Si è aperta la ventottesima edizione di Miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano organizzata da Fiera Milano, e come ormai di consueto da qualche tempo a questa parte, in occasione delle fiere d’arte contemporanea, abbiamo chiesto ad alcune gallerie il prezzo di alcune opere interessanti che abbiamo selezionato. Notando ancora una volta come alcune gallerie non gradiscano che i prezzi delle loro opere vengano pubblicati, ecco la nostra selezione di quindici opere, ognuna con relativo prezzo (o fascia di prezzo).
Elena Ceretti Stein (Milano, 1989), è un’artista italo-israeliana multidisciplinare, che crea installazioni in cui mescola pittura, scultura e video. Anche nei suoi quadri, come quelli qui esposti, che lei definisce “oggetti”, sono il frutto di un pensiero installativo e si caratterizzano per una forte dimensione scultorea e materica. I quadri esposti sono stati tutti realizzati nel 2024, ma fanno parte di una ricerca che ha preso il via nel 2019: l’artista ha cominciato a realizzare quadri completi per poi ricoprirli con un nuovo dipinto che lascia soltanto intravedere ciò che sta sotto. Talvolta ripete il processo anche una terza volta con un’ulteriore immagine. Elena Ceretti Stein poi scava alcune zone del quadro ocn l’aiuto di coltello e scalpello, così da far vedere l’immagine nascosta sotto che a questo punto riemerge allo sguardo dell’osservatore. Questa serie di quadri sono spazi di attesa, di quiete, di assenza e di silenzio. L’unica a conoscere i paesaggi nascosti dietro gli strati di pittura è l’artista, ma crede che anche ciò che non si può vedere, si possa ugualmente sentire, colmando il quadro di energia. Nella pittura mescola elementi organici e inorganici, utilizzando pigmenti di terre grezze all’interno dell’olio per creare strati di colore. Dietro ad ogni cosa se ne cela un’altra, in un gioco alchemico senza fine di simboli e significati profondi che coesistono senza escludersi.
Il processo artistico di Alexis Soul-Gray (Regno Unito, 1980), che unisce pittura, disegno e collage, permette all’artista di esplorare il modo in cui l’immaginazione può illuminare un percorso attraverso la tristezza e la perdita. Attraverso un’approfondita riflessione sulle immagini della pittura rinascimentale italiana e sulle pubblicità che idealizzano la vita familiare presenti nelle popolari riviste britanniche, Soul-Gray seleziona scene di donne e bambini, optando per quelle che hanno una qualità artificiale, “dove la famiglia è spesso falsificata ma, in qualche modo, sentita”. Le sue opere prendono forma mentre disegna momenti inquietanti che sembrano reali, come uno sguardo malinconico o un gesto giocoso. Per andare oltre la superficie di queste composizioni scenografiche e stilizzate, Soul-Gray cancella la facciata mediante sfregamenti, raschiature o addirittura l’uso di sostanze chimiche caustiche come la candeggina. Dipinge o crea collage sulle figure nel tentativo di restituire loro un’umanità non studiata e penetrante. I suoi lavori diventano quindi un’immersione nel mondo interiore, svelando strati di emozioni e ricordi.
Robert Brambora (Halle, 1984) vive e lavora a Berlino. Nell’ultimo anno l’artista ha lavorato a una serie di paesaggi urbani contemporanei che si ispirano al romanzo Le città invisibili di Italo Calvino. Sono paesaggi che evocano sensazioni di solitudine e di noia provate dagli abitanti delle città capitaliste contemporanee. In queste opere Brambora raffigura scene di città ricoperte da smog per evocare gli effetti del cambiamento climatico; incendi, forti piogge e scene apocalittiche creano un’atmosfera da fantascienza e di surrealtà. Sopra alcuni di questi paesaggi dipinti fluttuano frammenti di dati sparsi e pubblicità futuristiche generate dall’intelligenza artificiale. Questi testi vengono applicati utilizzando tecniche di stampa UV, creando un effetto visivamente impressionante che unisce l’uomo e la macchina.
Flaminia Veronesi (Milano, 1986) offre uno spaccato della presenza femminile nel suo universo artistico. La sua visione non si limita a una semplice riflessione sulla donna, né si riduce a una ricerca strettamente femminista, ma si concentra sull’emblema di un sentimento di “maternità sociale”, concetto introdotto da Maria Montessori. Le figure disegnate dall’artista incarnano creature mutanti che, pur conservando i tratti del genere femminile nell’aspetto sessuale, sono permeabili ad una fluttuazione metamorfica che ingloba una concezione espansa dell’essere umano. Veronesi si impegna così a ridefinire l’idea di “madre” e a superare gli stereotipi che la relegano esclusivamente alla sfera femminile. Il suo universo artistico è intriso di riferimenti visivi, teorici e concettuali che oscillano tra il reale e il fantastico, tra il passato, il presente e il futuro. L’artista fonde teorie femministe, riferimenti alla storia dell’arte e intuizioni personali, grazie alla sua sensibilità di “sciamana moderna”, secondo la sua stessa definizione, ponendosi come una sorta di messaggera di Pacha Mama, l’anima madre della Terra. I costi di Flaminia Veronesi vanno dai 2.000 euro degli acquerelli di dimensioni più contenute (56 per 38) fino ai 7.200 della scultura di ceramica Madre Terra.
Le particolari opere... con le tende costituiscono il nuovo progetto personale dell’artista austriaca Anaïs Horn (nata a Graz, vive e lavora a Parigi), dal titolo The Windows, nato durante la sua residenza all’International Studio & Curatorial Program a New York nel 2022 e sviluppato a Parigi. Le opere esposte assumono infatti la forma di finestre che qui diventano luoghi dell’immmaginazione e confine tra pubblico e privato, tra lo spazio interno e lo spazio esterno. Attingendo da riprese di droni, le immagini sono state trasferite su vetro acrilico trasparente e incorniciate con telai in alluminio; sono poi coperte da tende di seta dipinte a mano montate su aste per tende in alluminio. Ornate da pietre preziose e nappe, fungono da protezione contro le malevolenze esterne. Horn crea ambientazioni intime, spesso site-specific, in cui narrazioni autobiografiche o di altre figure femminili mirano a innescare riflessioni sul presente e su come i ricordi personali si legano a oggetti e spazi. Il lavoro di Anaïs Horn è dedicato a Josephine Hopper, moglie del celebre artista americano: l’accostamento di punti di vista non convenzionali e di tessuti delicati trasmette un senso di solitudine, riecheggiando la malinconia dei paesaggi urbani di Hopper.
Artista francese Amélie Peace (Parigi, 1997) si concentra nei suoi dipinti di varie dimensioni sull’esperienza del tatto e sul bisogno umano di connessione fisica, raffigurando momenti che intendono collocarsi al confine tra la tenerezza e la crudeltà. I suoi sono dialoghi psicofisici che intendono esplorare esperienze emotive, sessuali e legate al genere. I suoi personaggi, spesso intrecciati tra loro, danno un senso di dipendenza fisica, come se le sue figure condividessero un corpo, sottolineando come ogni scambio con un’altra persona alteri il proprio senso del proprio sé fisico. Motivo ricorrente sono le mani che guidano l’osservatore attraverso le intricate narrazioni rappresentate nelle sue opere. Ad amplificare questi temi è inoltre l’intensità del colore che caratterizza tutti i suoi dipinti: cosa significa parlare senza parole e la potenza che si può trovare nel linguaggio silenzioso del gesto. Peace raffigura in sostanza le complessità delle emozioni umane.
Katlego Tlabela (Pretoria, 1993) ha sempre dedicato la sua attenzione ai processi tecnici e creativi multidisciplinari, esplorando pittura, suono, fotografia e installazioni scultoree trovando modi innovativi di integrare elementi legati alla stampa in ciascuna delle sue discipline. I suoi interessi artistici spaziano dalle complesse dinamiche sociali e politiche del Sudafrica post-apartheid al panorama africano e agli Stati Uniti d’America. Le sue opere affrontano temi come la resistenza, la protesta, il dialogo sulla razza e le modalità positive di rappresentazione del corpo e dell’esperienza nera, spesso reinterpretando la storia e collegandola agli eventi contemporanei. A partire dal 2020, la sua pratica artistica si è concentrata esclusivamente sulla pittura, ritraendo scene fittizie ma realistiche che hanno come soggetto l’élite nera. Nei suoi lavori, Tlabela rende spesso omaggio agli artisti neri storicamente significativi, creando così un dialogo tra passato e presente.
La keniota Thandiwe Muriu (Nairobi, 1990) ci porta in un viaggio profondo nel mondo di donna nell’Africa contemporanea, reinterpretando la ritrattistica africana. Le sue opere, ispirate dalle copertine delle principali riviste di moda e dalla ricca storia culturale del Kenya, vogliono essere un inno alla bellezza naturale delle donne con cui si identifica. Utilizzando tessuti sorprendenti e dai motivi intricati, che spesso evocano i tessuti tradizionali di diverse culture africane, Muriu fotografa i suoi soggetti facendoli emergere da sfondi vibranti che creano illusioni ipnotiche. Attraverso la sua serie CAMO (a cui appartiene anche l’opera A cicle of joy), Thandiwe vuole celebrare la sua eredità africana e affronta questioni cruciali come l’identità e la percezione di sé. Le sue opere sostengono l’accettazione e l’amore per la vita quotidiana degli abitanti di Nairobi e, più in generale, di tutta l’Africa.
Cardelli & Fontana ha portato a Miart diversi artisti contemporanei di punta della galleria, come Beatrice Meoni e Mirko Baricchi, oltre che una selezione di astrattismo geometrico italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, settore in cui la galleria di Sarzana è specializzata. Tra le opere che si possono vedere allo stand c’è anche una Composizione di medio formato di Mauro Reggiani (Nonantola, 1897 - Milano, 1980), uno dei primi astrattisti italiani, firmatario, negli anni Trenta, del primo manifesto dell’Astrattismo. L’opera presentata da Cardelli & Fontana risale al 1955: giusto l’anno successivo, la Biennale di Venezia avrebbe dedicato una sala personale a Reggiani. La galleria peraltro è tra le pochissime a esporre pubblicamente i prezzi delle opere del suo stand.
Non ha di certo bisogno di presentazioni Giosetta Fioroni (Roma, 1932), una delle più grandi artiste viventi del secondo Novecento. Nata da una famiglia di artisti, Giosetta Fioroni è tra le artiste più eclettiche: durante la sua carriera è passata dagli argenti alle tele e ai disegni, alle sperimentazioni con la fotografia, alla ceramica. È negli anni Novanta che l’artista incontra la ceramica quando, grazie a Davide Servadei, erede della storica Bottega Gatti di Faenza, inizia a realizzare cicli di opere: i Teatrini, le Case, le Scatole magiche, le Formelle, le Steli, i Cani, i 100 alberi esposti alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, e gli Abiti. Da lei stessa definite opere iperpittoriche per la scelta di mescolare ingobbi con maioliche iridescenti e smalti a terzo fuoco, le ceramiche di Giosetta mostrano un’intima coesione tra forma e colore e in loro convivono il sogno, la fiaba e il richiamo letterario. Le ceramiche qui presentate in una mostra personale sono state realizzate dall’artista presso la Bottega Gatti e sono opere rare che la galleria ha raccolto nel tempo. Questo Teatrino è ispirato a un’opera omonima di Matisse.
Fabrizio Plessi (Reggio Emili, 1940), è un artista interessato all’interazione tra tecnologia e materia, trattando quest’ultima così come uno scultore farebbe con il marmo. È una figura di spicco nella videoarte italiana, distinto per essere stato il primo a trasformare il monitor televisivo in un vero e proprio medium artistico, dove scorrono flussi inarrestabili di acqua e fuoco digitale sin dal 1974, quando realizzò la sua prima installazione video. Nei suoi progetti, il video si fonde con l’architettura e con materiali primari come carbone, legno, marmo, travertino e ferro. Attraverso le sue opere, Plessi esplora la fluidità dell’acqua, la sua potenza che oltrepassa i confini tangibili dell’opera d’arte, il bagliore dei lampi che squarciano l’oscurità notturna e l’incandescenza del fuoco. Particolarmente rilevanti sono le sue installazioni site-specific, pensate per spazi antichi, gotici, rinascimentali e monumentali come Piazza San Marco a Venezia, la Valle dei Templi di Agrigento e la Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, testimonianza del suo profondo rispetto per la classicità, confermato anche dalle scenografie elettroniche da lui create.
Originario della Cornovaglia, David Tremlett (Dartford, 1945) è un artista che lavora con media differenti: ha realizzato installazioni, sculture, disegni; noto il suo intervento permanente nelle Langhe alla Cappella del Barolo. Ma ha anche realizzato arazzi e tappeti, come quelli qui esposti. “Il progetto per la Galleria Antonio Verolino è nato all’inizio del 2015 con la proposta di un arazzo, a cui ha fatto seguito la proposta di un tappeto. L’arazzo sarebbe stato realizzato a Felletin, Aubuson, in Francia, fondato nel 1867, che nel corso degli anni ha lavorato con artisti come Pablo Picasso, Le Corbusier, Alexander Calder, Victor Vasarely, Fernand Legér, Sonia e Robert Delaunay, Josef Albers, e più recentemente con Fernando Botero, Etel Adnan e Beatriz Milhazes. Il tappeto invece è stato annodato a mano in Pakistan. Ho trascorso i mesi seguenti tracciando idee su idee sulla carta, fino a quando non ho portato a compimento 4 disegni di arazzi e 4 di tappeti”, ha spiegato l’artista.
Grande saggista, poetessa e artista visiva, Etel Adnan (Beirut, 1925 - Parigi, 2021) ha abbracciato nel corso della sua carriera artistica una vasta gamma di media, tra cui pittura, disegno, arazzi, film, ceramica e libri d’artista. A ispirare la sua scrittura e in seguito anche le sue opere d’arte, è stato il paesaggio, la sua storia e la sua risposta emotiva e fisica ad esso. Per Adnan, il paesaggio si mescola alla memoria, soprattutto al sentimento che si prova a seguito di un trasferimento: nata e cresciuta in Libano, ma ha vissuto, studiato e lavorato in Francia e California per tutta la sua vita. L’opera esposta è una composizione astratta formata da riquadri di colori diversi che l’artista ha realizzato applicando direttamente la materia pittorica sulla tela.
Francis Alÿs (Anversa, 1959) affronta i temi concentrati principalmente sui modelli dei siti urbani e sulle dinamiche politiche delle aree di conflitto. Attraverso una narrazione poetica, esamina il modernismo in America Latina e le zone di confine colpite da tensioni politiche, interrogandosi sulla rilevanza degli atti poetici in contesti così complessi. Alÿs parte da azioni semplici, compiute da sé stesso o da altri, documentandole attraverso una varietà di media. Le sue opere sembrano spesso documenti o tracce di una pratica artistica, utilizzando video, film, cartoline, pittura e disegno. Nella ripetizione e nella trasmissione continua delle sue opere, l’artista cerca di creare una narrazione più ampia, cercando di materializzare un episodio mancante o di approfondire il significato di quello che è stato creato. Ciò che rende la pratica dell’artista così avvincente è la sua capacità di affrontare temi politici complessi attraverso atti poetici, trasformando la sua arte in una forma di esplorazione e riflessione sulla società contemporanea.
Ai Weiwei (Pechino, 1957) ha vissuto negli Stati Uniti per un periodo significativo a partire dal 1981, stabilendosi poi a New York per dieci anni. Durante il suo soggiorno a New York, rimase profondamente colpito dalle opere di artisti come Andy Warhol e Marcel Duchamp. Attraverso la sua arte, Ai Weiwei è diventato una voce per i diritti umani e un difensore della libertà di espressione. Grazie al suo istinto provocatorio, riesce a navigare tra politica, attivismo e ricerca artistica, emergendo come uno dei principali simboli della lotta per la libertà di espressione in Cina e nel mondo. Le sue opere d’arte, che spaziano dalle installazioni ai video, dalla fotografia alla scultura, riflettono l’antica storia cinese così come i contesti moderni. Ai Weiwei ama sovrapporre il contemporaneo all’antico, il futuro al presente, utilizzando tecniche, immagini e metafore tradizionali della cultura cinese. Il suo obiettivo principale è infatti quello di mettere in luce le contraddizioni sociali esistenti tra l’individuo e la comunità nel mondo contemporaneo, offrendo uno sguardo critico e profondo sulla società attraverso la sua arte.
Ecco quella che è forse l’opera più costosa della fiera. Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968) è l’autore di una forma d’arte basata sulla fusione di tempo e spazio. Oltrepassando i confini tradizionali tra architettura, scultura e pittura, Fontana ha prodotto opere che coinvolgono gli spettatori in esperienze emotive, aprendo nuove strade di ricerca nell’ambito dell’arte contemporanea. Concetto Spaziale, Attesa fa parte della serie dei Tagli, un ciclo di opere che occupa una posizione di rilievo nel corpus artistico di Fontana e coincide con la sua piena maturità artistica. Realizzati con un taglierino Stanley, i Tagli presentano fenditure verticali che attraversano la superficie dell’opera, creando singole aperture centrali o sequenze ritmiche di tagli multipli. Ogni fenditura rivela un’identità propria e può variare nel grado di convessità. L’approccio di Fontana alla scultura e alla pittura ha perciò influenzato profondamente le generazioni successive di artisti, contribuendo a ridefinire i limiti dell’espressione artistica e a esplorare la relazione tra materia e vuoto, forma e spazio.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.