Il presunto rischio chiusura delle cave di marmo delle Apuane: ecco come stanno veramente le cose


Sulle implicazioni del Piano Paesaggistico della Regione Toscana per le cave di marmo circola tanta disinformazione. Facciamo luce e cerchiamo di fugare ogni preoccupazione.

Negli ultimi giorni abbiamo letto decine e decine di articoli dai toni quasi apocalittici sulla presunta imminente chiusura delle cave di marmo del comprensorio apuo-versiliese, articoli in cui si paventa la distruzione dell’economia locale e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Per esempio, questo servizio del TG1, dove si dice che “per salvaguardare l’ambiente, le cave di marmo di Carrara dovrebbero essere chiuse”. E ancora: “Le cave apuane sono a rischio” (GoNews), “Cave di marmo a rischio chiusura” (La Nazione), “A rischio cave Apuane” (Ansa). Se ne parla anche sulle riviste d’arte: un articolo uscito su Artemagazine, peraltro a senso unico in quanto espone solamente le ragioni degli imprenditori del marmo (e parla anche di cave che nell’antichità “davano lavoro a migliaia di schiavi”... chissà se c’erano anche i sindacati), dice che “le cave di marmo più famose al mondo rischiano la chiusura”.

Ma da cosa nasce tutta questa apprensione? Dalle indicazioni contenute nel Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico della Regione Toscana, la cui adozione è stata delibrata il 17 gennaio del 2014: tutti i documenti relativi al piano possono essere scaricati dal sito ufficiale della Regione collegandosi a questa pagina. Non è nostra intenzione fare una rassegna stampa completa di tutto ciò che si è scritto circa il piano: con questo articolo intendiamo solo sfatare i maggiori luoghi comuni che in questi giorni vengono proposti sui media da parte di chi è interessato a mantenere l’attività estrattiva delle cave sugli standard attuali (e abbiamo già parlato in diversi articoli sulle ricadute di tale attività sul paesaggio e sull’economia di Carrara e dintorni: a questo link potete trovare una introduzione sul tema e link a tutti i nostri articoli sull’argomento). Andiamo quindi con ordine.

Chiusura delle cave di marmo. La disciplina del piano paesaggistico recita testualmente quanto segue: “la Regione promuove la progressiva riduzione di dette attività [le attività estrattive] a favore di funzioni coerenti con i valori e le potenzialità del sistema territoriale interessato, mediante un Progetto integrato di sviluppo, da definire con successivo atto, che individui anche le diverse misure attivabili allo scopo”. Ne consegue che nessuno, pertanto, è intenzionato a chiudere subito le cave, le cui attività non cesseranno affatto dalla sera alla mattina. Si tratterà di una riduzione graduale delle attività, che magari in futuro porterà alla loro chiusura, ma di chiusura tout-court, nel documento sulla disciplina del piano, ancora non si parla. Ad ogni modo, si tratterebbe comunque delle “attività estrattive, localizzate nelle aree contigue intercluse nel territorio del Parco Regionale delle Alpi Apuane”: ovvero una parte di tutte le cave attive, cioè quelle che si trovano nel Parco Regionale delle Apuane. A elencare quante e quali sono queste cave (in totale, 48), ci ha pensato Il Tirreno in un suo articolo. A Carrara, per esempio, sarebbero soltanto 7 su 70 cave attualmente in attività.

Perdita di posti di lavoro. Il presidente del Parco delle Apuane, Alberto Putamorsi (contrario al piano della Regione), parla di 1.500 posti a rischio. Gli imprenditori del marmo si spingono fino a un improbabile numero di 5.000 posti di lavoro. Posto che è molto difficile stimare il numero reale degli addetti del settore lapideo in quanto non ci sono ricerche approfondite sull’argomento, possiamo prendere uno studio del 2004 realizzato dalla Internazionale Marmi e Macchine S.p.A. per la Regione Toscana e intitolato Distretto industriale lapideo: realtà e prospettive future. Nel rapporto vengono forniti alcuni dati circa gli addetti dell’industria lapidea, stimati (all’anno 2000) in 6.622 addetti suddivisi in 1.093 aziende (tra cave e aziende che si occupano di attività legate all’estrazione), ma in tutto il comprensorio apuano (che comprende distretto di Massa e Carrara, Versilia, Garfagnana, e anche alcune aziende in provincia della Spezia e in altre aree). Un numero che peraltro risulta in drastica diminuzione rispetto al 1981, quando l’industria del marmo impiegava 9.673 addetti: e data la crisi del settore, soprattutto quella della lavorazione del marmo (l’export invece è in crescita, in quanto per gli imprenditori del marmo è più conveniente far lavorare la materia nei paesi dove la lavorazione costa meno, piuttosto che in loco), probabilmente il numero si sarà attestato sugli stessi livelli negli anni a seguire (in un comunicato del 2005 della Provincia di Massa e Carrara, si parlava di circa 6.500 addetti per 200 cave attive). Come è possibile quindi che su poco meno di 7.000 addetti, sarebbero 5.000 soltanto quelli impiegati nelle attività all’interno del Parco delle Apuane, ovvero 48 cave (secondo il Tirreno) su circa 200 (ossia il totale delle cave attive secondo la Provincia di Massa e Carrara)?

Danni all’economia. Gli imprenditori del marmo paventano danni all’economia locale che deriverebbero dall’adozione del piano. Si è già visto che la Regione Toscana ha in mente intanto una riduzione graduale delle attività estrattive (non ci sarebbero quindi risvolti traumatici), e poi la messa in atto di un “Progetto integrato di sviluppo”. Tradotto: la Regione ha in mente di investire onde riconvertire l’economia delle Apuane e creare nuovi modelli di sviluppo. Vale la pena citare il piano proposto dall’associazione Salviamo le Apuane, denominato “Piano Programma di Sviluppo Economico Alternativo per le Apuane” (PIPSEA), scaricabile da qua, dove viene chiaramente esplicitato che “non è data la possibilità di una interruzione dell’escavazione del marmo, cioè della distruzione delle Apuane, se non attraverso la creazione di un’alternativa economica che crei un numero di posti di lavoro sufficienti a sostenere lo shock occupazionale derivante dalla chiusura delle cave” e che “non è accettabile una soluzione di chiusura delle cave che preveda l’abbandono delle Apuane al degrado, all’abbandono e allo spopolamento”. Il tutto con l’obiettivo di evitare la perdita di posti di lavoro e creare un modello di sviluppo basato su attività a lunga durata (individuate in: attività agricole, pastorali e agroalimentari, riqualificazione dell’artigianato di qualità, attività turistiche, escursionistiche e culturali, attività artistiche, attività termali, produzione di biomasse). Nel piano è prevista una fase di transizione dove alla progressiva diminuzione delle attività legate al marmo, sarà legato l’aumento delle nuove attività.

Nessuno vuole la scomparsa del lavoro e tutti comprendiamo le preoccupazioni dei lavoratori del marmo, anche se tali preoccupazioni spesso appaiono fomentate da articoli eccessivamente allarmistici e disinformati. Viceversa, si tratta di conciliare il rispetto per il lavoro con quello per l’ambiente: si tratta di una sfida per la nostra zona, una sfida che dovrà essere combattuta e vinta, perché ne va del futuro di queste terre.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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