La performance di Milo Moiré: è possibile parlare di arte?


Ha fatto discutere la performance attraverso cui Milo Moiré si è presentata nuda ad Art Basel. Cerchiamo di capire se è possibile parlare di arte.

Ha fatto scalpore la performance che Milo Moiré ha tenuto a Basilea in occasione della rassegna di arte contemporanea Art Basel: l’artista si è presentata all’ingresso della fiera completamente nuda, e con scritti sulla pelle i nomi degli indumenti che si indossano sulle varie parti del corpo. È stata allontanata per il fatto che non era stata selezionata per la fiera, e l’organizzazione ha ritenuto ingiusto, nei confronti degli artisti selezionati, accettare la sua performance. Per chi volesse approfondire, un articolo su Tafter spiega tutto.

Il tempio di Minerva ad Assisi
Milo Moiré prima di iniziare la sua performance a Basilea
Foto: Sébastien Amex

Di sicuro però la performance di Milo Moiré ha pubblicizzato Art Basel meglio di qualsiasi altro artista presente alla rassegna in via ufficiale... a proposito, qualcuno provi a fare un nome di un artista presente. E ovviamente, sui siti web e sui social si sono scatenati commenti a condannare la performance. Tuttavia, prima ancora di domandarci se abbiamo assistito a una performance artistica, sarebbe il caso di farsi una domanda: perché gli appassionati d’arte si scaldano tanto sull’esibizione del corpo nudo? Chi è veramente il peggiore: l’artista, che si mette in mostra senza filtri, i benpensanti che si scandalizzano per un corpo messo in mostra con intenti artistici (per quanto si possa o meno essere d’accordo) quando la società ci propone ogni giorno corpi femminili messi in mostra per scopi sicuramente meno nobili, o noi tutti che ci adoperiamo, seppur forse inconsapevolmente, a far sì che venga sempre alimentata questa dicotomia tra corpi mostrati e accettati in modo passivo e corpi mostrati e sui quali le discussioni si accendono? E l’ulteriore domanda è: perché è così difficile accettare che si possa mostrare un corpo nudo per fini artistici, se questa esposizione del corpo è mossa da un atto creativo, da un messaggio che si vuole inviare al pubblico, dal tentativo di muovere gli animi e procurare diletto, ovvero i tratti fondamentali (o alcuni dei tratti, benché molti possano non concordare) che caratterizzano l’opera d’arte?

Da Marina Abramovic a Hermann Nitsch passando per Vito Acconci, l’utilizzo del corpo come mezzo espressivo, da anni, è stato ormai codificato come arte. L’esposizione del corpo umano, più o meno vestito, presuppone del resto un rapporto più forte con la realtà, e le reazioni del pubblico sono lì a dimostrarlo. È la chiave di lettura della cosiddetta performance art. Posto che quindi si tratta di arte, rimane da stabilire qual è il limite che distingue la vera performance artistica da cio che arte non è, e che si configura più come esibizionismo o come trovata di marketing.

Milo Moiré (che è peraltro laureata in psicologia ed è anche una pittrice di un certo interesse) aveva già realizzato una performance simile a quella di Art Basel nel 2013, a Düsseldorf, quando viaggiò sulla metropolitana della città tedesca nuda e con le solite scritte con i nomi dei vestiti, in una performance dal titolo Script System. Obiettivo dell’artista, allora, era quello di verificare la reazione dei passanti in seguito alla rottura di una routine (comperare il biglietto, timbrarlo, entrare nel treno... ) attraverso un evento insolito. È arte? Può darsi, ma se l’obiettivo è la verifica di una reazione, allora al mondo chiunque faccia esperimenti sociali può essere definito artista. E l’obiettivo (dichiarato) dell’artista vanifica anche il ben più raffinato concetto in base al quale i vestiti nascondono la bellezza del corpo umano, perché va da sé che questo messaggio finisce per diventare secondario se non addirittura completamente trascurato, tant’è che la tendenza è sempre quella di parlare del nudo e non del messaggio che trasmette. La performance art deve fondarsi su un messaggio solido, altrimenti è pura esibizione. O quanto meno, deve essere creativa e originale. E inoltre: è originale? No, perché sugli argomenti su cui si sta esprimendo negli anni Dieci del 2000 Milo Moiré, probabilmente aveva già detto quasi tutto Marina Abramovic negli anni Settanta.

È però interessante notare come la “relazione tra moralità e natura”, per utilizzare le parole di Milo Moiré, riesca ancora a configurarsi come un “paradosso apparentemente irrisolvibile”, e soprattutto come riesca a catalizzare su di sé l’attenzione: in questo caso, a dispetto degli altri artisti in rassegna. Originale o no, la performance di Basilea, ancor più di quella di Düsseldorf (pur con le stesse modalità: è il contesto però che modifica il messaggio), riesce a instillare alcune domande nell’osservatore più attento. Come si può risolvere questa divisione tra moralità e natura? Con l’indifferenza, forse? Ma è moralmente corretto essere indifferenti nei confronti della natura? E ancora: malgrado la non originalità, perché la performance art che presuppone l’utilizzo del corpo nudo fa ancora scalpore? È il contesto che rende tale un’opera d’arte? E soprattutto: in un’arte che al giorno d’oggi è guidata più che mai nella storia dal mercato, la performance art che fa scalpore può essere ancora un modo per far sì che venga affermato il ruolo indipendente dell’artista? Sembrerebbe di sì, dato che l’artista di cui più si è parlato a questa edizione di Art Basel è stata proprio Milo Moiré. L’atto creativo, il messaggio implicito e la capacità di far insorgere queste domande possono quindi far sì che l’esibizione di Milo Moiré possa configurarsi come performance art? La domanda è aperta... :-)


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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