Inchiesta su Pompei, parte 1. Un Parco famoso nel mondo che non dialoga col territorio


Un'inchiesta su Pompei in tre parti. I rapporti con la città e col territorio, la comunicazione sensazionalistica, la conservazione, i nodi irrisolti, il progetto Grande Pompei. Nella prima parte, il rapporto tra parco e territorio.

Cos’è Pompei? Pompei è il sito archeologico più visitato al mondo, è il terzo sito culturale più visitato in Italia (dopo Colosseo e Uffizi), arrivato nel 2019 a sfiorare i 4 milioni di visitatori. Per il ministro dei beni culturali Dario Franceschini è “simbolo di una storia di riscatto” (27 novembre 2017), dopo essere stata “sinonimo di negatività, di crolli, di difficoltà e scioperi selvaggi” (4 luglio 2017).

Pompei è anche il cuore del più ambizioso e costoso progetto voluto dal MiBACT di Franceschini: il Grande Progetto Pompei, costato circa 105 milioni di euro e finanziato dall’Unione Europea. Ma Pompei è anche molto altro. E alla conclusione del Grande Progetto Pompei, con i 105 milioni spesi e finiti, questo altro vogliamo raccontare.

Parco di Pompei, veduta aerea della Basilica
Parco di Pompei, veduta aerea della Basilica. Ph. Credit


Parco di Pompei, via dell'Abbondanza. Ph. Credit LoveItaly No Profit
Parco di Pompei, via dell’Abbondanza. Ph. Credit LoveItaly No Profit


La Pompei moderna. Ph. Credit Norbert Nagel
La Pompei moderna. Ph. Credit Norbert Nagel

Alle porte di Pompei

Alle porte di Pompei, il sito archeologico capace di attrarre turisti da tutto il mondo, si apre Pompei, un comune di 25 mila abitanti, occupato per circa un quarto della superficie dall’area archeologica. Inizia da qui questo racconto in tre puntate. Una città legata a doppio filo con gli scavi iniziati nel 1748, eppure rimasta su un binario parallelo: i reperti nel XVIII secolo andavano a Napoli, in quello che oggi è il Museo Archeologico Nazionale, ma da allora ogni progetto volto a creare museo civico in città è naufragato ancor prima di prendere forma. il piccolo antiquarium, oggi chiuso, si trova dentro al sito, ben distinto dalla città moderna.

Come spiegano gli interlocutori intervistati, che ci accompagneranno in questo racconto, i vari direttori, ma anche i sindaci, non hanno mai creduto davvero nell’opportunità di attivare un presidio culturale che unisse la città antica e quella moderna. “Tra le due c’è un solco che già esisteva negli anni Cinquanta ed è andato approfondendosi. Non c’è mai stata la capacità di fondere questo sito con appeal internazionale con il territorio circostante”, spiega Carlo, nome di fantasia, abitante della zona e abituale frequentatore degli scavi: “i due mondi comunicano poco, se non attraverso un’area che si apre appena fuori dagli scavi, un sottobosco di microattività economiche, spesso abusive o ai limiti della legalità, che nessuno è mai riuscito a estirpare o organizzare, neppure questa direzione che pur ci aveva provato”. Attività che dipendono dagli scavi, senza però esserne parte integrante. Per Marina Minniti, una guida turistica nata e cresciuta a Pompei, proprio il dialogo col territorio è mancato in questi anni di enorme crescita dei flussi turistici: “il sito è ancora una navicella spaziale in mezzo alla città”. Il turismo a Pompei è sempre stato mordi e fuggi, ci spiega, con pullmann che arrivavano in giornata da Roma e crociere che attraccavano a Napoli per portare i gruppi a Pompei e andarsene. “Sul territorio è rimasto poco. Dei visitatori da me accompagnati l’anno scorso, meno del 5% si fermava a dormire nell’area vesuviana, tutti gli altri venivano in giornata da Napoli o dalla costiera amalfitana”. Minniti sostiene che la colpa sia da attribuire alle amministrazioni locali, incapaci di valorizzare e pubblicizzare la ricchezza del territorio. Ma, spiega, degli otto siti afferenti al Parco Archeologico di Pompei, solo quattro sono visitabili: una questione su cui torneremo nella terza parte dell’inchiesta.

Laura Noviello è una studentessa di archeologia e giovane attivista locale, capace di attivare un comitato per la difesa del sito all’epoca in cui si parlava solo di crolli. Noviello spiega che lei ha iniziato a frequentare il sito “a 12 anni, anche grazie all’accesso gratuito di cui beneficiano i minorenni. E da allora l’ho frequentato quasi ogni settimana, ma spesso da sola: quasi nessuno dei miei coetanei mi seguiva. Molti non sapevano neppure che fosse gratuito”. Anche secondo Noviello si tratta di “due città a parte, separate per ovvi motivi da cancelli fisici, che però lentamente nei decenni sono diventati anche confini culturali: le persone, qui, spesso, troppo spesso, non sentono che quella città antica sia cosa loro, i cancelli dividono due mondi che non comunicano”.

Proprio per iniziare ad affrontare questo problema, Marina Minniti con alcune colleghe, ha creato il comitato Pompei 365. Il comitato ha iniziato le sue attività chiedendo l’istituzione di un biglietto annuale per entrare agli scavi, perché “tra i miei concittadini”, spiega Minniti, “c’è chi non è mai entrato a Pompei, ma la maggior parte si è recata nel sito solo in gita scolastica o a portare amici in visita. Ritenevamo inconcepibile che per i residenti non fosse prevista alcuna agevolazione, nessun servizio specifico” . Con fatica hanno ottenuto 1800 firme, le hanno portate alla direzione del Parco, e il biglietto infine è arrivato nel 2019: costa 60 euro l’anno ed è valido solo per il sito di Pompei, non per tutti i siti del parco. Pompei 365 aveva chiesto alla direzione del Parco però non solo un biglietto, ma un cambio di approccio: l’istituzione di eventi pensati per il territorio e una didattica efficace e continuativa (oggi Pompei non è fornita di un dipartimento educativo), con i funzionari che illustrassero alla cittadinanza il lavoro che avviene nel Parco. Come spiegano nella loro pagina facebook, in tutta risposta la direzione ha garantito uno sconto sul costo del biglietto annuale per un periodo promozionale di due mesi. “Non basta, le persone non frequentano il sito archeologico non solo per una questione di biglietti e costi, ma perché i musei presentano ancora un’aura sacra, mettono soggezione: bisogna dare alle persone gli strumenti per comprendere quel patrimonio”.

Dario Franceschini e Massimo Osanna
Dario Franceschini e Massimo Osanna


Turisti in coda per entrare a Pompei (giugno 2016)
Turisti in coda per entrare a Pompei (giugno 2016). Ph. Credit


Il manifesto pubblicitario di Pompei 365
Il manifesto pubblicitario di Pompei 365

Il boom mediatico della comunicazione... che non ha fidelizzato il pubblico locale

Sono problemi pregressi all’istituzione del Parco Archeologico, che tuttavia i milioni del Grande Progetto Pompei non sono stati in grado di affrontare. Eppure, a livello comunicativo, il Parco è arrivato su un altro livello. La direzione di Massimo Osanna “è stata una sorpresa per tutti. Ha fisicizzato il sito, dato un volto riconoscibile a Pompei, cosa mai avvenuta prima. Da non pompeianista, è riuscito a dare al mondo lo stupor pompeianus, ciò che colpisce chi non conosce Pompei, dai gioielli ai colori”, ci spiega ancora Carlo. Una comunicazione di stampo diverso, che ha fatto storcere il naso ai puristi, ma che ha consentito a Pompei in questi anni di riuscire sistematicamente ad arrivare su tutti i giornali nazionali e internazionali, dal New York Times a Le Monde. Un boom mediatico che probabilmente ha contribuito anche alla crescita del turismo tra 2014 e 2019, con tassi di gran lunga maggiori alla media nazionale nell’area archeologica di Pompei (mentre erano piuttosto bassi in tutti gli altri siti afferenti al Parco). Eppure, questo non ha portato a una fidelizzazione del pubblico campano e locale: quando il sito ha riaperto in giugno, in pochissimi hanno approfittato della possibilità di visitarlo finalmente libero dalle masse di turisti. Mentre appena sono tornati i tour operator internazionali, a luglio, era già tornata la Pompei dei grandi numeri. Il Parco in questi anni è diventato, ancor più di prima, attrattivo solo per chi viene da lontano?

In effetti, dalle interviste condotte, emerge il fatto che il Parco in questi anni abbia comunicato con grande efficacia “Pompei” a chi Pompei non la conosce, calcando sullo straordinario e sull’eccezionale, anche in presenza di cose che a Pompei sono in realtà normali dato che l’intera area archeologica è in sé uno straordinario unicum. Costruendo quindi quella voglia di esperienza da shock emozionale, da “una volta nella vita”, che può avere aumentato l’interesse globale ma che difficilmente può attrarre chi ha Pompei nel proprio territorio, come un vicino di casa che non conosce. “Purtroppo ridurre l’archeologia a una serie di scoperte belle, non dà i mezzi per comprenderle”, spiega la sopracitata Laura Noviello. “Con una comunicazione simile, che punta esclusivamente (e non anche) sullo straordinario e l’emozionale, è difficile costruire una fidelizzazione, abituare il pubblico all’idea che la visita a un sito archeologico possa essere qualcosa di ordinario, che permette di ampliare, razionalmente, la propria comprensione e conoscenza del mondo. Farlo sentire una cosa tua, quotidiana”.

Noviello ha attivato una pagina Facebook nel 2014, ancora minorenne, per raccontare l’archeologia vesuviana alla gente del luogo, e rifiuta l’etichetta di elitista che più volte le è stata attribuita: “non scherziamo. Questo tipo di comunicazione che vuole arrivare a tutti, a prescindere dal come, finisce per essere ancor più elitaria perché parte dal presupposto che la gente non possa capire il linguaggio archeologico. Il museo non deve solo stupirti. Io nel mio piccolo, e senza pretese di confronto con una realtà istituzionale, provo tramite la comunicazione a fornire i mezzi per comprendere autonomamente la complessità e vedo che, quando si offre davvero una chiave di lettura, si genera molto più interesse e coinvolgimento”. Fornire i mezzi, gli strumenti, le chiavi per far diventare il sito parte della propria esistenza, come è negli obiettivi del comitato Pompei 365. Innamoratasi di Pompei tanti anni fa, e postasi sulla strada per diventare archeologa, Noviello si esprime con fermezza: “Pompei è nell’immaginario collettivo dal 1748, anno della sua scoperta, e la storia dell’archeologia stessa è andata di pari passo con quella del sito. Il sensazionalismo, giustificato spesso solo con la quantità di ingressi e interazioni social, sembra ora essere l’unica via alla comunicazione del patrimonio culturale: ma il risultato è una banalizzazione di contenuti spesso già noti, che necessiterebbero invece di approfondimento, e il rischio di togliere spazio a siti periferici che meriterebbero maggiore attenzione”. Proprio la comunicazione dell’archeologia sarà il tema della seconda parte di questa inchiesta.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.





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