La pandemia di COVID-19 sembra ormai essere un ricordo del passato, ma se c’è una cosa che i musei possono tranquillamente considerare come una morale di quei tempi senza precedenti è il fatto che il digitale conta. In effetti, possiamo aggiungere che il potenziale che il digitale detiene è più chiaro ora che mai, ma ancora una volta non si tratta che di uno solo di una più ampia gamma di strumenti a cui il museo del XXI secolo ha accesso.
È sullo sfondo di questa esperienza che lo scorso 18 aprile l’Università degli Studi di Macerata ha tenuto un seminario di un’intera giornata sul tema “L’Arte Che Parla” convocato congiuntamente da Patrizia Dragoni e Cinzia Dal Maso. Il progetto è stato dedicato a Massimo Montella, economista, manager culturale e mente dietro la più importante rivista italiana di patrimonio culturale, Capitale Culturale. L’iniziativa di Montella, che utilizza la radio per promuovere e divulgare il patrimonio culturale marchigiano attualmente presente in musei al di fuori del territorio nazionale italiano, è stata volutamente scelta come cornice dei lavori della giornata. Sono tra coloro che credono fermamente che la lungimiranza di Montella debba essere molto più celebrata a livello internazionale. Si spera che questo riconoscimento arrivi in tempo utile.
La conferenza si è rivelata l’occasione giusta per presentare le ultime novità in fatto di progetti sound-inspired e sound-informed. I podcast sono stati i protagonisti, come previsto, ma lo stesso si può dire anche per la radio, le audioguide e la musica.
La continua riscoperta del podcast da parte dei musei italiani che è, al confronto, una tecnologia rudimentale rispetto alla realtà aumentata o virtuale hi-tech, per non parlare della radio, suggerisce una scelta che da un lato è informata su costi e budget ma, dall’altro, una soluzione collaudata. Oltre ai musei, la scena culturale del podcast ora include anche il fenomeno in continua crescita de Le Gioconde, in cui la narrazione viene alleggerita per essere consumata da un pubblico molto più ampio, oltre le mura del museo. Ma i podcast dovrebbero essere pensati come un’esperienza con cui interagire al di fuori del museo? Certamente no.
I podcast sembrano rappresentare il prodotto giusto che può essere facilmente intrecciato nella quotidianità di ognuno di noi. Possiamo guidare e ascoltare un podcast. Possiamo svolgere le nostre faccende quotidiane con la voce di un podcast ma possiamo anche visitare un museo e ascoltare un podcast anche se questo potrebbe non essere stato creato per essere specificamente utilizzato e consumato in un museo. Alla fine della giornata i progetti presentati hanno chiarito che è la tecnologia che conta per i musei, piuttosto che scegliere l’ultimo ritrovato hi-tech che potrebbe essere complesso da sostenere a lungo termine. A tal fine, non esiste né nuova né vecchia tecnologia. È la tecnologia che conta che sembra avere la meglio.
Anche i progetti di audioguide hanno ricevuto la loro giusta dose di attenzione e, come hanno giustamente sottolineato gli organizzatori del seminario, l’audioguida potrebbe avere ancora uno scopo. È interessante notare che le audoguide possono anche essere lo strumento giusto con cui personificare il museo. Il tono della voce, la scelta del personaggio, la consegna e la sceneggiatura possono rappresentare la voce stessa del museo che racconta, descrive e fa visualizzare agli utenti il contenuto del museo. Potrebbe anche essere parte di una più ampia esperienza multisensoriale generalmente basata molto più sul visivo.
Siamo arrivati ad associare le audioguide anche al pubblico museale ipovedente e il seminario ha presentato alcuni degli ultimi progetti dei musei italiani in tal senso. Sono uno di quelli che credono fermamente che tali progetti dovrebbero essere resi accessibili a un pubblico più ampio che includa anche il pubblico mainstream. Ciò garantirebbe che la ricerca dell’inclusione da parte del museo non si sommi, paradossalmente, all’esclusione.
Al termine dei lavori della giornata di studi, ci è stato anche ricordato che il museo sarà sempre uno spazio sonoro tanto quanto è ampiamente riconosciuto come visivo. Il progetto della Galleria Borghese presentato in questo convegno lo dimostra in maniera indiscutibile. Piuttosto che essere uno spazio dove presentare un’esperienza musicale, è il luogo stesso che può informare, ispirare e favorire un’esperienza musicale dettata dal senso del luogo e dalle sue vibrazioni. Questo progetto stimolante, che riguarda un’esperienza musicale appositamente composta all’interno dello spazio stesso, dovrebbe ricordarci che anche se sperimentiamo l’arte durante la visione, la vista evoca ancora suoni, trame e gusto quando il nostro bagaglio di conoscenze contiene un chiaro riferimento ad essi. L’opportunità sta nel capire meglio quando il nostro bagaglio di conoscenze non si carica e come proporre e confezionare quella che può essere giustamente intesa come un’esperienza persa.
Il seminario diurno ha fatto il punto su una situazione che, come giustamente segnalato dagli organizzatori, non era così presente e fiorente circa un anno fa. Questo di per sé è un esempio calzante di come i musei siano all’altezza dell’occasione impegnandosi con il suono, la voce e l’udito. La sfida di fondo riguarda anche come e in che modo il suono può essere parte di un’esperienza più ampia e ricca informata dal pensiero transmediale in cui il digitale e il fisico, l’uditivo e il tangibile, consentono ai musei di sviluppare nuovi itinerari, modalità di coinvolgimento e interattività che non siano ristretti allo spazio fisico del museo, che possiamo giustamente considerare come un contenitore di contenuti, ma che si estende all’esterno e rifluisce nello spazio fisico. Anche questo è presente in alcuni dei progetti presentati. Potrebbe essere solo l’inizio di qualcosa di molto più eccitante. Forse.
In conclusione, il seminario di un’intera giornata ha sostenuto il prossimo passo avanti per i musei e che riguarda la strategia. L’attenzione potrebbe essere molto più concentrata sui modi e sui mezzi con cui il suono può essere utilizzato per consentire l’accesso a specifici contenuti museali, forse anche in una sequenza ben ponderata con l’uso di una cassetta degli attrezzi multisensoriale in cui il suono è solo uno di una gamma più ampia degli strumenti che il museo ha a sua disposizione. Ecco dove potrebbe dirigersi il museo multipiattaforma.
L'autore di questo articolo: Sandro Debono
Pensatore del museo e stratega culturale. Insegna museologia all'Università di Malta, è membro del comitato scientifico dell’Anchorage Museum (Alaska) oltre che membro della European Museum Academy. Curatore di svariate mostre internazionali, autore di svariati libri. Scrive spesso sui futuri del museo ed ha il suo blog: The Humanist Museum. Recentemente è stato riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e dal Ministero della Cultura Francese Chevalier des Arts et des Lettres per il suo contributo nel campo della cultura.