La Responsabilità sociale risponde alle esigenze di un museo che, oltre alle sollecitazioni della Convenzione di Faro, non può ignorare lo stress, gli stati di ansia, il disorientamento emozionale, la frustrazione e la confusione che la pandemia hanno lasciato in noi. I nuovi modelli di sviluppo dei musei, che si pongono come protagonisti attivi del territorio decidendo di investire nella MSR – Museum Social Responsibility, assumono posizioni “forti” anche al di fuori del proprio comparto puntando sulle risorse intangibili che li connettono al pubblico generico. Una scelta che, inevitabilmente, ricade sulle mission, sulla vision, sugli obiettivi e sulle strategie di quei musei che si fanno portavoce anche delle persone più fragili e vulnerabili e, in genere, di tutti quei segmenti di pubblico che non sarebbero naturalmente stimolati a frequentare una struttura che produce cultura.
“La rilevanza del coinvolgimento dei pubblici nei beni culturali e nei musei è vista da tempo dall’Unione Europea come uno dei temi sui quali concentrare ricerche e risorse, nelle linee di indirizzo l’audience development e l’audience engagement, ovvero le strategie per dialogare con i pubblici tradizionalmente lontani dalle frequentazioni museali, si ripongono infatti grandi attese per una più incisiva capacità di allargamento della platea di riferimento, nella consapevolezza che la mancata partecipazione delle persone alla cultura ha effetti limitativi e sperequativi anche in termini culturali, sociali ed economici”1. Da una parte abbiamo l’esigenza di entrare nel mercato del tempo libero di tutte le persone, ma dall’altra l’onere di farlo rendendo le persone protagoniste della loro visita, attori principali del tempo che decidono di investire nella cultura e in un museo. Concetti che, disciplinati da strategie olistiche, portano a profilare il pubblico generico sulla base del loro nuovo stile di vita, a coinvolgerlo con proposte culturali originali e personalizzate concepite come piattaforme del benessere esperienziale2. Ne risultano evidenziati contenuti immateriali connessi con la bellezza, l’etica, la solidarietà, la responsabilità, il benessere, la salute, il rispetto, la moralità, la duttilità, la trasversalità, la non convenzionalità, l’interdisciplinarietà e la diversità, che puntano a un desiderio condiviso di bene collettivo.
La dimensione sociale del museo è necessaria per un legame biunivoco con il territorio (responsabilità), per l’abbattimento definitivo delle barriere sociali (equità), per creare nuovi posti di lavoro per i giovani che avranno una base culturale sempre più orizzontale, interdisciplinare e internazionale, per consentire a tutte le categorie di persone di avere un ruolo da protagoniste. Ne è un esempio il progetto europeo “Cross the Gap – Accessibility for Social and Cultural Inclusion” che mira a sostenere l’inclusione sociale in Puglia e Grecia con un’attenzione sui temi dell’accessibilità e dell’inclusione sociale nei luoghi che producono cultura e sugli eventi artistici per tutte le persone, con particolare riguardo agli individui più fragili e vulnerabili, cercando di rendere l’offerta culturale fortemente personalizzata. Obiettivi: abbattere le barriere sociali, promuovere l’integrazione delle persone fragili all’interno del contesto museale e fornire strumenti professionali a educatori, volontari e specialisti di settore.
I musei diventano, perciò, luoghi di interesse pubblico che si rivolgono a tutta la società, ricoprendo un ruolo determinante nello sviluppo dei legami, nella coesione sociale e nella riflessione sulle identità collettive proprio all’indomani della pandemia da Covid-19.
La gestione museale dovrà di conseguenza attenersi a una pianificazione che tenda, concretamente, verso piani di sviluppo sostenibile capitalizzando strategie innovative sempre più concentrate sulle persone: Marketing della Responsabilità Sociale, Marketing olistico e umanistico, Marketing della Sostenibilità ambientale, Human to Human Marketing e Inbound Marketing. La sostenibilità, per un museo, è il fine a cui tendere per raggiungere l’equilibrio tra le quattro dimensioni interconnesse che ne fanno parte: economica, sociale, ambientale e benessere. Il museo che desidera percorrere la strada della MSR deve consolidare le relazioni con il territorio e in particolar modo rafforzare il network con il contesto sociale e ambientale in cui opera: residenze sanitarie per diversamente abili, residenze sanitarie assistenziali, residenze sociosanitarie assistenziali per anziani, case di riposo, imprese sociali, società benefit e service club (Lions, Rotary, ecc.). Un atteggiamento particolarmente favorevole in questo momento storico per rispondere alle nuove esigenze e agli inediti stili di vita delle persone, per avere sempre più coscienza nei confronti delle sfide del sociale, per ridefinire il significato di identità e per ritrovare nuovi punti di riferimento esistenziali. Una delle fasi più importanti da tenere in considerazione, prima di mettere in atto qualunque strategia, è la profilazione del pubblico generico. Dando per certo che con il cambiamento irreversibile dello scenario sono mutati anche i bisogni, i desideri e gli stili di vita delle persone, dovremo ripartire “quasi” da zero con criteri diversi rispetto a quanto facevamo fino al 2019. L’obiettivo principale rimane quello di segmentare, proteggere e rendere protagoniste le persone ritenute più fragili e vulnerabili. Sono quattro i segmenti di pubblico che nello scenario post pandemico ritengo prioritari da coinvolgere e fidelizzare attraverso proposte originali e differenziate: i diversamente abili (persone con disagi o patologie fisiche o mentali), la terza età, le famiglie con bambini e gli adolescenti. Le strategie da adottare, siano esse digitali (Digital Marketing) o analogiche (H2H – Human to Human Marketing), hanno il denominatore comune del Marketing della Responsabilità Sociale che ha due punti fermi da cui partire:
non è più possibile isolare la Sostenibilità economica di una gestione museale dalla valutazione delle sue implicazioni etiche, sociali e ambientali;
il museo, concepito anche come una struttura che trasmette l’eredità culturale, opera in due direzioni: accresce il senso di sostenibilità e responsabilità nelle persone e migliora la qualità della vita dei visitatori.
A Montreal, in Canada, se stessi male il tuo medico potrebbe prescriverti una visita al Museo delle Belle Arti di Montreal. Si tratta, secondo i medici canadesi, di una vera e propria terapia di accompagnamento che aiuta a liberarsi dallo stress e a ritrovare un rapporto attivo con il proprio sistema sensoriale. Dal 1° novembre 2018, in Canada la “museoterapia” è riconosciuta ufficialmente e i dottori possono prescriverla esattamente come farebbero per un farmaco. I medici hanno l’opportunità di prescrivere fino a cinquanta visite gratuite all’anno, all’occorrenza alla presenza di personale sanitario. Un pensiero che esalta una delle nuove funzioni del museo: quella curativa. Ulteriori studi hanno dimostrato quanto il contesto museale di per sé sortisca un effetto rilassante e, al tempo stesso, emotivamente stimolante in particolare per i pazienti con disturbi mentali che possono migliorare da tutti i punti di vista. Frequentare con regolarità le attività culturali stimola la sensibilità intellettiva ed emozionale, abbassa i livelli di cortisolo (ormone dello stress) e alza i livelli di serotonina (ormone del buonumore)3. Per le persone con disabilità mentale, il museo diventa uno spazio di inclusione sociosanitaria che contribuisce alla salutogenesi e all’incremento del benessere psico-fisico. Al Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art ho ideato l’ArTS Hub – Art Therapy Social Hub, attraverso cui, in collaborazione con ALAP – Associazione Lucchese Arte Terapia, ho proposto laboratori di Museoterapia che, a differenza di quelli di Artiterapia (Arteterapia, Danzaterapia, Teatroterapia, ecc.) che sono legati al “fare”, sono basati su percorsi percettivi interdisciplinari, con incontri esperienziali mediati sia dall’oggetto estetico esposto (opera d’arte), sia da operatori sanitari specializzati nella gestione di un gruppo artemediato (generalmente uno psichiatra esperto in materia). La Museoterapia corrisponde a una grande opportunità per i nostri musei confermando i benefici che un percorso percettivo personalizzato, e proposto sotto forma laboratoriale, può apportare a persone fragili, vulnerabili o diversamente abili. Si tratta di una forma di terapia che utilizza la risposta alla fruizione di opere d’arte visiva per migliorare il benessere fisico, mentale ed emotivo. Il processo creativo, evocativo ed espressivo connesso ad un’esperienza conoscitiva all’interno di un museo – mai alternativa a percorsi e trattamenti farmacologici – può aiutare le persone più fragili a risolvere tante problematiche laddove è necessario intervenire sui loro stati d’animo per ridurre lo stress e gli stati d’ansia e migliorare l’autostima.
Negli anni Novanta del secolo scorso, soprattutto nei paesi anglosassoni, fu evidenziato che la cultura non generava solamente un impatto economico, ma aveva anche un grande impatto sociale sul territorio manifestato con diverse tipologie nel settore artistico e in quello museale. Fu da allora che iniziarono ad essere prese in considerazione delle tecniche per misurare i diversi impatti attraverso precisi indicatori pertinenti al comparto4. In generale, l’impatto sociale si riferisce all’inclusione di tutte le persone, ad iniziare da quelle fragili e vulnerabili, alla qualità della loro vita, alla crescita personale, alla salute e al benessere psicofisico, ma anche alla comprensione e all’influenza dell’ambiente sociale circostante per la più o meno predisposizione a partecipare la cultura e i musei e a livello di apprendimento personale e collettivo. Quello sociale, così come quello ambientale e olistico, è un impatto immateriale; quindi, è semplice comprendere la difficoltà di sviluppare indicatori che possono calcolare in modo scientifico questi effetti. Per ovviare a tali problematiche sono state sviluppate delle “proxy”, dei parametri convenzionali in grado di esprimere un valore intangibile attraverso la sua riduzione a elementi misurabili. Indispensabile per comprendere gli “effetti della cultura” sui singoli individui, sulla collettività e sul territorio, la partecipazione attiva degli stakeholder del luogo interessato.
Per i musei che inseriscono nella propria progettualità la responsabilità sociale, il metodo più credibile e attendibile è quello dello SROI – Social Return on Investment, perché ha la capacità di quantificare i fattori immateriali. Fondamentale nel processo di valutazione è, perciò, il coinvolgimento diretto delle parti (stakeholder, gruppi d’interesse, singole persone coinvolte con offerte tailor made) tramite focus group, interviste, questionari, osservazione dei loro comportamenti durante le varie iniziative e indice di fidelizzazione. Sarà molto importante comprendere la relazione tra l’investimento economico, i benefici condivisi, la loro persistenza nel tempo e cosa sarebbe potuto accadere senza gli investimenti in questione. La “testimonianza oculare” dei contesti e delle persone realmente coinvolte diventa lo strumento più affidabile e credibile, e perciò garanzia per gli stakeholder che hanno partecipato alle varie iniziative. In generale, questa tipologia di misurazione non solo contribuisce ad alimentare la connessione tra i diversi membri e le organizzazioni di una comunità rafforzandone l’identità socioculturale, ma stimola anche il processo di crescita economica, etica e di consapevolezza di un territorio.
1 M. Rota, Musei per la sostenibilità integrata, Milano, Editrice Bibliografica, 2019, p. 123.
2 M. Vanni, I beni relazionali e le piattaforme del benessere esperienziale, in D. Piraina – M. Vanni, La nuova museologia: le opportunità nell’incertezza, Torino, Celid, 2020, p. 51.
3 S. Del Dot, Museoterapia: una visita al museo per stare meglio. Così l’arte diventa una cura prescritta dal medico, pubblicato il 26 febbraio 2019 in Il Pepe in ogni cosa, www.ohga.it
4 F. Viganò – G. Lombardo, Misurare l’impatto sociale generato dai musei. L’applicazione della metodologia del Ritorno Sociale sull’investimento, in A. Luigini – C. Panciroli (a cura di), Ambienti digitali per l’educazione all’arte e al patrimonio, Milano, Franco Angeli, 2018, pp. 334-338.
L'autore di questo articolo: Maurizio Vanni
Museologo, Critico e Storico dell’arte, specialista in Sostenibilità, Valorizzazione e Gestione museale ed in Marketing non convenzionale per la cultura. Già chief curator del MARS – Modern Art Center di Mosca (2002-2004), Curatore Museale della Fondazione Primo Conti (2005-2006), Direttore della Fondazione Dino Zoli Arte Contemporanea (2007-2008), Direttore Generale del Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art (2009-2021) e docente di Museologia e Marketing museale presso UMSA – Universidad del Museo Social Argentino di Buenos Aires (2013-2018). Attualmente lavora per il Ministero della Cultura – Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara (Sostenibilità, Valorizzazione e Gestione dei Beni Culturali e dei Musei), è docente di Museologia presso l'Università degli Studi di Pisa, docente di Marketing non convenzionale alla Facoltà di Economia di Roma Tor Vergata nel Master “Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media”, docente di Governance e gestione culturale presso il Conservatorio Luigi Boccherini di Lucca nel Master MaDAMM. È Coordinatore dell'Osservatorio di Storia dell'Arte della Pontificia Accademia Mariana Internationalis. È componente della Giuria Internazionale di Florence Biennale 2023. E' membro del Consiglio Direttivo dell'Associazione Greenaccord onlus.