Reggia di Caserta e strumentalizzazioni: come si costruisce un finto caso attorno al nulla


Il caso del direttore della Reggia di Caserta: un documento viene ribaltato per creare una finta accusa. Ecco come la mancata verifica delle fonti porta a strumentalizzazioni.

L’opinione pubblica italiana sembra essere poco avvezza alla verifica delle fonti, quella particolare pratica che molti indicano con l’anglicismo fact checking e che consiste, appunto, nell’accertarsi della veridicità di certe informazioni risalendo alle fonti, consultando documenti per rilevare errori e imprecisioni. Questa scarsa confidenza risulta preoccupante se caratterizza certi giornalisti che si tengono ben lontani da tale attività, e la cosa assume contorni inquietanti se la mancata verifica delle fonti è funzionale a confezionare storielle inventate di sana pianta che hanno però l’intrinseca capacità di suscitare la facile indignazione della masse facilmente impressionabili (e poco inclini ad approfondire) che si scateneranno in una ridda di “vergogna!” e di “sveglia!” lanciati a caso sui social network.

La mancata verifica delle fonti ha costruito, proprio in questi giorni, un finto caso attorno alla figura del direttore della Reggia di Caserta, Mauro Felicori. Cosa è successo? Alcuni sindacati (UILPA, UGL-Intesa, USB e RSU) hanno inviato una lettera al Ministero dei Beni Culturali per portare a conoscenza gli organi centrali di alcune situazioni venutesi a creare con l’insediamento del nuovo direttore. Riassumendo brevemente, i sindacati hanno rilevato, molto semplicemente, che alla Reggia di Caserta si insisterebbe “nel procedere nel mancato rispetto del Decreto della Direzione Generale Musei, che detta le linee guida per la determinazione delle aree funzionali da istituire e dei relativi uffici amministrativi”, che l’area accoglienza e vigilanza non sarebbe organizzata in modo adeguato, che mancherebbe una definizione degli orari dei singoli uffici, e che il direttore si tratterrebbe nel suo ufficio fino a tarda ora senza comunicarlo al personale, che sarebbe pertanto impossibilitato a predisporre un idoneo servizio di tutela onde consentire al direttore di poter lavorare, anche fino a tarda ora, in tutta sicurezza.

La Reggia di Caserta
La Reggia di Caserta. Photo credit

Due righe contenute nel comunicato sono state sufficienti a dare il via libera alle strumentalizzazioni. Ecco quindi che una semplice frase, ovvero “il direttore permane nella struttura fino a tarda ora, senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza”, si è trasformata, tramite un articolo apparso sul Mattino di Napoli, firmato dal giornalista Antonello Velardi (pubblicato lo scorso 3 marzo e al quale sembrerebbe rimontare tutto il caso), in un titolo dal significato del tutto opposto: “Il direttore lavora troppo, mette a rischio la Reggia di Caserta”. L’accusa non veritiera è bastata al premier Matteo Renzi per scrivere un post sulla sua pagina Facebook, nel quale la frase “questo direttore lavora troppo. Così non va” veniva addirittura virgolettata e indicata come “grido d’allarme lanciato contro il nuovo direttore della Reggia di Caserta”. Superfluo specificare come un numero spropositato di quotidiani, riviste, giornali on-line abbia completamente ribaltato il senso del documento originale e abbia invece accolto l’interpretazione, menzognera e strumentale, fatta propria da Matteo Renzi.

La verità è che non esiste, nel documento dei sindacati, una sola riga che accusi il direttore Felicori di lavorare troppo e di danneggiare la Reggia. Anzi, a leggere il documento sembrerebbe (si tratta tuttavia, anche in questo caso, di un’interpretazione) che i sindacati abbiano la preoccupazione opposta, ovvero quella di consentire al direttore di trattenersi a lavorare in tutta sicurezza. Ne è comunque conseguito uno scambio di battute tra lo stesso Felicori e i sindacati, riassunto in un articolo dell’ANSA: Felicori si è dichiarato esterrefatto dalla lettera dei sindacati, definendo l’atteggiamento di questi ultimi “un gesto di sfida che finisce solo per danneggiare l’immagine di tanti lavoratori”. I sindacati, dal canto loro, hanno replicato asserendo d’essere stati fraintesi, di non aver mai accusato Felicori di lavorare troppo (come risulta evidente dal documento) e di aver semplicemente rilevato che “se si trattiene oltre l’orario nella Reggia è necessario che si predisponga un apposito piano per la sicurezza”, aggiungendo che è quanto accade in ogni museo. Giova poi ricordare che la lettera dei sindacati è tutt’altro che irreperibile: è stata pubblicata sulla pagina Facebook della CGIL Funzione Pubblica ed è stata ripresa da diversi articoli onesti sull’argomento (come quello di Roberto Ciccarelli sul Manifesto). Il documento include, peraltro, note su due situazioni che sarebbero state molto più meritevoli d’attenzione: i sindacati firmatari della lettera rilevano infatti che Felicori sarebbe propenso “a bandire un interpello per far transitare” il personale di vigilanza “verso gli uffici, adibendolo a mansioni amministrative”, e che nella Reggia di Caserta sarebbero stati concessi alcuni ambienti “a titolo gratuito distraendo il personale dal servizio istituzionale per utilizzarlo al servizio di terzi, con la conseguente riduzione degli spazi di fruizione riducendo la tutela e sicurezza del museo stesso”. Quest’ultima “accusa”, se fondata, sarebbe decisamente grave: eppure, invece di chiedere chiarimenti in merito a queste situazioni, ci si è concentrati su una singola frase, manipolandola per fini strumentali.

Certo: occorre sottolineare che la mossa dei sindacati non è stata particolarmente azzeccata. Sarebbe stato molto meglio se i lavoratori della Reggia avessero tentato di risolvere internamente le vicissitudini col direttore. Se quest’ultimo si dichiara esterrefatto dalla lettera, le ipotesi non possono che essere due: o Felicori è davvero stupito e i sindacati hanno dunque mosso pochi passi per confrontarsi direttamente con lui (probabile), oppure la sua meraviglia è finta. Tuttavia, sono molto più vergognose le strumentalizzazioni di politica e media poiché, oltretutto, prendono di mira uno dei loro bersagli preferiti (anche perché facile preda di certa opinione pubblica dal pensiero preconfezionato): lavoratori pubblici, e per di più meridionali. Ma, si sa, è molto più facile creare finti casi attorno a due righe che discutere seriamente e senza pregiudizi attorno a una lettera di due pagine. Soprattutto se i finti casi vengono costruiti per mettere sotto una cattiva luce i lavoratori pubblici.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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