ad esempio, Olbia arriva a 3.048 unità, collocandosi al nono posto della classifica e Alghero con 2.425 all’undicesimo. Vedremo più avanti come soprattutto al sud il peso dell’offerta di affitti brevi sia molto consistente. Per il momento la conclusione è che il fenomeno si è sviluppato soprattutto nelle grandi città d’arte e poi nelle medie città d’arte e infine nelle destinazioni balneari del sud.
Abbiamo finora analizzato la consistenza delle unità locative, ma per comprendere il loro effettivo peso economico bisogna prendere in considerazione anche il loro tasso di occupazione su base annua. La media del tasso di occupazione calcolata sui 500 comuni è del 55,1%, ma la distribuzione presenta una vasta gamma di variazioni, rendendo pertanto opportuno evidenziare alcune situazioni specifiche di particolare interesse.
La destinazione turistica con il tasso di occupazione più alto è Roma, che raggiunge l’88%, seguita da altre città di medie e grandi dimensioni, tra cui Firenze, Bergamo, Padova e Venezia. Tra le prime dieci destinazioni turistiche, c’è solo una destinazione balneare, Positano, che attira i clienti anche fuori stagione grazie alle sue caratteristiche, e Bellagio, una destinazione lacuale con un alto grado di attrazione tutto l’anno (Tab. 5)
L’incrocio dei dati, fatto sempre da Banca d’Italia, tra livello di spesa e tipologia di soggiorno ci permette di distinguere i consumi dell’una e dell’altra tipologia. Consideriamo perciò, come già descritto, (Tab. 3) la spesa complessiva pro-capite al giorno di un ospite in hotel del valore di 156,20 euro e l’equivalente tipologia di spesa per chi è ospite in affitto breve di 68,20 euro. Utilizzando questi parametri potremo calcolare la spesa totale per consumi turistici sia della quota di mercato che si rivolge agli alberghi, sia quella che si rivolge alle offerte di case in affitto breve.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.