Inchiesta sui parchi archeologici della Sicilia, parte 2. La tutela schiacciata dalla politica


Seconda parte dell'inchiesta di Silvia Mazza sulla governance dei parchi archeologici della Sicilia: si analizzano le sovrapposizioni tra comitati tecnico-scientifici e consigli d'amministrazione. E si prova a proporre rimedi per questo quadro caotico.

Leggi la prima parte dell’inchiesta

Negli istituti autonomi dello Stato, nei parchi, ma anche nei musei, Cda, Comitato e Collegio dei revisori dei conti, sono tre organi collegiali con compiti chiaramente distinti. L’assenza di questi imprescindibili organi di governance rende quella siciliana una “riforma” mancata.

Un Cda è previsto, e tutt’ora insediato, solo per il parco della Valle dei Templi (dove c’è anche un revisore dei conti). Si tratta, come per il Comitato, di un organo con funzioni ibride, insieme tecnico-scientifiche e di gestione amministrativa. Per ragioni storiche che non è possibile approfondire in questa sede, la legge sui parchi (20/2000) ha previsto una sorta di primus inter pares, quello di Agrigento, con uno “status” che lo differenzia notevolmente da tutto il resto degli altri parchi di cui al Titolo II della legge, per organizzazione, compiti e persino per la durata dell’incarico dei suoi componenti (4 anni contro i 3 dei Comitati). Ricordiamo solo, con Gianfranco Zanna, oggi presidente di Legambiente Sicilia, che aveva contribuito alla stesura della legge 20, che “all’epoca questo Titolo II non è stato altro che lo sbrigativo recepimento dell’art. 107 della L.R. 25/93, quando quello che era prioritario all’epoca era mettere al riparo dall’abusivismo la Valle dei Templi”. Inoltre, precisa, “i parchi venivano ancora fatti strutturalmente dipendere dalle Soprintendenze”. Ragione che spiegherebbe perché il legislatore non sembra che fosse interessato a definire gli organi di gestione, nel loro assetto e nelle loro competenze, chiaramente individuandole e differenziandole.

La Valle dei Templi di Agrigento, il Tempio di Giunone. Foto di Berthold Werner
La Valle dei Templi di Agrigento, il Tempio di Giunone. Foto di Berthold Werner

Come rimediare a questo quadro caotico?

Alla luce di tutto ciò si comprende come anche l’intenzione dell’assessore Sebastiano Tusa interrotta dal tragico incidente aereo, di far confluire il Comitato in un nuovo Consiglio dell’Ente fosse ancora parziale e non risolutiva. Così come è evidente che non sia più rinviabile una sistematizzazione generale della materia. A cominciare dalla presenza dei sindaci nel Comitato su cui ci siamo diffusamente soffermati nella prima parte dell’inchiesta. Mentre l’assessore Samonà rimarca l’importanza del “coinvolgimento diretto dei sindaci sul cui territorio insistono i parchi” che mira a renderli “sempre più espressione della vita del territorio”, ci si dovrebbe domandare come mai in un istituto della Regione abbia potere gestionale, per non parlare del pronunciamento in materia di tutela, un altro Ente territoriale, il Comune, rappresentato dal Sindaco stesso. Abbiamo già detto che ciò non avviene nello Stato.

Il CGA (Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana), che è il massimo organo della giustizia amministrativa operante nella Sicilia autonoma con le funzioni del Consiglio di Stato, in un parere in tema di riduzione del numero dei componenti del Cda dei parchi naturalistici, ha osservato che “rientrando l’ambiente nella competenza statale, è un principio fondamentale di legislazione statale quello relativo alla rappresentanza degli enti locali nella comunità del parco”. Una rappresentanza risolta nei parchi archeologici statali, come detto, con la nomina di un esperto del Comune. Ora, sebbene quelli siciliani siano istituti dell’Assessorato regionale che ha competenza esclusiva in materia dei beni culturali, ma tenendo conto che anche il legislatore regionale nel 2000 ha sottolineato la necessità che le comunità territoriali fossero rappresentate all’interno dei parchi, nulla vieta che la soluzione adottata in quelli dello Stato sia ripresa anche in Sicilia. Per i primi cittadini, semmai, si potrebbe prevedere, per esempio, un organo esterno, una Consulta (o Tavolo) permanente dei Sindaci, senza poteri decisori. Di tutti i sindaci, non solo di quelli dei Comuni rientranti nella perimetrazione, ma anche di quelli dei siti aggregati. Nessun equivoco, ruoli e compiti separati. In questo modo sarebbe salvaguardato l’interesse pubblico prevalente che è la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici, paesaggistici e ambientali, posto in cima all’articolato della legge 20 (art. 1). Un interesse col quale dovrebbero coincidere pure quelli primari delle comunità territoriali. Prima, cioè, di interessi di tipo economico o turistico. Un “Comitato Consultivo” esterno è previsto, per esempio, per il Museo (autonomo) di Capodimonte, per un ambito speciale, quello della tutela e della botanica del Bosco e del Parco del Museo.

Il fatto è che questa legge regionale era stata pensata nel 2000 per parchi ben diversi da quelli extra large partoriti dalla riforma Musumeci. Ora, immaginiamo questo scenario: che le carte fino a oggi vidimate da un uomo solo, il commissario, nel Parco di Catania richiederanno il parere collegiale di 10 persone, tra i quali sei sindaci. A dettare la linea sarà il “capolista”? il sindaco etneo prevarrà sugli altri? Se non c’è da aspettarsi la paralisi gestionale, almeno enormi rallentamenti.

A meno di ricordarsi che un’altra legge regionale (l.r. n. 9/2015) fissa a un massimo di tre i componenti di questo tipo di organi degli enti regionali, con l’eccezione ancora della Valle dei Templi, per la quale ne sono previsti cinque. In questo caso specifico il legislatore sembra aver tenuto conto, nel bilanciamento delle esigenze di rappresentatività e esigenze di contenimento della spesa, del carattere speciale del parco rispetto a tutti gli altri enti regionali, al fine di assicurare piena coerenza rispetto ai suoi compiti istituzionali.

Il Teatro Romano di Catania. Foto di Luca Aless
Il Teatro Romano di Catania. Foto di Luca Aless

Il quadro normativo

I comitati che Samonà ha intenzione di insediare, invece, sono fermi alla legge del 2000 e non aggiornati al quadro normativo nel frattempo intervenuto. Vale la pena provare a ricostruirlo. Nel 2015 la Sicilia si è adeguata a una legge statale (d.l. n. 78/2010) che ha ridotto a 5 i componenti dei cda e a 3 quelli del collegio dei revisori. La Regione autonoma, anzi, per un ulteriore contenimento della spese pubblica, ha contratto a 3, invece che 5, i componenti dei cda (l.r. n. 9/2015, art. 39). Nel 2017 interviene un’ulteriore modifica che riguarda, però, solo il rappresentante legale degli Enti (l. r. n. 16/2017). Discorso a sua volta cavilloso, dato che già in sede di contrattazioni sindacali è avvenuto che i sindacati non abbiano riconosciuto nel direttore dei parchi il loro interlocutore istituzionale, con gravi ripercussioni nella gestione degli affari del personale.

Appare utile, allora, l’esegesi normativa proposta dal Cga nel 2017 in materia di rappresentanza in seno ai Cda (a cui possiamo equiparare i Comitati, per via dei compiti anche gestionali), in particolare laddove sottolinea l’intenzione del legislatore di “mantenere talune rappresentanze già previste dalla legge”. Se questa osservazione era valida nel caso sottoposto, che era quello degli enti IACP, Istituti autonomi case popolari (dello stesso tenore quella per i parchi naturalistici), dovrebbe esserlo a maggior ragione nel caso di enti autonomi molto particolari come i parchi archeologici.

Un “caso a parte”, dicevamo, già riconosciuto come tale dal legislatore. In quella stessa legge del 2015, infatti, in cui si riducevano a 3 i membri dei cda degli Enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione, si riconosceva anche una diversa disciplina per la composizione del cda del Parco della Valle (art. 62 l.r. 9/2015), spiegabile non solo per la natura di questo ente (parco archeologico). La modifica del Cda secondo legge deve avvenire, infatti, attraverso lo Statuto dell’Ente. Per la Valle, che ne è sprovvista, come lo sono tutti gli altri Parchi, non può allora che essere operata attraverso una modifica della legge stessa (20/2000) che ne ha fissato la composizione. Ma andiamo a vedere nel dettaglio qual è la composizione del Cda di Agrigento: cinque membri, tra cui un dirigente esperto “in governo di organi collegiali di amministrazione”; il soprintendente; un esperto in economia dei bbcc; un esperto nel settore della tutela e valorizzazione, con chiaro riferimento alla Valle; e il sindaco di Agrigento. Al di là dell’equivoca presenza anche qui del primo cittadino, i componenti sono comunque fissati nel limite di 5, in linea con la normativa statale di riduzione dei componenti (L. n. 122/2010 e L. n. 214/2011). Non i 13 che andranno a insediarsi a Himera o i 10 a Catania o i 9 a Siracusa.

C’è, poi, la questione della parità di genere. In una nota del 23 marzo scorso il segretario generale Maria Mattarella (richiamando una legge regionale di recente emanazione, n. 6/2021, che discende dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 251/2012) ricorda l’obbligo nel rinnovo dei Cda degli enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione del rispetto del principio della parità di genere. Ora, se andiamo a vedere i nominativi proprio del Cda della Valle dei Templi, l’unico ricomposto nel 2019 dal presidente Musumeci in qualità di Assessore ad interim, non solo sono tutti uomini i cinque componenti, ma lo sono anche i tre esperti nominati in aggiunta con voto solo consultivo. Con buona pace della parità di genere.

Parco Archeologico di Neapolis (Siracusa). Foto di Agostino Sella
Parco Archeologico di Neapolis (Siracusa). Foto di Agostino Sella

Appunti per una riforma normativa

In conclusione, invece che continuare ad applicare, come fatto in fase di istituzione, una legge contraddittoria e ferma a 21 anni fa, prima che l’assessore Samonà proceda nell’insediamento di organi contrari al Codice e pletorici, che appesantiranno una macchina burocratica già di per sé non agile, a monte servirebbe una revisione normativa complessiva. Nello specifico, modificare l’art. 23, quello sulla composizione del Comitato tecnico-scientifico, in linea con quanto fatto nel 2015 con l’art. 8 (Cda della Valle) e distinguere, come nei parchi dello Stato, i diversi compiti, lasciando al Comitato quello tecnico-scientifico, introducendo un Cda per quelli di natura amministrativa e un revisore dei conti.

Per il contenimento della spesa si potrà limitare il numero dei componenti di Comitato e Cda a tre, come per tutti gli altri Enti, o a cinque, per non sacrificare alcune rappresentanze, come già riconosciuto per la Valle dei Templi, in questo caso andando ad incidere sulla misura dei compensi. La legge 20, infatti, diversamente dalla gratuità degli incarichi negli organi di parchi e musei statali autonomi, prevede per il Comitato “rimborso spese di viaggio, indennità di missione e un gettone di presenza”. Ma è stato calcolato quanto costeranno alle casse regionali tutte queste voci moltiplicate per l’esercito di membri chiamati nei comitati? E con quale copertura finanziaria? Non a caso, nel luglio dell’anno scorso, riformando lo Statuto del Parco minerario Floristella Grottacalda, incardinato pure nell’Assessorato dei BBCC, è stata introdotta, sull’esempio statale, “la gratuità dell’incarico di consigliere”. Tutela sotto scacco, sindaci come soprintendenti, ibridazione di funzioni: non sarà, invece, che è questo l’unico vero motivo che ha frenato l’assessore dall’insediare i comitati a quasi tre mesi dall’annuncio?

Il Parco minerario di Floristella Grottacalda. Foto di Davide Mauro
Il Parco minerario di Floristella Grottacalda. Foto di Davide Mauro

Il caso del Parco minerario Floristella Grottacalda

E proprio il Parco minerario Floristella Grottacalda merita un discorso a parte. Istituito nel 1991, era organizzato un po’ come i parchi archeologici statali, con Comitato, Cda e Revisore dei conti. Il Direttore era nominato dal Consiglio “previo concorso pubblico”. Dal luglio dell’anno scorso questa razionale organizzazione è diventata, invece, una “criticità” che, già affrontata negli ultimi anni con la solita scorciatoia della gestione commissariale, si è pensato alla fine di risolvere sopprimendo il Comitato, fatto confluire nel Cda e riducendo a tre i componenti di quest’ultimo, tra i quali compare un rappresentante dei sindaci (non tutti e quattro i sindaci dei Comuni in cui ricade il parco). E, nemmeno a dirlo, il Soprintendente che prima partecipava ai lavori del Consiglio con voto consultivo, adesso lo è senza più diritto di voto.

Insomma, invece che adeguare gli altri parchi a questo modello organizzativo, si è fatto al contrario, è stato questo Parco a doversi plasmare sul modello confuso e contraddittorio di tutti gli altri, dove vengono ad affastellarsi esercizio della discrezionalità tecnica, quello della discrezionalità amministrativa e la funzione di indirizzo politico.


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Silvia Mazza

L'autrice di questo articolo: Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista, scrive su “Il Giornale dell’Arte”, “Il Giornale dell’Architettura” e “The Art Newspaper”. Le sue inchieste sono state citate dal “Corriere della Sera” e  dal compianto Folco Quilici  nel suo ultimo libro Tutt'attorno la Sicilia: Un'avventura di mare (Utet, Torino 2017). Come opinionista specializzata interviene spesso sulla stampa siciliana (“Gazzetta del Sud”, “Il Giornale di Sicilia”, “La Sicilia”, etc.). Dal 2006 al 2012 è stata corrispondente per il quotidiano “America Oggi” (New Jersey), titolare della rubrica di “Arte e Cultura” del magazine domenicale “Oggi 7”. Con un diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, ha una formazione specifica nel campo della conservazione del patrimonio culturale (Carta del Rischio).





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