“... Item voglio che [...] si facci una cappella bella e pulita con entagli dell’alabastro che si trova in quel mio territorio dove nell’altare voglio che si metta il mio antico e prezioso quadro del Giudizio Universale [...] con cautela e precauzioni tali che il tempo non lo maltratti e destruda che per questo effetto e non per metterlo altrove lascio a detto convento di Padri Cappuccini con condizione espressa che non lo possano mai detti padri per qualsivoglia causa o necessità per urgente che sia né per qualsivoglia ordine da loro superiori o altro levare né alienare, che questa è la mia volontà e non altrimenti né in altro modo” (Archivio di stato di Palermo, fondo Trabia, notaio Leonardo Miceli, Testamento di Giuseppe Branciforti, Palermo 4 giugno 1698).
Nel 1698 così si esprimeva nel suo testamento Giuseppe Branciforti, secondo principe di Leonforte, in merito al prestigioso Trittico del Giudizio Universale che il prossimo 27 aprile andrà all’asta a Balerna, in Svizzera. In merito a questo l’associazione Mente Pubblica ha attivato una raccolta fondi necessaria a riportare in Italia, e soprattutto alla città di Leonforte, legittima proprietaria, il trittico del Giudizio Universale. Per ulteriori informazioni relative alla raccolta si faccia riferimento alla pagina Facebook dell’associazione: Mente Pubblica Think Tank.
Il dipinto in questione, che comprende tre pannelli dipinti su legno con colori a tempera e fondo oro, è una versione molto fedele al trittico berlinese di Beato Angelico conservato presso la Gemäldegalerie di Berlino. La sua storia è abbastanza lunga e ricca di tanti eventi, si vogliono qui riportare le tappe più significative.
L’opera è attestata per la prima volta nel 1624 tra i beni del nobile siciliano Fabrizio Branciforti e probabilmente in precedenza era di proprietà di Urbano VIII. La tavola fu trasmessa poi a Nicolò Placido Branciforti, fondatore e principe di Leonforte, che aveva sposato Caterina figlia di Fabrizio, che a sua volta la donò nel 1628 al figlio Giuseppe Branciforti, secondo principe di Leonforte, il quale la collocò definitivamente nel Convento dei Padri Cappuccini di Leonforte. Qui rimase per quasi trecento anni fino al 1907 quando gli eredi del conte Giovan Calogero Li Destri, che nel 1852 aveva comprato dalla famiglia Branciforti tutti i beni esistenti in Leonforte, lo prelevarono dalla chiesa per appropriarsene malgrado l’opposizione dei frati e della comunità leonfortese. Da qui comincia la lunga e travagliata controversia tra gli eredi Li Destri, che volevano venderlo, e i frati leonfortesi che rivendicavano la proprietà e auspicavano il ritorno del trittico nel convento. In data 2 aprile 1910 la Sovrintendenza per i monumenti della provincia di Catania e Siracusa faceva notificare agli eredi Li Destri che il pregiato quadro, pervenuto dalla chiesa dei Cappuccini e successivamente trasferito nel palazzo Li Destri in Leonforte, aveva un interesse artistico particolarmente importante e restava quindi vincolato e sottoposto alle disposizioni di legge allora in vigore. Vincolo che fu revocato nel 1975 dalla soprintendenza di Palermo che classificava l’opera come una copia ottocentesca del trittico berlinese.
Libera dal vincolo nel 1987, la tavola venne messa all’asta dalla Christie’s a Roma ma venne bloccata in via cautelativa dal dipartimento dei carabinieri di Roma a seguito della denuncia dei frati che rivendicavano la proprietà. I frati non riuscirono nel loro intento, infatti l’anno successivo il trittico fu nuovamente messo all’asta. Vista l’ostinazione dei Li Destri, in attesa di un procedimento, mai avviato, per stabilire nuovamente e definitivamente il titolo di proprietà della pittura, l’Assessore ai Beni Culturali della Sicilia assicurò i frati Cappuccini che la Regione avrebbe emesso attraverso la relativa Soprintendenza un decreto di prelazione per il trittico, e ne avrebbe disposto nuovamente il sequestro cautelativo in caso fosse stato necessario. Pertanto gli eredi Li Destri, fortemente sollecitati dagli enti pubblici, considerarono il Comune di Leonforte come possibile acquirente del quadro imponendo però delle condizioni tali che il comune non poteva impegnarsi a rispettare le scadenze e le modalità di vendita proposte. I Li Destri non furono disposti a cambiare le condizioni e la vendita non fu effettuata. Nel 1990 il trittico del Giudizio Universale venne venduto privatamente ad un collezionista romano che nel 2011 contattò il sindaco di Leonforte e lo invitò a Roma per visionare il trittico. Così una delegazione di Leonforte composta dal sindaco e da alcuni storici leonfortesi riuscì ad ammirare la preziosa tavola della quale si erano perse le tracce dal 1988.
È doveroso in questa sede dedicare qualche riga anche all’annoso dibattito circa l’attribuzione della stessa opera che, ad oggi, non è stata riscontrata in nessun documento. Già nell’Ottocento alcuni studiosi si erano espressi in merito alla paternità o meno del Beato Angelico. Tra questi lo studioso d’arte Giovanni Battista Cavalcaselle, uno dei maggiori dell’Ottocento, per esempio, scriveva: “Un giudizio finale abbiamo veduto nella chiesa dei Cappuccini a Leonforte in Sicilia statovi regalato dalla famiglia Branciforti Trabia. La composizione sembra quella stessa del quadro nella Galleria Dudley; ma per avere patito molto restauro ed essere stato ridipinto a olio, per il poco tempo datoci d’esame, e per la non buona luce avuta nell’esaminarlo, non possiamo dire con certezza se sia un lavoro originale oppure una vecchia copia, alterata dal ridipinto” (Cavalcaselle – Crowe 1864). Si allineano alla posizione dubitativa di Cavalcaselle anche Douglas, Wurm e Van Marle. Come opera dell’Angelico è menzionata dal Müntz, così come parere favorevole fu espresso dagli storici dell’arte Giovanni Morelli e Gustavo Frizzoni. Come copia del Giudizio berlinese il trittico di Leonforte è ricordato dal Pope-Hennessy e più di recente da Strehlke e da Palladino. Quando il dipinto si trovava esposto nel 1912 all’interno della Galleria Nazionale di arte antica di Palazzo Corsini a Roma, Bernard Berenson, venuto a vederlo, lo dichiarò dei discepoli dell’Angelico. Nello stesso contesto Corrado Ricci, archeologo e storico dell’arte, e il Rossi, l’allora direttore del museo del Bargello, furono invece del parere che il dipinto fosse un’opera dell’Angelico. In occasione dell’asta la Christie’s ha pubblicato il dipinto come di autore ignoto e risalente al XVI-XVII secolo. Dalle indagini diagnostiche fatte eseguire recentemente, coordinate da Elvira De Gregori, risulta che l’opera sia di natura creativa, risalente al XV secolo e assimilabile alle opere della scuola dell’Angelico.
Di grande rilievo risultano gli ultimi studi affrontati da Gerardo de Simone che nel suo volume Il Beato Angelico a Roma 1445-1455 (2017), prende in esame il trittico di Leonforte collocandolo come copia di altissimo livello di quello berlinese, data la mancanza delle graffiture sull’oro sia sul fondo, che appare tutto piatto mentre nell’Angelico è inciso di raggi fittissimi, sia nelle aureole, che a Berlino sono tutte raggiate, mentre nella copia sono piatte. Il dettaglio più splendido che manca nella copia, afferma de Simone, è la porta del Paradiso graffito in oro su oro a Berlino, dettaglio iconografico che per l’Angelico aveva una valenza particolare. De Simone, inoltre, riporta anche l’idea di Andrea De Marchi che propone come autore Scipione Pulzone, ritrattista di Pio V e campione dell’arte devota e “senza tempo” della controriforma.
Il pontificato di Pio V, tra l’altro, fu caratterizzato dalla riscoperta dell’Angelico. Lo stesso pontefice commissionò per la cappella papale a Bosco Marengo il trittico del Giudizio di Spranger, copia più libera dell’ammirato trittico di Berlino, indice di questa venerazione per il “Beato” pittore da parte del pontefice e più in generale nel clima della controriforma. Mitizzazione della figura dell’Angelico che si riflette pienamente nell’agiografia vasariana della Giuntina (1568). Alla luce soprattutto di questi ultimi studi è possibile affermare che il trittico è certamente di età controriformistica e con ogni probabilità di committenza papale (Pio V), caratteristica che aggiunge all’opera una straordinaria importanza.
Oggi sembra quasi di essere tornati, come in un déjà-vu, al 13 novembre del 1987, quando un articolo scritto sul giornale “La Sicilia” annunciava: “Lunedì sarà messo all’asta da Christie’s a Roma un quadro, non lasciamo emigrare il Giudizio Universale”. Così anche oggi si vuole tentare l’impossibile: far tornare il trittico in Italia, per l’importanza che questo dipinto ricopre nel panorama artistico italiano e soprattutto per il forte legame con la storia e la comunità leonfortese di cui costituisce l’opera storicamente e religiosamente più importante e alla quale, ancora oggi e forse per sempre, manca una pietra angolare del suo patrimonio artistico.
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