Reportage da Modenantiquaria 2025: la nostra selezione delle opere più interessanti (coi prezzi)


Abbiamo selezionato alcune delle opere più interessanti di Modenantiquaria 2025, con un’attenzione speciale per quelle che raccontano l’anima e la storia dell’Emilia.  La nostra selezione, come da nostra tradizione, con i prezzi delle opere.

Modenantiquaria è uno degli eventi più importanti nel panorama dell’antiquariato italiano e internazionale, e l’edizione del 2025, in corso dall’8 al 16 febbraio, non deluderà le aspettative degli appassionati e degli esperti del settore. La kermesse, che si tiene ogni anno a Modena Fiere, ha visto quest’anno una presenza di opere d’arte e pezzi da collezione come sempre di grande valore. Per chi ama l’arte e l’antiquariato, Modenantiquaria rappresenta un’occasione importante per ammirare e acquistare oggetti che raccontano la storia della nostra cultura, dalla pittura alla scultura, fino ai mobili d’epoca e agli oggetti di design. Ma non è solo la bellezza estetica a catturare l’attenzione: la fiera è anche una finestra privilegiata per scoprire quanto possa essere vario e affascinante il mercato dell’antiquariato, che ogni anno propone lavori di maestri conosciuti, ma anche rarità che rischiano di sfuggire alla memoria storica se non preservate con cura.

In questa edizione, abbiamo selezionato alcune delle opere più interessanti, con un’attenzione speciale per quelle che raccontano l’anima e la storia dell’Emilia. L’arte emiliana, fulcro di Modenantiquaria, è infatti un universo ricco di tradizioni artistiche e influenze che spaziano in ogni epoca. Ogni opera presentata in fiera ha la propria storia e il proprio fascino. La selezione di Finestre sull’Arte cerca di evidenziare non solo l’importanza storica delle opere, ma anche la varietà e la ricchezza dei pezzi. Ecco allora la nostra selezione, sempre, come da nostra tradizione, con i prezzi delle opere.

Galleria Fondantico a Modenantiquaria 2025
Galleria Fondantico a Modenantiquaria 2025

1. Giovanni Antonio Bazzi, Madonna col Bambino e i santi detta Pala Tacoli (1490 circa; tempera su tela, 224 x 138 cm). Richiesta: 800.000 euro. Presentato da: Cantore Galleria Antiquaria

L’opera probabilmente più costosa della fiera, presentata da Cantore Galleria Antiquaria, è uno dei pezzi più importanti del Quattrocento emiliano ancora in mani private: si tratta della Pala Tacoli (o Pala Grossi) di Giovanni Antonio Bazzi (documentato a Bologna, Parma e Reggio Emilia dal 1487 al 1518), pittore emiliano omonimo del più celebre pittore rinascimentale piemontese soprannominato “il Sodoma”. Il dipinto proviene dal distrutto oratorio della Concezione della Beata Vergine di Reggio Emilia: è nota come “Pala Grossi” in quanto in passato fu proprietà dell’omonima famiglia che la acquistò nel 1960, ma è più corretto chiamarla “Pala Tacoli” dal momento che si ritiene che il committente fu il nobile reggiano Ludovico Tacoli che deteneva il giuspatronato della chiesa di San Giacomo, anch’essa distrutta, vicina all’oratorio della Concezione. L’opera è una delle rare testimonianze di questo sfuggente pittore che palesa evidenti debiti nei riguardi della pittura ferrarese di Ercole de’ Roberti e Francesco del Cossa. Ad attribuire l’opera in via definitiva a Bazzi è stato, nel 2014, lo studioso Antonio Buitoni, che ha confrontato la Pala Tacoli con due affreschi in San Giovanni Evangelista a Parma recanti la firma dell’artista.

Giovanni Antonio Bazzi, Madonna col Bambino e i santi detta Pala Tacoli (1490 circa; tempera su tela, 224 x 138 cm)
Giovanni Antonio Bazzi, Madonna col Bambino e i santi detta Pala Tacoli (1490 circa; tempera su tela, 224 x 138 cm)

2. Ludovico Carracci, Susanna e i vecchioni (olio su rame, 34 x 24 cm). Richiesta: 160.000 euro. Presentato da: Le Due Torri

Si tratta di una replica in scala ridotta della grande tela di Ludovico Carracci (Bologna, 1555 - 1619) oggi nella collezione di BPER Banca. Quest’ultima venne attribuita a Carracci da Carlo Volpe: secondo lo studioso si tratta del dipinto che Carlo Cesare Malvasia, nella sua Felsina pittrice, riportò d’aver visto nel 1678 “in Venezia in casa Vidman”. Il dipinto, che rappresenta la storia biblica di Susanna, era destinato fin dall’inizio alla devozione privata, ed è caratterizzato da una potente drammaticità e da evidenti accenti sensuali. La scena, che racconta l’insidia tesa dai due vecchi giudici alla giovane Susanna, è eseguita con un realismo che evidenzia la sensualità del corpo della ragazza, oggetto delle brame dei due vecchi, ma anche il contrasto con la vergogna e il dolore della donna. La posizione di Susanna, con la nudità esposta e il gesto difensivo, enfatizza il conflitto tra il desiderio dei due vecchi e la resistenza della giovane. Tuttavia, l’intento moraleggiante è evidente nella scelta di accentuare l’aspetto violento della scena per sottolineare la lezione di virtù che la storia di Susanna trasmette, e che si rafforza anche attraverso la presenza dell’angioletto che piange. Inoltre, il riferimento alla posa michelangiolesca di Susanna, simile all’Eva della Cappella Sistina, mostra un chiaro prestito stilistico da Michelangelo.

Ludovico Carracci, Susanna e i vecchioni (olio su rame, 34 x 24 cm)
Ludovico Carracci, Susanna e i vecchioni (olio su rame, 34 x 24 cm)

3. Pietro Antonio Rotari, Trionfo di Davide (olio su tela, 225 x 161 cm). Richiesta: 160.000 euro. Presentato da: Milani Antichità

Pietro Antonio Rotari (Verona, 1707 – San Pietroburgo, 1762), artista veronese del Settecento, si distingue per la sua elegante interpretazione dei temi biblici, caratterizzata da un raffinato gusto arcadico. Il Trionfo di Davide, una tela di dimensioni importanti, riflette questa sensibilità, trasformando il celebre episodio veterotestamentario in una celebrazione della giovinezza e della bellezza. Proveniente dalla collezione Monga di Verona, il dipinto si inserisce nella tradizione pittorica veneta del Settecento. Secondo il professor Sergio Marinelli, l’opera rappresenta una trasposizione del “mondo di Balestra”, il maestro di Rotari, “nella più dolce e sentimentale Arcadia”, suggerendo un’attenuazione dei toni eroici a favore di una visione più lirica e idilliaca. Questa lettura è coerente con l’influenza di Antonio Balestra, noto per la fusione tra la solennità classica e una delicatezza più moderna. Nel Trionfo di Davide, l’accento è posto sulla freschezza e l’armonia della composizione, elementi che caratterizzano la pittura di Rotari, soprattutto nei suoi anni giovanili. L’artista, che in seguito si affermerà alla corte russa di Elisabetta I con i suoi celebri ritratti femminili, dimostra già in questa fase una spiccata attenzione per le espressioni e la resa sentimentale delle figure. L’opera, dunque, non è solo una rappresentazione biblica, ma anche un’esaltazione della grazia e della bellezza, filtrata attraverso lo spirito del Settecento.

Pietro Antonio Rotari, Trionfo di Davide (olio su tela, 225 x 161 cm)
Pietro Antonio Rotari, Trionfo di Davide (olio su tela, 225 x 161 cm)

4. Carlo Bononi, Il Genio delle Arti (1621-1622; olio su tela, 120,5 x 101 cm). Richiesta: 150.000 euro. Presentato da: Goldfinch Fine Arts

Tra le opere più importanti della produzione di Carlo Bononi (Ferrara, 1569 - 1632), il Genio delle Arti, posto anche sulla copertina dell’importante mostra sull’artista ferrarese tenutasi nel 2018 a Palazzo dei Diamanti, è reso nell’immagine di un giovane alato col capo coronato d’alloro colto mentre sistema un’altra corona d’alloro su alcuni oggetti, ovvero uno strumento ad arco (probabilmente una viola), un libro, la testa di un busto, una tavolozza, un liuto, un trombone, un libro di musica, una squadra e un compasso. Tutti elementi che consentono d’identificare la figura come il Genio delle Arti che protegge ed esalta le arti meccaniche e liberali. Attribuito a Bononi già negli anni Sessanta del secolo scorso da Hermann Voss, risente di palesi influssi caravaggeschi ed è quindi databile a un periodo che segue il presunto soggiorno romano di Bononi. “Un capolavoro”, lo ha definito Giovanni Sassu, “degno di rivaleggiare in sensualità con le altre derivazioni note dal prototipo caravaggesco”, ovvero l’Amor vincit omnia oggi alla Gemäldegalerie di Berlino.

Carlo Bononi, Il Genio delle Arti (1621-1622; olio su tela, 120,5 x 101 cm)
Carlo Bononi, Il Genio delle Arti (1621-1622; olio su tela, 120,5 x 101 cm)

5. Michelangelo Anselmi, Madonna col Bambino, santa Caterina e santa Chiara (1530 circa; olio su tavola, 39,8 x 35,7 cm). Richiesta: 150.000 euro. Presentato da: Galleria Carlo Orsi

Michelangelo Anselmi (Parma, 1492 - Lucca, 1554) è stato uno degli artisti più raffinati e distinti della Parma del primo Cinquecento. Il suo lavoro è caratterizzato da una fusione di stili, con spunti che nella prima parte della carriera gli giungono da Correggio e dalla pittura romana, e successivamente arricchito dal contatto con Parmigianino. Nel periodo successivo ai primi anni Venti, momento in cui il linguaggio pittorico di Anselmi si fa più complesso, s’inserisce la piccola tavola portata a Modenantiquaria da Carlo Orsi, che testimonia il suo passaggio verso una fase più matura e sofisticata della sua arte, soprattutto dopo il rientro di Parmigianino in Emilia, a seguito del Sacco di Roma. Il dipinto in questione è stato documentato a partire dalla metà dell’Ottocento, quando fu segnalato nella collezione di Sir Francis Baring, primo barone di Northbrook, esponente della famosa dinastia di banchieri inglesi. In questa fase, la pittura di Anselmi è contraddistinta da una grazia e una raffinatezza stilistica che lo pongono tra i maggiori esponenti del Rinascimento emiliano, accanto a Correggio e Parmigianino. La sua arte rispecchia l’eleganza e la finezza delle tendenze artistiche più elevate del tempo, mantenendo comunque una forte connessione con la tradizione locale e la sua evoluzione.

Michelangelo Anselmi, Madonna col Bambino, santa Caterina e santa Chiara (1530 circa; olio su tavola, 39,8 x 35,7 cm)
Michelangelo Anselmi, Madonna col Bambino, santa Caterina e santa Chiara (1530 circa; olio su tavola, 39,8 x 35,7 cm)

6. Giovanni Baglione, La Trinità incorona la Vergine alla presenza di angeli, santi e figure del limbo (olio su tela, 95 x 135 cm). Richiesta: 120.000 euro. Presentato da: Giusti Antichità

La galleria Giusti Antichità di Formigine presenta a Modenantiquaria un interessante inedito di Giovanni Baglione. Il dipinto è un modello a olio che anticipa un affresco absidale, destinato probabilmente a una chiesa importante. La scena, simmetrica e solenne, raffigura la Vergine incoronata da Cristo, con il Padre Eterno che benedice l’atto. Diverse le figure che popolano l’opera: ci sono per esempio Adamo ed Eva in primo piano, Noè che, sulla destra, solleva l’arca, sua moglie Naama, insomma diversi personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, con la Vergine che fa da tramite tra i due tempi del mondo. Secondo lo studioso Massimo Pulini, che ha studiato il dipinto, “tale dispiegamento di presenze risulterà utile per ritrovare la destinazione primigenia di questo modelletto, che ritengo eseguito, e sapientemente inventato, da Giovanni Baglione, importante artista romano, rivale di Caravaggio (almeno nel famoso processo che da lui venne intentato verso il Merisi nel 1603) e biografo di tanti artisti operanti come lui stesso a Roma nei primi anni del Seicento”. A suo avviso, “siamo di fronte a un generoso dispendio di idee che ci permette di comprendere l’importanza della commissione e l’opera contiene, in modo mirabile, venti quadri in una tela sola, sicuramente frutto di molti disegni e singoli studi che permisero all’autore di avvicinarsi al compito con grande eleganza e professionalità. Nella lista delle opere disperse o andate distrutte assieme all’edificio che le conservava, non è menzionato tale soggetto, ma sappiamo che il Baglione produsse pale d’altare con analogo tema o con un racconto che vedeva quale protagonista un’Immacolata Concezione”. L’opera è databile alla fine degli anni Venti del Seicento e si ricollega ad altre creazioni simili dell’artista, come i dipinti conservati ai Musei Capitolini, a Palazzo Sorbello a Perugia e a Gravedona. Il numero inventariale visibile sulla tela suggerisce una provenienza da una prestigiosa collezione romana, forse Barberini o Colonna. L’attribuzione è confermata da Michele Nicolaci, studioso di Baglione.

Giovanni Baglione, La Trinità incorona la Vergine alla presenza di angeli, santi e figure del limbo (olio su tela, 95 x 135 cm)
Giovanni Baglione, La Trinità incorona la Vergine alla presenza di angeli, santi e figure del limbo (olio su tela, 95 x 135 cm)

7. Giuseppe Molteni, Ritratto di Nobildonna (1835-1840; olio su tela, 234 x 172 cm). Richiesta: 100-150.000 euro. Presentato da: Fallavena

Questo ritratto, riconosciuto come opera di Giuseppe Molteni (uno dei maggiori ritrattisti del XIX secolo) da studiosi come Fernando Mazzocca e Fabio Massaccesi, raffigura una donna elegantemente ritratta nel salotto di casa. La luce, filtrando da una finestra parzialmente celata da un pesante tendaggio dai riflessi dorati e cangianti, la illumina con un effetto teatrale, quasi fosse su un palcoscenico. La signora è comodamente seduta su un divano ricoperto di broccato dorato, impreziosito da nappe verdi, mentre con la mano sinistra, coperta da un guanto, sfiora il mento e appoggia il gomito con naturalezza su un tavolino ovale di legno. Quest’ultimo, caratterizzato da un piano in marmo e un piede decorato secondo il gusto Impero con cariatidi femminili, festoni e teste di leone in ottone, accoglie anche una lampada e un vaso di fiori, tra cui spiccano delicate campanule azzurre. Su di esso è stato lasciato con noncuranza un lussuoso manteau di pelliccia. Con il volto inclinato e un’espressione sorridente, la donna rivolge lo sguardo direttamente allo spettatore, apparendo perfettamente a suo agio nell’intima eleganza della sua dimora borghese, raffinata ma priva di ostentazione. L’opera presentata da Fallavena ha un taglio monumentale, ma questo non impedisce a Molteni di soffermarsi sulla minuziosa resa di materiali e oggetti – dai mobili ai tessuti, fino ai fiori – dando un saggio dell’abilità tecnica affinata negli anni di studio accademico. Un dettaglio distintivo è il turbante indossato dalla protagonista, accessorio esotico che Molteni utilizza in molte delle sue opere, come nel Ritratto di Eugenia Attendolo Bolognini Vimercati Sanseverino (Sant’Angelo Lodigiano, Castello Attendolo Bolognini), nella biblica Rebecca (Milano, Museo Poldi Pezzoli) e nella più evocativa Schiava nell’harem (collezione privata). La datazione del dipinto è collocabile intorno agli anni Trenta dell’Ottocento, trovando riscontro, secondo Fabio Massaccesi, in confronti con opere come il Ritratto di Maria Luigia a mezzo busto (collezione privata) e il Ritratto di Rosina Poldi Pezzoli (Milano, collezione Trivulzio).

Giuseppe Molteni, Ritratto di Nobildonna (1835-1840; olio su tela, 234 x 172 cm)
Giuseppe Molteni, Ritratto di Nobildonna (1835-1840; olio su tela, 234 x 172 cm)

8. Artista di area adriatica, Lastra con archetti ed animali (fine XIII secolo; pietra d’Istria). Richiesta: 100.000 euro ca. Presentato da: Santa Barbara Art Gallery

Appena riemersa sul mercato, e quindi ancora tutta da studiare, è questa lastra con archetti ed animali, di provenienza adriatica, realizzata in pietra d’Istria. La decorazione che questa lastra (probabilmente in origine posta a decorare un fonte battesimale o una transenna all’interno di un edificio di culto) è in effetti compatibile con le produzioni della Dalmazia, dell’Istria e in generale dell’alto Adriatico nel Duecento. Sotto alle palme si affrontano coppie di pavoni, animali che alludono alla resurrezione di Cristo e che ricorrono spesso nelle decorazioni altomedievali: era infatti antica credenza che le carni del pavone fossero incorruttibili. La raffigurazione dei pavoni disposti a coppie affrontate mentre bevono da una coppa (ovvero la coppa dell’immortalità) è un altro elemento comune in questo tipo di oggetti.

Artista di area adriatica, Lastra con archetti ed animali (fine XIII secolo; pietra d'Istria)
Artista di area adriatica, Lastra con archetti ed animali (fine XIII secolo; pietra d’Istria)

9. Simone Cantarini, San Giovanni Battista (olio su tela, 70 x 52 cm). Richiesta: 95.000 euro. Presentato da: Altomani & Sons

Il San Giovanni Battista di Simone Cantarini (Pesaro, 1612 - Verona, 1648) presentato da Altomani & Sons è stato in passato oggetto degli studi di Massimo Pulini che ha ricondotto l’opera all’attività del pittore pesarese. Il dipinto è stato esposto anche in mostra a Rimini nel 2013 (l’opera era stata anche riprodotta sulla copertina del catalogo). Il giovane Battista fu un soggetto spesso frequentato da Simone Cantarini: dell’opera, peraltro, si conserva anche un disegno preparatorio a matita alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il dipinto era in passato attribuito al toscano Ottavio Vannini: “Il nitore delle superfici e la tornitura epidermica del San Giovanni Battista in effetti prestano il fianco a confusioni con il naturalismo temperato del pittore toscano”, ha scritto Pulini, “ma quel tanto di serena classicità che vi è contenuta ha un’aria bolognese e dialoga più da vicino con la quadratura formale delle opere di Michele Desubleo. Ascoltata dal vero l’opera intona una delle voci più limpide usate da Cantarini, levigata e polita, quasi da tenore, ma se non fosse sufficiente l’eloquenza del viso pittorico sovrapposto a quello grafico, si cerchi l’eco insistente, tra le immagini di Simone, della posa del Battista. Vi sono molti casi in cui l’artista usa il medesimo braccio, la stessa mano che serra il pollice alla giuntura dell’indice”.

Simone Cantarini, San Giovanni Battista (olio su tela, 70 x 52 cm)
Simone Cantarini, San Giovanni Battista (olio su tela, 70 x 52 cm)

10. Bastiano da Sangallo detto Aristotile, Sacra Famiglia con san Giovannino (olio su tavola, 70 x 101 cm). Richiesta: 34.000 euro. Presentato da: Ars Antiqua

Questo dipinto, presentato da Ars Antiqua, è dato da Alessandro Delpriori a Bastiano da Sangallo, noto anche come Aristotile (Firenze, 1481 - 1551). Fino a questa nuova intuizione, l’opera veniva attribuita a un anonimo maestro fiorentino, chiamato “Maestro della Lamentazione di Scandicci” per via della sua affinità con opere come il Compianto su Cristo morto della chiesa di San Bartolomeo a Scandicci. Bastiano da Sangallo, nipote dei celebri Giuliano e Antonio da Sangallo, è noto per la sua poliedrica carriera come architetto, scenografo e pittore. È stato allievo del Perugino e di Michelangelo, e la sua carriera lo ha portato a Roma e poi a Firenze, dove ha avuto un impatto notevole sulla scena teatrale e architettonica: si ricordano il suo lavoro alla Rocca Paolina di Perugia e il cantiere di Palazzo Pandolfini a Firenze. La sua pittura, tuttavia, ha mostrato una vivace partecipazione agli indirizzi artistici fiorentini del tempo, palesando influenze da Raffaello e Andrea del Sarto. Nel dipinto, che mostra la Vergine con il Bambino e San Giovanni Battista fanciullo, la dolcezza delle forme tipica della fine del Quattrocento è ancora evidente, ma è arricchita da un rapporto più complesso tra le figure e lo spazio, che risente delle influenze di Michelangelo e dei primi lavori di Raffaello. L’uso dell’ombra sui volti, che preannuncia la Passione, e l’attenzione al ritratto conferiscono alle figure una profondità emotiva e una dimensione simbolica che sono segnali della maturità stilistica dell’artista.

Bastiano da Sangallo detto Aristotile, Sacra Famiglia con san Giovannino (olio su tavola, 70 x 101 cm)
Bastiano da Sangallo detto Aristotile, Sacra Famiglia con san Giovannino (olio su tavola, 70 x 101 cm)

11. Alfonso Lombardi, San Girolamo penitente (1522-1525; terracotta, 48 x 33 x 20 cm). Richiesta: 90.000 euro. Presentato da: Ossimoro Galleria d’Arte

La bella terracotta di Alfonso Lombardi (Ferrara, 1497 - Bologna, 1537) presentata allo stand di Ossimoro è definita dallo studioso David Lucidi una “testimonianza inedita e preziosa di una parentesi lavorativa del celebre scultore emiliano in territorio faentino tra il 1520 e il 1530”. L’opera proviene dalla collezione della villa dei conti Morsiani a Bagnara di Romagna, una delle più antiche casate nobiliari della regione. La scultura mostra una notevole somiglianza con un San Girolamo analogo a Castel Bolognese e presenta un taglio regolare alla base del ventre, tecnica tipica della statuaria fittile per agevolare la cottura e il montaggio. Questo suggerisce che l’opera fosse in origine parte di una statua a figura intera, probabilmente collocata in una nicchia o inserita in una pala d’altare. La scultura non era concepita per una visione completa su ogni lato, come dimostra il retro svuotato e modellato ad altorilievo. La tecnica esecutiva impiegata, con l’uso di un’anima effimera e fori per la cottura, è tipica del Rinascimento ed è descritta da Baldinucci. Alcune parti più delicate, come il braccio sinistro oggi mancante, potrebbero essere state modellate separatamente e aggiunte successivamente. L’opera presenta tratti distintivi dello stile di Alfonso Lombardi, noto per riutilizzare modelli fisionomici e anatomici in più opere. Il volto del San Girolamo mostra infatti forti somiglianze con altre sue figure, come l’apostolo del Transito della Vergine e il San Rocco di Faenza. Questa pratica è confermata dall’inventario della bottega di Lombardi, che alla sua morte conservava diverse teste in terracotta, probabilmente prototipi destinati alla replica in differenti composizioni.

Alfonso Lombardi, San Girolamo penitente (1522-1525; terracotta, 48 x 33 x 20 cm)
Alfonso Lombardi, San Girolamo penitente (1522-1525; terracotta, 48 x 33 x 20 cm)

12. Louis Dorigny, Danae (olio su tela, 151 x 236 cm). Richiesta: 40.000 euro. Presentato da: Fondantico di Tiziana Sassoli

Louis Dorigny (Parigi, 1654 - Verona, 1742), pittore francese attivo tra Sei e Settecento, fu un grande protagonista della decorazione barocca, soprattutto nel Veneto. Nato in una famiglia di artisti, si formò a Parigi nell’Accademia di Charles Le Brun prima di trasferirsi a Roma nel 1672, dove studiò i grandi cicli barocchi, influenzato in particolare da Giovan Battista Gaulli, meglio noto come il Baciccio. Dopo aver viaggiato tra Umbria e Romagna, si stabilì a Venezia nel 1677 e poi a Verona dal 1690, lavorando anche a Padova, Vicenza, Treviso, Udine e Vienna. Il suo stile iniziale subì l’influenza della pittura tenebrosa veneziana, ma si orientò presto verso un classicismo elegante, evidente nelle opere veronesi per la cappella del Collegio dei Notai (come l’Annunciazione del 1697). Nei primi anni del Settecento, la sua pittura divenne più astratta e decorativa, come dimostra La raccolta della manna nel deserto (1704) dipinta per la chiesa di San Luca a Verona. La Danae presentata da Fondantico, paragonabile proprio alla Raccolta, mostra l’influenza di Tiziano, Michelangelo e Tintoretto. Secondo Pietro Di Natale, che ha studiato quest’opera, la Danae era probabilmente destinata a una parete di un grande salone, e si configura come un’importante aggiunta al catalogo di Dorigny, riconosciuto come uno dei più raffinati decoratori barocchi e il più influente pittore francese nella Venezia dell’epoca.

Louis Dorigny, Danae (olio su tela, 151 x 236 cm)
Louis Dorigny, Danae (olio su tela, 151 x 236 cm)

13. Mario De Maria: La Luna batte sulle cancrene dei muri (1906; olio su tela, 56 x 73,5 cm). Richiesta: 50.000 euro. Presentato da: Fin de Siècle di Edoardo Battistini

Recente protagonista della mostra monografica su Mario De Maria, alias “Marius Pictor” (Bologna, 1852 - 1924), che si è tenuta al Museo Ottocento Bologna, La Luna batte sulle cancrene dei muri è uno dei maggiori capolavori della produzione di questo singolare artista innamorato della luna, protagonista di molte delle sue composizioni più interessanti e riconoscibili, e innamorato anche di Venezia, dove la tela è ambientata (l’opera è infatti nota anche come Serenata a Venezia). L’opera è firmata e datata “Venezia, 1906”.

Mario De Maria: La Luna batte sulle cancrene dei muri (1906; olio su tela, 56 x 73,5 cm)
Mario De Maria: La Luna batte sulle cancrene dei muri (1906; olio su tela, 56 x 73,5 cm)

14. Giacomo De Maria, Compianto sul Cristo morto (anni Novanta del XVIII secolo; terracotta policroma, 65 x 100 x 55 cm). Richiesta: 38.000 euro. Presentato da: Iotti Antichità

Riemerso di recente sul mercato antiquario, questo Compianto sul Cristo morto di Giacomo De Maria (Bologna, 1762 - 1838), in ottimo stato di conservazione, singolare scultura in terracotta neoclassica, è composto in un unico blocco, formato da una piattaforma in creta sostenuta da un vassoio di legno, sul quale si dispiegano i sei personaggi: il Cristo morto al centro, Giuseppe d’Arimatea (o Nicodemo) che lo sostiene, la Vergine che piange il figlio, la Maddalena, e due putti di quinta che reggono due strumenti della passione, ovvero la spugna e la lancia. L’opera in antico era forse contenuta in uno scarabattolo o in una teca di vetro e si trovava probabilmente collocata in una residenza aristocratica, presumibilmente in una cappella domestica o comunque sopra un piccolo altare o in una nicchia. Secondo Andrea Bacchi e Davide Lipari che hanno studiato l’opera, questo Compianto può essere accostato alle analoghe composizioni, degli anni Ottanta e Novanta del Settecento, che si trovano nel santuario della Beata Vergine di San Luca a Bologna e nella chiesa di San Bartolomeo a Bondanello, ricondotte da Antonella Mampieri allo stesso De Maria. La composizione, scrivono Bacchi e Lipari, è predominata da elementi come le “linee perpendicolari, il controllo emotivo dei personaggi, il trattamento all’antica delle acconciature e delle barbe”. Tutte caratteristiche che “tradiscono l’arrivo a Bologna del gusto neoclassico e testimoniano l’esperienza formativa romana di De Maria, avvenuta tra il settembre 1786 e l’agosto 1787, grazie alla quale poté entrare in contatto con l’opera di Antonio Canova”.

Giacomo De Maria, Compianto sul Cristo morto (anni Novanta del XVIII secolo; terracotta policroma, 65 x 100 x 55 cm)
Giacomo De Maria, Compianto sul Cristo morto (anni Novanta del XVIII secolo; terracotta policroma, 65 x 100 x 55 cm)

15. Fabio Cipolla, Le modiste (1891; olio su tela, 112 x 163 cm). Prezzo: 30.000 euro (venduto). Presentato da: Paolo Antonacci

Il dipinto di Fabio Cipolla (Roma, 1852 - 1935) presentato da Paolo Antonacci (e peraltro già venduto) è un lavoro tipico della produzione di questo artista di fine Ottocento che si specializzò nella pittura di genere prediligendo soggetti quotidiani. L’opera, datata 1891 e di cui è comparso recentemente sul mercato antiquario romano un bozzetto firmato, rappresenta cinque giovani donne, ritratte in un ambiente interno, mentre si riuniscono attorno a un tavolo in un’atmosfera vivace e allegra. Le ragazze, chiaramente delle modiste, sono impegnate nell’ornare cappelli da signora con piume, fiocchi e fiori, svolgendo il loro lavoro con spensieratezza mentre conversano e sorridono nel loro atelier. Con straordinaria abilità, l’artista le ha raffigurate in pose differenti: alcune sedute, altre in piedi, una vista di spalle. Sul lato destro del quadro si notano alti trespoli su cui sono sistemati cappelli già ultimati. L’illuminazione è suggestiva: la luce tenue che filtra dal grande finestrone a destra si contrappone al chiarore caldo di una lampada che rischiara la scena principale. Le giovani, con i capelli raccolti sulla nuca, indossano abiti tipici della moda della fine dell’Ottocento: lunghe gonne di tessuto scuro strette in vita da cinturoni e raffinate camicie con maniche ampie e colletto alto.

Fabio Cipolla, Le modiste (1891; olio su tela, 112 x 163 cm)
Fabio Cipolla, Le modiste (1891; olio su tela, 112 x 163 cm)


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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