Savona è una città costiera del ponente ligure, il cui centro urbano (otto-novecentesco, con un cuore storico circoscritto ancor più antico) è compreso tra un ampio golfo turistico e commerciale e le strette valli che infilano le colline, fino a raggiungere Alpi Liguri e Langhe. Città rilassata, prevalentemente borghese e terziaria oggi, un tempo anche massivamente operaia; da che se ne ha memoria storica e archeologica, votata al commercio e all’artigianato, ricca di meraviglie artistiche nascoste, per lo più d’età antica e moderna.
Forse il blasone (non proprio invidiabile) di capofila delle provincie più anziane d’Italia, spiega in parte la sua manifesta ritrosia nei confronti dell’innovazione e della ricerca nel contemporaneo, di sicuro in campo artistico e culturale. Fatte salve rare eccezioni (soprattutto nell’ambito del teatro e dello spettacolo), la tradizione incardinata su modelli e paradigmi culturali del secolo scorso appare ancora piuttosto ingessata e difficile da rinnovare.
Per queste ragioni, un festival come Connexxion, in una città come Savona, è apparso fin dalla conferenza stampa altisonante, per poi rivelarsi, alla prova dei fatti, dirompente rispetto alla routine culturale locale. Ma dal momento che nulla capita per caso, va per lo meno rilevata la coincidenza di un simile evento con un ciclo storico in cui la città, attraverso i suoi principali attori politici, economici, sociali e culturali, tenta il cambio di rotta, consapevole di avere tante, troppe buone fiches da giocare (su tutte, una qualità della vita invidiabile e un tessuto sociale che, nonostante le tensioni a più livelli, subite negli ultimi tre lustri, sembra reggere l’urto e reagire positivamente).
Ecco, è in tale contesto – restituito in una sintesi forzatamente semplificata – che dal 25 novembre 2022 al 7 gennaio 2023 si è inserito Connexxion. Credo che una mappa concettuale spiegherebbe bene il progetto della curatrice Livia Savorelli (nota soprattutto come direttrice della rivista Espoarte ma ormai consolidata presenza anche nel ruolo di curatrice). Sono i luoghi urbani e le relazioni umane e sociali, infatti, a tessere l’ordito di una manifestazione che si è sviluppata come una sorta di teatro primitivo itinerante, scandito dal tempo, una settimana dopo l’altra, con performance, incontri, dibattiti, itinerari, mostre e momenti di condivisione: un festival fortemente performativo e relazionale, diffuso nella pratica oltre che nella sostanza.
I luoghi, si diceva, rappresentano i punti nevralgici, geografici e urbani, della “connessione” cui fa riferimento il titolo: le performance si sono svolte negli spazi civici e pubblici, come il Museo Archeologico, la Fortezza del Priamar, il Museo della Ceramica, la Cappella Sistina, la Cappella dell’ex Ospedale San Paolo, la Torre del Brandale, il Seminario Vescovile; e poi nelle tre gallerie d’arte della città – Vico Spinola, Gulli, Temide – fino allo studio di moda Atelier a picagetta e al ristorante Bino, dello chef stellato Giuse Ricchebuono (al piano zero del Museo della Ceramica). Sulla spinta di Connexxion ha preso campo anche il recupero di luoghi abbandonati e dimenticati del centro urbano, come il tunnel pedonale antiaereo del Garbasso, trasformato dall’intervento site-specific temporaneo di Silvia Celeste Calcagno intitolato Milk: un ambiente immersivo di luce e suono, dai risvolti coinvolgenti e psicologici (a cura di Raffaella Perna).
Ancor più interessanti sono stati i veri e propri itinerari psicogeografici, condotti all’interno della città da artisti e curatori, sempre con la collaborazione di associazioni, imprese, cooperative culturali e sociali, che dal porto fino agli edifici storici fanno vivere l’organismo pulsante e collettivo che è l’urbs contemporanea.
Dalla città è voluta ripartire Livia Savorelli, con un’ipotesi di arte pubblica relazionale figlia anche dell’isolamento del 2020-21. Chi la conosce e ne segue il lavoro sa che, in piena pandemia, il suo progetto di residenza artistica, in collaborazione con Caritas Savona e il laboratorio ceramico di prossimità di Albissola Marina, non si è arrestato, anzi, si è ancor più radicato e radicalizzato grazie al progetto di Giovanni Gaggia, Cuore a Dio, mani al lavoro, che ha coinvolto utenti delle case-famiglia, bambini delle scuole primarie, operatori sociali e didattici. Quel progetto era stato promosso dall’Associazione Arteam, il cui concorso d’arte (Arteam Cup), inaugurato a Venezia nel 2015, è giunto quest’anno alla settima edizione. Proprio in occasione dell’Arteam Cup (la cui mostra finale, itinerante di anno in anno, è approdata nel 2022 appunto a Savona) si è svolto il festival Connexxion. Durante il secondo lockdown, nel 2021, Livia Savorelli ha avvertito la necessità di pensare e agire insieme, artisticamente, i luoghi quotidiani, senza nascondere o rimuovere il lutto vissuto collettivamente, anzi, lavorando proprio su parole, memoria e gesti che aiutassero a raccontarlo ed elaborarlo. Connexxion può dunque essere considerato il progetto di una curatrice esperta, capace e raffinata, ma anche il risultato del nostro lutto collettivo. Anche per questo la sua forza si è riversata ben al di là dell’evento o della singola performance, trovando nel corpo degli artisti e nella loro generosità i vettori di comunicazione e di emozioni autentiche. I dodici artisti invitati da Savorelli sono stati Andrea Bianconi, Eleonora Chiesa, Vanni Cuoghi, Giovanni Gaggia, Loredana Galante, L’orMa, Ilaria Margutti, Camilla Marinoni, Vincenzo Marsiglia, Alice Padovani, Francesca Romana Pinzari, Mona Lisa Tina. Ognuno ha lavorato in un luogo e per un luogo della città, insieme alle persone che vivono quotidianamente quegli stessi spazi.
Per questo, la costruzione dei momenti artistici e performativi, così come la definizione delle situazioni, sono iniziate mesi prima dell’inaugurazione del festival, in un cammino di accompagnamento che vedeva gli artisti arrivare a turno in città, per esplorarne le relazioni sociali e iniziare il lavoro pensato per ogni specifico contesto. Un’opera curatoriale come cura culturale e sociale nel territorio urbano di Savona.
Si può dire che, da un lato, il perno simbolico e geografico della manifestazione espansa e diffusa in città sia stata la mostra collettiva finale dell’Arteam Cup (ospitata nel Palazzo del Commissario nella Fortezza del Priamar), la cui giuria composta da Matteo Galbiati, Maria Vittoria Pinotti, Davide Sarchioni, Livia Savorelli, Antonello Tolve e Maria Chiara Wang ha premiato Nataly Maier e Narda Zapata (nelle sezioni Pittura e Fotografia) e il duo Gaggia-Dubbini (Vincitore assoluto e sezione Scultura).
Dall’altro lato, però, i protagonisti costanti sono stati i luoghi simbolici e vitali del tessuto urbano.
Secondo uno schema antropologico che richiama epoche della storia italiana ed europea segnate da profondo disagio e conflitto sociale, Livia Savorelli ha generato arte fuori dalle sedi deputate, nelle strade e nelle piazze, nelle cappelle e nelle botteghe, negli atelier artigiani e nei musei (ma a piedi nudi tra i resti archeologici, come Camilla Marinoni e Alice Padovani). Dal momento che non si trattava di replicare, richiamare, scimmiottare gli anni Sessanta o Settanta, nulla di quel che è capitato aveva il tono o il senso della protesta o della provocazione, anzi l’interconnessione tra i templi sacri dell’arte e i luoghi centrifughi è stata organica. La poesia, la parola, vorrei dire anche la gentilezza e il rispetto, hanno pervaso e regnato nella manifestazione, sia che si affrontasse l’attualità delle profughe ucraine (Giovanni Gaggia), sia che si accettasse di confessare la propria storia segreta (Loredana Galante) o di condividere la speranza con i più piccoli (Eleonora Chiesa).
A conti fatti, un risultato su tutti desta sorpresa e conferma il successo del festival: Savorelli è riuscita, credo unica tra quanti avevano tentato o si erano cimentati in precedenza, a coinvolgere in un evento corale d’arte contemporanea veramente tantissimi e diversissimi attori sociali della città. Associazioni e imprese che tra loro non avevano mai collaborato, insieme a enti pubblici, ecclesiastici e privati, musei: tutti sono stati uniti da questo invisibile ma tangibile filo di presenze e azioni che fluttuava in città, perché tutti hanno risposto alla chiamata, attivandosi con i propri strumenti e con la propria umanità.
La mia personale conclusione è che, molto probabilmente, tutte queste realtà, queste persone e questi enti, erano assolutamente pronti e desiderosi di essere coinvolti. Non si è trattato di un moto generato soltanto dalla pandemia, ma di una maturazione durata forse anni, che la pandemia e un mutato contesto politico in città (questo va riconosciuto all’amministrazione comunale che ha accolto, promosso e agevolato in tutti i modi il dialogo e la partecipazione) hanno accelerato bruscamente. Se così fosse, significherebbe che Savorelli ha agito veramente da opportuno e tempestivo attivatore sociale, dimostrando il valore reale e tangibile di un lavoro curatoriale al servizio della comunità.