Per coloro che non si trovino ad approfondire l’argomento, potrebbe ancora risultare misterioso o comunque bizzarro il fatto che la città di Pisa, oggi nell’entroterra toscano, a circa 10 km dalla costa, abbia avuto un passato glorioso sul mare, come è noto, in qualità di Repubblica Marinara, ma ancor prima come scalo portuale dell’Impero Romano, e perfino dopo, all’interno delle mire egemoniche del Granducato toscano. Se è vero che in epoca romana Pisa si affacciava ancora sul mar Tirreno, tanto che in città sono stati trovati numerosi resti archeologici di navi, già nel Medioevo il progressivo insabbiamento e deposito di detriti portati dai fiumi Arno e Auser (oggi Serchio) aveva fatto avanzare notevolmente la linea di costa, ma questo non impedì alla Repubblica Pisana di imporsi sul mare come una delle maggiori potenze di allora, arrivando ad avere tra i suoi domini le isole Baleari, la Corsica e aree della Sardegna, ma anche possedimenti a Gerusalemme e Cesarea, e altre colonie ancora in Oriente.
Per far questo nel corso del tempo sviluppò approdi e attracchi sul mare, di cui il più celebre fu il Porto Pisano che sorgeva nell’area oggi occupata dei quartieri nord di Livorno, e anche lungo il corso dei due fiumi, e importanza nodale la ebbe in questo caso il porto fluviale che si ergeva direttamente in città, oltre che a un fitto sistema di bacini, canali e corsi d’acqua minori. Fondamentale fu quindi il costante lavoro, supervisionato dai Magistrati delle Acque, di organizzazione, costruzione dei canali, di bonifiche e interventi per il raddrizzamento del corso dell’Arno.
Ma accanto a questo laborioso sviluppo del reticolo portuale, non meno importanza ebbe la cantieristica necessaria ad assicurare a Pisa una flotta. La storica e studiosa Marcella Aglietti segnala come sia lunga la tradizione pisana in merito ai suoi arsenali, che risalirebbe almeno all’epoca longobarda (569 – 770), quando i dromones pisani guerreggiavano con i vascelli bizantini. E una prima testimonianza di una flotta locale è datata al 603, successivamente gli annalisti ricordano la vittoriosa spedizione navale capeggiata dal conte Bonifacio di Lucca nel 828 contro Corsica e Sardegna e poi ancora verso le coste del Nord Africa. Alcuni secoli dopo nel 1087 Pisa impegna trecento navi per espugnare le coste africane presso al-Mahdiya e Zawila, mentre centoventi furono le imbarcazioni coinvolte nella Prima Crociata del 1098-1099, impresa che valse all’Arcivescovo pisano la nomina a primo patriarca latino di Gerusalemme.
La Battaglia della Meloria del 1284, che vide la flotta pisana vinta dalla Repubblica Marinara di Genova, chiuse il ciclo delle glorie per mare della città toscana, e fu l’inizio del suo declino navale e mercantile. Sei anni dopo la guerra combattuta davanti a Livorno, i pisani che non avevano rispettato le dure condizioni di guerra imposte dai genovesi subirono un nuovo grave danno: i liguri, infatti, intasarono l’imboccatura del canale maggiore di accesso al Porto Pisano affondando una galera piena di detriti provenienti dalle torri di avvistamento, inoltre ruppero le catene che impedivano l’accesso al porto, portandole a Genova come segno di vittoria.
Il tracollo fu piuttosto repentino tanto che nel 1300 Pisa fu costretta a cedere la Corsica e successivamente perse anche la Sardegna. Il definitivo tramonto avvenne quando il territorio caduto nelle mani dei Visconti nel 1405 venne venduto a Firenze, che riuscì a prenderne possesso solo l’anno successivo a causa della fiera resistenza dei pisani. Ciononostante, i nuovi dominatori, soprattutto in una prima stagione, non vollero privarsi della possibilità di assicurarsi uno sbocco al mare e di dar vita a una propria politica marinara, pertanto continuarono a mantenere una squadra di galere costruite negli arsenali pisani, anche se l’atteggiamento dei fiorentini nei confronti dello scalo rimase piuttosto contraddittorio e scostante.
Infatti non poca colpa ebbero nella decadenza dell’arsenale pisano, poiché distrussero diverse strutture, trasformando parte dell’area cantieristica in una zona dedicata a divenire presidio di controllo delle truppe vincitrici sulla città conquistata, e nota come “Cittadella”. Si assiste in quel periodo anche a un depauperamento della manodopera qualificata che lascia la terra natia per non vivere sotto il dominio fiorentino. Inoltre, nel 1421 Firenze si assicurò l’acquisto di Livorno, allora poco più che un piccolo porto, ma che in seguito avrebbe attirato sempre più attenzioni da parte prima della Repubblica Fiorentina poi della Signoria, distogliendo risorse dalla città di Pisa.
Durante tutta l’epoca della Repubblica Pisana, le navi furono costruite negli arsenali nei pressi del monastero benedettino di San Vito. La darsena prendeva il nome di Tersana, derivante dalla dizione araba dar as-sana’a, luogo dove si ricoveravano le galere. Con lo scopo di amministrare la gestione della struttura fu creata l’Opera della Tersana. In questi spazi si provvedeva alla manutenzione dei legni pisani, mentre le imbarcazioni militari soventemente venivano realizzate lungo i lati dell’Arno.
Gli arsenali si sviluppavano attorno a un bacino artificiale ed erano costituiti da strutture formate da circa sessanta portici. Tutta l’area fu poi fortificata dal 1261, e nel 1290 venne edificata la Torre Ghibellina. Seppur ridimensionata con l’inizio del dominio fiorentino, l’area mantenne la sua funzione, e con la salita al trono granducale di Cosimo I de Medici per Pisa viene ritagliato un nuovo ruolo. Il Granduca, infatti, aveva deciso di coronare le sue mire espansionistiche sul Mediterraneo istituendo nel 1562 l’Ordine militare cavalleresco di Santo Stefano “a difesa della fede ed alla guardia del Mediterraneo”, che trovò in seguito la propria sede a Pisa. Si trattava di un corpo militare deputato ai combattimenti, ma anche di un efficace strumento di controllo sul ceto nobiliare toscano e di formazione per la classe dirigente.
Si decise quindi di installare nella città pisana l’arsenale della nuova flotta toscana, allo stesso tempo si sviluppavano anche quelli di Portoferraio e di Livorno. Vennero quindi implementate nuove strutture, edificando nuovi capannoni nell’area tra l’arsenale repubblicano e il monastero di San Vito. Tale scelta fu dettata dalla necessità di varare navi di maggiori dimensioni. L’arsenale mediceo delle origini, a cui partecipò anche l’architetto granducale Bernardo Buontalenti fornendo il disegno, era articolato in otto navate lunghe sessanta metri e alte otto, costituendo quindi un grande loggiato formato da archi in laterizio poggianti su pilastri e sormontati da un tetto a capanna. La struttura venne poi affiancata da fondaci per la realizzazione di tele e dal 1563 fu ampliata ulteriormente.
Già prima di varare navi per conto dell’Ordine di Santo Stefano, l’arsenale si era distinto per la realizzazione di diverse galee, tra cui La Pisana, la San Giovanni, la Toscana e la Padrona. Tutte le navi sfoggiavano insegne medicee ed erano dotate di un apparato decorativo di notevole suggestione scenica. Per l’Ordine di Santo Stefano, l’arte cantieristica si sviluppò raggiungendo livelli di grande qualità, e sotto Ferdinando I si vuole che venisse costruita una galera l’anno per tutta la durata del suo granducato. A questo periodo risale anche la Capitana, divenuta celeberrima per essere stata la nave con cui la principessa Maria dei Medici salpò da Livorno per la volta di Marsiglia, dove si sarebbe congiunta con il suo sposo Enrico IV di Francia. Col tempo però l’arsenale pisano subì la concorrenza di quello livornese, che aveva minori costi per mettere le navi in mare, e il centro pisano finì col tempo per diventare un mero magazzino e le sue maestranze vennero impiegate per altri generi di lavori, come quello di realizzare arredamenti per le residenze medicee. Già alla metà del Seicento l’importanza dell’arsenale si era oscurata, e continuava la sua funzione soprattutto per imbarcazioni private.
Nei primi decenni del XVIII secolo i capannoni furono utilizzati come ricovero della cavalleria spagnola e dopo per accogliere il reggimento di cavalieri dei Dragoni granducali. Per tale scopo lo spazio fu lastricato e gli archi tamponati, mentre nell’Ottocento furono abbattute alcune arcate per ricavarvi un cortile interno. Con l’Unità d’Italia, gli arsenali divennero il centro di riproduzione ippica dello stato sabaudo, che rimase attivo sotto l’Esercito Italiano fino al 1965.
Durante l’ultimo conflitto mondiale numerose bombe si abbatterono sul quartiere coinvolgendo tutte le strutture legate al passato navale di Pisa, e questo portò a un lungo periodo di degrado. Negli ultimi anni però una nuova politica culturale ha recuperato ciò che è sopravvissuto dell’arsenale repubblicano e mediceo. Nel primo caso alla struttura è stata ripristinata la copertura, dotata di una nuova illuminazione e curato il verde pubblico circostante, divenendo uno spazio espositivo, in cui sono state realizzate mostre virtuali temporanee e quella dedicata alla fotografia di Steve McCurry. Mentre gli arsenali medicei sono stati restaurati per accogliere il Museo delle Navi Antiche di Pisa, ristabilendo quindi il legame con il mare e la navigazione, per la quale videro la loro origine. L’intervento di recupero ha mantenuto parte dei box dei cavalli, con abbeveratoi e cancelli, facendo optare per un’esposizione museale organizzata in capitoli, mentre lungo lo spazio delle grandi campate sono disposte le ancestrali imbarcazioni di epoca romana, rinvenute a partire dal 1998 nei pressi della stazione ferroviaria di San Rossore. Questi interventi hanno avuto il merito di recuperare due strutture di grande importanza per la storia pisana.
Per saperne di più su Pisa: https://www.turismo.pisa.it/
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.