Via all’edizione numero 30 di Artissima: dal 2 al 5 novembre, la fiera d’arte contemporanea di Torino attirerà in città migliaia di visitatori. Il tema di quest’anno è Relations of Care, concetto sviluppato in un recente saggio dall’antropologo brasiliano Renzo Taddei, Professore di Antropolologia presso l’Universidade Federal de São Paulo in Brasile, dedicato a formulare un’ipotesi di superamento delle crisi del nostro tempo prendendo ispirazione dal pensiero indigeno amazzonico. Quattro le sezioni della fiera (Main Section, New Entries, Monologue/Dialogue e Art Spaces & Editions), tre le sezioni curate (Disegni, Present Future e Back to the Future), 181 le gallerie, centinaia le opere.
Il fine ultimo di ogni fiera d’arte ovviamente è quello di vendere, facendo incontrare galleristi e collezionisti. Artissima è una delle poche fiere che hanno un catalogo online in cui si possono vedere i prezzi delle opere, anche se non di tutte (anzi, per la maggior parte delle opere il prezzo è “su richiesta”). Abbiamo girato per le gallerie selezionando alcune opere interessanti, molte delle quali hanno prezzo su richiesta, e proponiamo dunque una selezione per ogni fascia di prezzo, mettendo assieme pezzi di gallerie che ci hanno consentito di pubblicare le richieste (ci sono infatti artisti e gallerie che non gradiscono che i prezzi delle loro opere vengano pubblicati). Ecco dunque la nostra selezione di quindici opere, ognuna con relativo prezzo (o fascia di prezzo).
Nata a Parigi nel 1989, Camille Benarab-Lopez è una delle artiste più... economiche della fiera. Scultrice, crea opere che fondono figurativismo e astrazione, dando forma a pezzi che scaturiscono direttamente dalla sua immaginazione. “Camille Benarab-Lopez”, ha scritto la critica Margaux Bonopera, “non produce immagini ma utilizza quelle degli altri più per fascinazione che per disinvoltura. Accumula così vari documenti le cui diverse fonti conferiscono uno status ambiguo alle sue opere. Sia sculture che dipinti, le sue opere tentano di creare entità funzionali e coerenti che, come la memoria, funzionano attraverso frammenti, rilettura e riscrittura”. Signes è una nuova serie di piccole opere che l’artista presenta per la prima volta ad Artissima.
Shamilla Aasha, nata nello Zimbabwe nel 1977, esplora il suo retroterra multiculturale di donna shona e indiana che vive nella regione del Matabeleland nello Zimbabwe sviluppando opere che affrontano questioni legate alla fusione di culture e pratiche tradizionali e al modo in cui influenzano l’identità, la spiritualità e lo status sociale per se stessa e per le altre donne nella sua comunità. Le opere di Aasha incorporano tessitura, arazzo e interagendo con l’idea e la storia della pittura. Emergono come morbide sculture, arazzi realizzati con oggetti trovati e ricami astratti. Li descrive come oggetti sacri, una metafora adatta per le sue narrazioni. Questa metafora viene ulteriormente ampliata poiché l’artista utilizza cartamodelli, tessuti e cuciture. Oltre alla pratica artistica, Shamilla continua anche a coltivare la creatività attraverso la sua Asha Children’s Trust, un’organizzazione dedicata alla creazione di spazi sicuri affinché i giovani creativi crescano e prosperino al di fuori del settore dell’istruzione formale.
Titolo dell’opera preso a prestito da Giacomo Balla per la scultura dell’artista modenese Giulia Poppi, nata nel 1992. La presenta Fuocherello, galleria che debutta ad Artissima nella sezione New Entries presentando opere inedite di Andrea di Lorenzo e, appunto, Giulia Poppi. Le opere di Giulia Poppi intendono agire sulla percezione dello spazio circostante lavorando con forme scultoree che si estendono spesso oltre i limiti fisici dell’oggetto in sé. Ad Artissima, Poppi presenta una serie di sculture, WEICHWEICHWEISSWEICH, realizzate a Carrara, e formate tra le violente pressioni dell’acqua e di quintali di marmo nel loro ciclo di utilizzo in cava, dove l’artista le recupera. In contrasto con la loro natura violenta e testimone di profonde modificazioni e cicatrici paesaggistiche pur essendo in ferro appaiono forme leggere, morbide e famigliari. La loro cromia oltre ad essere un rimando esplicito all’industria automobilistica, così rilevante nel contesto di Torino città e della realtà industriale culla della galleria, vuole confondere l’intero processo rubando la livrea... ai coleotteri.
Coady è un artista che vive e lavora a Melbourne in Australia ed esplora le questioni socio-psicologiche, mettendo in discussione la nostra percezione di noi stessi e la precarietà della nostra struttura mentale moderna. Centrale nella pratica di Coady è l’esplorazione dell’umore e delle oscillazioni tra stati mentali maniacali e concentrati. Il suo lavoro mette in discussione questioni come la nostra dipendenza dai farmaci e la complessità della comprensione di noi stessi in tempo reale. Tecnicamente complesse e dettagliate, le “pill sculptures” di Coady riflettono uno stato mentale controllato e calmo e ci parlano del confine tra il controllo e perdita del controllo, realtà e finzione, realtà e illusione, benessere e cattiva salute. Opere di grande accuratezza tecnica, mirano a far notare immediatamente ciò che prima poteva essere ignorato, dal momento che, nonostante la presenza comune di pillole nelle nostre vite per arrestare rapidamente tutti i tipi di dolori e disturbi, la sottile eleganza del loro design potrebbe esserci inavvertitamente sfuggita fino a quando tutte le funzionalità non sono state ingrandite e soggette a un certo grado di parodia.
Il disegno è da sempre parte fondamentale della pratica artistica di Andrea Sala, inteso come principale strumento di esplorazione delle forme che compongono la realtà ma anche delle possibilità di astrazione e comprensione di quegli elementi inadatti per propria natura alla scultura. National Park Blanket è l’ultima serie di disegni realizzati da Sala: l’artista parte dallo studio di coperte che appartengono alla storia di popoli di diversa provenienza. “Mi ha incuriosito”, dice l’artista, "il ruolo sociale che è ancora riferibile alle coperte e ho iniziato a immaginarle come display capace di catalizzare azioni, pensieri e oggetti che appartengono alla quotidianità e che diventa paesaggio inteso come un sistema dinamico che ha agito nel tempo e agisce nel presente e ne riporta tutte le tracce.
Classe 1999, lo svizzero Marius Steiger è uno dei giovani più interessanti presentati ad Artissima. Attualmente studia Pittura al Royal College of Art. Il suo lavoro esplora le questioni relative all’identità, all’autenticità, all’artificialità, al consumismo, al consumo e al rapporto degli esseri umani con la tecnologia moderna. Crea opere che combinano narrazioni reali con finzione in un linguaggio visivo austero ma romantico, mettendo ironicamente in discussione la ricerca della perfezione. L’estetica complessiva di queste sue particolari nature morte... destrutturate, che ricordano per certi versi le opere dell’americano Wayne Thiebaud, trasmette il mondo digitale facendo riferimento allo schermo attraverso l’illuminazione dei motivi e la fisicità della superficie. Prezzi molto variabili: la grande natura morta di due metri che mostriamo qui è l’opera più impegnativa, mentre i formati più piccoli (30 x 25) si portano a casa a 1.800 euro.
Nata a Firenze nel 1935, Forti è tra i grandi protagonisti della performance contemporanea negli ultimi cinquant’anni. Artista, coreografa, danzatrice, scrittrice, Forti si è dedicata alla ricerca di una consapevolezza cinestetica, impegnandosi sempre nella sperimentazione e nell’improvvisazione. Indagando la relazione tra oggetto e corpo, attraverso studi sugli animali, “news animation” apunto e ritratti di paesaggi, ha riconfigurato il concetto di performance e danza. Raffaella Cortese porta diverse “news animation” di Simone Forti, che rappresentano il suo modo di vedere le notizie e più in generale le questioni socio-politiche-mondiali, che diventano un pretesto per esplorare il linguaggio e le sue intersezioni con la danza, le immagini e la musica.
Ieri Ikebana di Alessandro Piangiamore è una serie, cominciata nel 2018, di sculture realizzate con una colata di cemento che viene versata su di una composizione di fiori freschi scartati nei mercati cittadini e per le strade. Il risultato finale, sempre imprevedibile, vuole sottolineare il contrasto tra l’inafferrabile fragilità dei fiori e la durezza del cemento, cristallizzando l’effimero in una sorta di natura morta incisa. La natura scultorea dell’opera viene poi reinterpretata attraverso una rappresentazione pittorica, poiché gli “Ieri Ikebana” sono appesi verticalmente su una parete.
Thomas Brambilla presenta ad Artissima le nuove opere di Marco Cingolani, protagonista assoluto della pittura italiana dagli anni Novanta a oggi. Cingolani, per queste nuove opere, parte da una citazione delle Metamorfosi di Ovidio per descrivere l’Età dell’Oro: “L’età dell’oro fu la prima, allora non c’erano né dolore né tristezza […] I primissimi uomini, creati dagli dèi, vivevano al tempo di Krónos. Era l’età dell’oro, e il mondo era cullato da un’eterna primavera. La terra produceva spontaneamente i suoi frutti, senza alcun bisogno di essere toccata dal rastrello, o squarciata dai vomeri. Gli zefiri accarezzavano i fiori nati senza seme, le messi e i campi erano sempre gialli di spighe, e fiumi di latte e nettare scorrevano sulla terra”. L’Età dell’oro è descritta come un periodo in cui la sofferenza e il lavoro non esistevano, dove il cibo non mancava mai e dove tutti potevano vivere in armonia con la natura, e finì soltanto quando Zeus detronizzò Crono, provocando così un lento declino dell’Umanità. L’opera di Ovidio riprese questo soggetto al fine di promuovere il regno dell’imperatore Augusto e per diffondere l’idea di un ritorno agli antichi splendori dopo il periodo di terribili guerre civili alla fine della Repubblica. Molti artisti, nei secoli, seguendo l’esempio di Ovidio, riprenderanno questo tema in senso allegorico e simbolico e, soprattutto nella pittura, verrà reinterpretato in diverse maniere e adattato secondo le concezioni spirituali e sociali. Marco Cingolani, in questa nuova serie di dipinti formate da colate di pigmento dorato e tracce di colore, ha voluto fare proprio questo: utilizzando il racconto di Ovidio, ha ripreso e reinterpretato l’Età dell’Oro e ci presenta ora un nuovo inizio. Cingolani si è difatti distaccato dall’iniziale figurativismo che tanto lo rese celebre negli Ottanta e Novanta, benché comunque rimanga ben riconoscibile la stessa padronanza del colore e la presenza delle appena accennate silhouette che compaiano nelle sue opere da sempre.
L’installazione di Itamar Gov, artista israeliano nato nel 1989, riprende le parole dello storico bizantino Niketa Choniates, che si scagliò contro le devastazioni dei crociati a Costantinopoli in occasione della Quarta Crociata nel 1204: “O Città imperiale, Città fortificata, Città del grande re, tabernacolo dell’Altissimo, lode e canto dei suoi servi e amato rifugio per gli stranieri, regina delle regine delle città, canto di canti e splendore degli splendori, e della visione più rara delle rare meraviglie del mondo, chi è che ci ha strappati a te come i bambini cari alla loro madre adorante? Che ne sarà di noi?”. L’installazione monta su di una impalcatura le parole di Choniates, a ricordare le insegne sui tetti dei vecchi hotel. La scritta vuole però conservare una ambiguità di fondo: la sua disposizione – staccata da ogni funzione pragmatica e collocata in una stanza chiusa invece che scintillante su un tetto alto – attesta un certo fallimento, un impegno che non può realizzarsi del tutto, indicando l’abisso tra la promessa di un rifugio per tutti gli stranieri e della realtà concreta che attende quegli stranieri, lontani da ciò che era casa loro. Affrontando le intricate relazioni tra storia, ideologia ed estetica, la pratica di Itamar Gov si concentra su installazioni scultoree e spaziali accanto a opere grafiche e video e comunica con varie forme di memoria personale, collettiva e istituzionale. Lavorando con una serie diversificata di strumenti visivi e teorici, il punto di partenza dei suoi progetti è uno scetticismo indagatore nei confronti di tradizioni culturali, convenzioni e gesti considerati evidenti. Le opere di Gov si basano su una ricerca continua e ruotano attorno all’intersezione tra arte e politica, evidenziando la tensione tra il noto e il presunto e sfidando un confine netto tra fatti e falsità, memoria e immaginazione.
In questa selezione di opere da Artissima non potevamo far mancare l’artista che rappresenterà l’Italia alla prossima Biennale di Venezia: Massimo Bartolini. Uno dei rari “grandi nomi” i cui prezzi sono pubblicati sul catalogo di Artissima: merito di Magazzino che è tra le poche gallerie (nonché tra le rarissime che propongono artisti affermati) a puntare su questa strategia. Diverse le opere proposte da Magazzino: una delle più recenti è Rugiada, opera del 2022 realizzata con smalto su alluminio, appartenente tuttavia a una serie che Bartolini porta avanti da alcuni anni e che ha di recente esposto anche alla grande personale Hagoromo tenutasi l’anno scorso al Centro Pecci di Prato. Rugiada è una serie di quadri in cui una lastra di alluminio viene coperta con un colore iridescente e cangiante e poi con un’emulsione artificiale che simula la rugiada. “Nonostante possano sembrare forme astratte, questa sorta di monocromi rimandano a uno dei temi portanti dell’opera di Bartolini: il paesaggio naturale”, spiegava il curatore Luca Cerizza nei testi di Hagoromo. “Come suggerisce il titolo, le ‘rugiade’ possono infatti essere lette come delle finestre su cui si è depositata la rugiada e da cui si può vedere un paesaggio che cambia, come cambia il colore dei quadri con il movimento dello spettatore. Queste opere mettono in scena una tensione tra la bidimensionalità della pittura e la tridimensionalità della scultura, tra lo sfondo (il paesaggio) e il primo piano (la rugiada), tra movimento e stasi”.
Tra i nomi più blasonati dell’arte italiana contemporanea, Marinella Senatore è presente da Mazzoleni con installazioni e alcuni polittici come questo Make it shine. Le interconnessioni tra lo spazio dedicato all’incontro, come quello delle piazze, e il potere trasformativo dell’impegno sociale sono alcune delle chiavi del lavoro di Marinella Senatore, che basa la sua pratica creativa sull’estetica della resistenza. Le sue opere luminose e al neon mettono al centro la comunità e il potere trasformativo dell’arte e della partecipazione. Sono opere che intendono celebrare individui e comunità attraverso frasi di empowerment e il potere della luce, come nel caso delle sue luminarie a soffitto. Il tentativo di catturare l’energia della luce si sostanzia anche nei collage: partiture musicali, fotografie, schizzi e sagome in movimento sono estrapolati da momenti della School of Narrative Dance, il suo più noto progetto partecipativo nato nel 2012, che da oltre un decennio ha coinvolto 8 milioni di persone in 23 Paesi.
Lia Rumma porta, come sempre, uno dei suoi artisti di punta, Gilberto Zorio, grande esponente dell’Arte Povera. Gilberto Zorio crea opere d’arte che catturano processi chimici, trasformazioni meccaniche e scambi energetici alludendo all’evoluzione e all’esistenza umana. Zorio utilizza un lessico visivo specifico, riconoscibilissimo, quello che si avvale delle stelle a cinque facce, che nella sua arte diventano simbolo di movimento, energia e trasformazione. Coerentemente con i principi dell’Arte Povera, nel suo lavoro utilizza materiali tradizionalmente non artistici, come metallo per impalcature, schiuma e pelli di mucca. La memoria nella pergamena, in cui l’ormai classica stella in acciaio viene fissata su un fondo di pergamena irregolare, è una delle opere più recenti dell’instancabile maestro piemontese classe 1944.
In mostra quest’anno ad Artissima c’è anche una delle ormai celebri nuvole di Leandro Erlich, presente in fiera dopo il successo della mostra di Milano. La serie Cloud “è cambiata nel tempo, cambiando e trasformandosi come fanno le nuvole”, afferma Erlich. “All’epoca stavo lavorando a un progetto per un edificio in Giappone e avevo bisogno di creare degli schermi che fermassero il vento. I miei tentativi iniziali hanno portato alla prima Nuvola, un composto di più lastre di vetro che, se viste dalla giusta angolazione, appaiono come un’immagine tridimensionale. Anche se a volte pianifico un pezzo fin dall’inizio e so dove sono diretto mentre lavoro, questa serie è stata un’esperienza continua in cui è emersa la nuvola. Non penso che un approccio sia superiore a un altro, il processo intuitivo del fare rispetto al piano completo, ma c’è qualcosa in questa esperienza più nebulosa e fortuita che apprezzo come artista. Come un’idea, la Nuvola è allo stesso tempo totalmente reale e illusoria. Le nubi atmosferiche sono sempre state uno schermo per la proiezione umana, ma allo stesso tempo non sono altro che un evento momentaneo, quello che lo scrittore Jon Mooallem definisce una ‘congiura di vapore’. Eppure continuiamo a guardare al cielo per cogliere segnali, segnali. Vediamo ciò che immaginiamo e ci sentiamo collegati alla nostra interpretazione, come il Test di Rorschach o le intenzioni di altre persone o tante altre cose di cui ci appropriamo con la nostra mente”.
Chiudiamo con un nome che non ha bisogno di presentazioni. Tornabuoni Arte porta la grande arte del Novecento ad Artissima, e ci sono anche tre splendidi pezzi di Lucio Fontana, tutti appesi assieme sulla stessa parete: tre Concetti spaziali, appartenenti alle serie dei tagli (le Attese) e dei Buchi. I prezzi sono ovviamente tra i più alti in fiera.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.