Diciamo che per il primo live tweeting di Finestre sull’Arte speravamo in argomenti un po’ più interessanti. Ma sta di fatto che il primo live tweeting che abbiamo condotto sul nostro profilo Twitter si è tenuto stamattina in occasione degli Stati Generali della Cultura che si sono svolti all’Auditorium Conciliazione di Roma, e probabilmente avremmo fatto meglio a concentrare le nostre energie in sforzi più costruttivi, perché abbiamo assistito a nient’altro che tre ore di chiacchiere trite e ritrite (fatta qualche piccola eccezione), oltre che di pura retorica.
Non mi dilungherò troppo su quello che è stato detto perché è possibile trovare, in rete, resoconti molto dettagliati: per esempio sul sito del Sole 24 Ore è uscito un riepilogo quasi minuto per minuto. Vorrei però fare alcune considerazioni. La prima: in Italia, come ormai sempre più spesso succede, la parola viene data agli over 70 e i giovani sono sempre costretti a stare sugli spalti. Perché, a parte l’eccezione del direttore del Museo Egizio di Christian Greco, 39 anni (ammesso che a 39 anni si possa ancora essere considerati professionalmente giovani: in Italia probabilmente sì), il parterre era composto da personaggi che definire maturi, in certi casi, è un eufemismo. Cito solo, tra gli altri, Andrea Carandini (classe 1937), Emmanuele Emanuele (classe 1937, e peraltro tiene a specificare, come prima informazione sul suo curriculum nel sito del MiBACT, i suoi titoli nobiliari: e io che credevo che in Italia non fossero più riconosciuti), Antonio Paolucci (classe 1939), Benito Benedini (classe 1934), Carla Fendi (classe 1937). Insomma, quasi metà dei relatori di stamattina (5 su 13), è nata prima che Mussolini consegnasse la dichiarazione di guerra agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Francamente, quando li sento parlare di innovazione, mi viene quanto meno da sorridere.
Abbiamo poi sentito ancora le solite noiosissime, banali e stancanti metafore sul patrimonio culturale italiano. Ovviamente a sfondo energetico. Emanuele ha pensato di dare al tutto una parvenza di novità definendo la cultura “energia pulita del paese”, ma ci ha pensato Carla Fendi a riportarci alle metafore petrolifere: era ovvio che in un contesto così spietatamente retorico, la metafora della “cultura petrolio d’Italia” sarebbe saltata fuori da un momento all’altro. Abbiamo nuovamente assistito alla scialba retorica sui privati: “largo ai privati nella cultura”, ha detto Emanuele. Gli ha fatto eco il ministro Dario Franceschini dicendo, in sostanza, che lo Stato da solo non ce la può fare e ha bisogno di aiuti privati. Noi abbiamo gentilmente ricordato al ministro, peraltro con un tweet che durante la diretta ha avuto buoni riscontri, che con la vicenda del MOSE di Venezia è stato bruciato un miliardo di euro in corruzione e tangenti. La politica vorrebbe quindi farci credere che i soldi non ci sono? Ma non sarebbe il caso di ridurre seriamente gli sprechi e combattere in modo efficace la corruzione, prima ancora di chiedere l’aiuto dei privati? Privati a cui noi, beninteso, diamo quasi sempre qualcosa in cambio (e ovviamente non stiamo parlando di ringraziamenti o targhe), in base alla logica provinciale per la quale chi concede un’elargizione, deve sempre avere un ritorno o un interesse.
Ma abbiamo anche sentito idee che farebbero accapponare la pelle a chi tiene anche solo un minimo al patrimonio culturale. Come la prima di quelle proposte da Benedini: far viaggiare il più possibile le opere d’arte italiane nel mondo, opere d’arte che in questo modo andrebbero a fare un po’ le testimonial dell’Italia su e giù per il globo. Oppure portare i bronzi di Riace all’Expo. O comunque in giro per l’Italia... perché se stanno a Reggio Calabria, chi li va a vedere? E siccome su quest’ultimo concetto si è parecchio insistito, dal pubblico si è levata una giusta protesta: l’obiettivo dovrebbe essere portare i visitatori in Calabria (obiettivo con cui concorderà ogni persona ragionevole), e non portare la Calabria dai visitatori. E quindi dare motivo ai visitatori di recarsi in Calabria sviluppando un’offerta turistica stimolante, moderna e allettante. E come non parlare di un’altra idea di Benedini, altrettanto balzana, cioè quella di creare un museo nazionale sullo stile del Louvre? Da diverso tempo qui su Finestre sull’Arte si discute sul fatto che la cultura andrebbe decentrata e le cosiddette città d’arte più gettonate andrebbero decongestionate in favore dei centri minori (ma altrettanto interessanti), e stamani arriva invece la fantastica trovata di accentrare ancora di più creando un museo nazionale. C’è da sperare che una trovata simile non abbia seguito: è del tutto irrispettosa nei confronti della storia dell’Italia, delle sue diversità, della straordinaria diffusione del suo patrimonio culturale, e dei tanti centri periferici che cercano costantemente di ritagliarsi uno spazio nelle logiche dei flussi turistici.
Di cosa ha detto il ministro Franceschini si è già accennato, ma in più ha anche esposto quale sarà il nuovo piano tariffario dei musei statali dal primo luglio: riassumendo, biglietto non più gratuito per gli over 65, prima domenica del mese gratis e venerdì musei aperti fino a sera. Per il resto, la solita retorica della tutela e della valorizzazione. Lo sappiamo tutti che il patrimonio ha bisogno di tutela e valorizzazione: sarebbe il caso di smettere di parlare e iniziare ad agire. Fa ovviamente pensare il fatto che l’intervento più interessante sia stato anche quello del più giovane dei relatori, Christian Greco, che ha proposto l’idea di introdurre una valutazione delle realtà culturali da parte di commissioni di esperti internazionali: una procedura già in essere all’estero, e che ovviamente non esiste in Italia.
E se la difesa delle soprintendenze, che non hanno bisogno di manager (o meglio: “non hanno bisogno di bocconiani”) per funzionare al meglio, tocca ad Antonio Paolucci, è necessario farsi delle domande molto serie. La prima: chi non è nell’ambiente solitamente non ha la minima idea di come funzionino le soprintendenze, e non sarebbe quindi il caso di far percepire al pubblico e alla politica la loro importanza? La seconda: perché l’unica persona che oggi ha parlato di soprintendenze è stata una persona che lavora per un museo straniero, ovvero i Musei Vaticani? La terza: perché la difesa delle soprintendenze deve essere demandata a una persona che compirà 80 anni nel 2019? E così via.
Sorvoliamo completamente sull’intervento di Piero Fassino che è servito solo per allungare di circa un quarto d’ora la sofferenza del pubblico, dato che si è parlato (come se non fosse bastato prima), di “cultura e sviluppo” e di “necessità di intervento dei privati”, e passiamo direttamente all’ultimo intervento, quello del Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che ci fa gentilmente sapere che per reintrodurre la storia dell’arte a scuola, sono sufficienti 25 milioni di euro all’anno. Ricordiamo, perché repetita iuvant, che la corruzione nell’ambito del MOSE di Venezia ci è costata 100 milioni l’anno per dieci anni. Ridurre sprechi e combattere la corruzione è una lotta di civiltà e dovrebbe essere la principale priorità nel nostro paese.
In definitiva, rimane la sensazione di aver assistito a una chiacchierata di cui non si sentiva la necessità, tra retorica, banalità, cose già dette, autoreferenzialità. E di chiacchiere, il mondo della cultura ormai non ha più bisogno: c’è bisogno di fatti, c’è bisogno di persone che si rimbocchino le maniche e si mettano a lavorare, perché la cultura in Italia non può più aspettare e ha bisogno di risposte concrete ai suoi problemi. E infine: i giovani, come al solito, hanno fatto da spettatori. Come possiamo far parlare di futuro persone che hanno abbondantemente superato i settant’anni? Il futuro non sono loro. Dunque, quando cominceremo ad ascoltare i giovani e a dar loro una consistente voce in capitolo per capire i loro (nostri) problemi e provare a mettere in atto le loro (nostre) soluzioni? L’Italia è ricca di giovani competenti: diamo loro opportunità, non releghiamoli al ruolo di spettatori senza voce. Butto là un’idea: sarebbe bello, alla prossima edizione degli Stati Generali della Cultura, evitare di invitare i soliti attempati personaggi e proporre invece un parterre di giovani, preparati e qualificati, scelti ognuno in settori diversi della cultura. Sono sicuro che avrebbero cose molto più interessanti da dire di quelle che si sono dette questa mattina.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).