In Germania il dibattito pubblico in queste ultime settimane, al contrario di quanto accade in Italia, è quasi totalmente monopolizzato dalla crisi energetica, dagli spropositati aumenti dei prezzi del gas (nella giornata del 16 agosto, il prezzo del gas all’hub TTF di Amsterdam ha fatto segnare il record storico di 250 euro per Megawattora per poi ripiegare a 224: il 17 agosto 2021, per dare un’idea, il prezzo era di 28 euro) e dai temi legati al risparmio di energia elettrica, sia per esigenze dettate dai cambiamenti climatici, sia come necessità in risposta al momento storico non favorevole. Il dibattito è così pervasivo che, al di là delle Alpi, anche i musei cominciano a essere chiamati a fare la loro parte e a domandarsi in che modo possano contribuire ad alleviare la crisi, salvando l’esigenza di aprire al pubblico e di garantire le condizioni microclimatiche ottimali per la conservazione delle opere che custodiscono.
L’attività che presenta il più alto costo energetico per i musei è sicuramente il mantenimento del microclima per le opere. “Nel nostro mondo”, ha dichiarato in un’intervista all’emittente BR24 il professor Stefan Simon, direttore dell’Istituto per la Conservazione del Patrimonio Culturale (IPCH) all’Università di Yale, “si parla del ‘dilemma più/meno’: le fluttuazioni di temperatura e le fluttuazioni di umidità. Per inciso, l’umidità è molto più importante per l’arte e per i beni culturali della temperatura. Con le alte temperature, le velocità di reazione accelerano, i processi di corrosione e degradazione di polimeri pure, e così via, il che non va bene. Ma la domanda è: queste sollecitazioni sono reversibili o irreversibili? E fino a che percentuale, da cui il ‘dilemma più/meno’, l’umidità può oscillare? Perché questa è la parte più costosa e ad alta intensità energetica [per i musei], e va messa in discussione in modo critico”. E poiché, afferma Simon, l’errata umidità relativa o l’errata temperatura “conducono nel migliore dei casi a lievi danni, che magari possono essere risarciti con un restauro”, in una situazione di crisi occorrerà domandarsi cosa convenga e cosa sia più sostenibile per un museo.
Al momento, tuttavia, forse non siamo ancora arrivati al punto in cui siamo chiamati a decidere se sia più costoso intervenire per restaurare un’opera o spendere per mantenere il microclima adeguato, ma è comunque un dato di fatto che i musei in Germania stanno cominciando a discutere seriamente di risparmio energetico, anche su impulso del governo federale. La ministra tedesca della cultura, Claudia Roth, è intervenuta più volte sull’argomento: lo scorso 21 luglio ha tenuto anche un seminario sul tema della gestione dell’energia, che si è svolto presso la Cancellaria federale, e al quale sono stati invitati i rappresentanti di diverse istituzioni culturali. “Il settore della cultura”, ha dichiarato in quell’occasione, “è minacciato di tagli dolorosi a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e delle scarse riserve di gas. Le opere e i materiali d’archivio che richiedono una protezione speciale necessitano di condizioni climatiche ad alta intensità energetica per poterli preservare per le generazioni future. Tuttavia, il settore culturale dovrebbe e deve dare il suo contributo al risparmio energetico, anche in vista del cambiamento climatico. Per questo sostengo le iniziative che ora sono state intraprese per trovare potenziali risparmi energetici. In questo modo, le istituzioni culturali svolgono anche la loro funzione di modello sociale per il risparmio energetico”. La ministra Roth ha anche fissato colloqui con i vari ministri della cultura dei Länder (stati federali) al fine di favorire un approccio coordinato e di stabilire standard uniformi in tema di requisiti energetici. Secondo l’idea di Claudia Roth, il risparmio servirà anche per garantire una maggiore sostenibilità nel settore culturale sul lungo termine.
Il 4 agosto, sempre su invito della ministra federale, si è tenuta una riunione dei ministri dei vari Länder della Germania, che hanno discusso di possibili azioni con il presidente dell’Agenzia federale delle Reti (l’ente regolatore dei mercati dell’elettricità, del gas, delle telecomunicazioni, delle poste e delle ferrovie), Klaus Müller, e nel corso della quale i partecipanti hanno parlato di come risparmiare energia garantendo comunque la continuità operativa. “La situazione”, ha dichiarato Müller, “rimane tesa a causa dei ridotti volumi di consegna tramite il gasdotto Nord Stream 1. Affinché il settore culturale con le sue importanti funzioni sociali possa dare il suo contributo anche con ridotti volumi di fornitura di gas, dobbiamo risparmiare gas tutti insieme in solidarietà e non dobbiamo permettere che si verifichi una carenza di gas”. A indicare alcune linee per il settore è stata Ina Brandes, ministra della cultura del Land del Nord Reno-Westfalia nonché presidente della Conferenza dei Ministri della Cultura: “La cultura”, ha dichiarato, "è particolarmente importante per la comprensione e la coesione nella nostra società in tempi di crisi ed è tutelata dalla costituzione. Le offerte culturali dovrebbero essere disponibili per il pubblico nonostante le grandi sfide della crisi energetica. Inoltre, archivi, musei e biblioteche fanno parte dell’infrastruttura critica, ad esempio se conservano importanti beni culturali. Pertanto, la loro fornitura di energia deve essere prioritaria nel piano di emergenza del gas anche al livello di allerta 3. Allo stesso tempo, tutte le istituzioni culturali sono chiamate a risparmiare quanta più energia possibile. Occorre anche prepararsi per le emergenze elettriche. Istituzioni e associazioni culturali, comuni, Länder e governo federale elaboreranno soluzioni insieme".
In Germania, la crisi energetica è vissuta quasi come la crisi della pandemia da Covid-19, e molti si affrettano a sottolineare che una delle priorità sarà quella di non chiudere i musei: solo questo elemento basterebbe a dar conto di come è percepita la gravità della situazione. Nel frattempo, si cerca di capire come correre ai ripari. C’è intanto, come detto, il problema del microclima. A stabilire quali devono essere le condizioni ideali per gli ambienti in cui sono conservate le opere d’arte è l’ICOM, l’International Council of Museums, il principale ente mondiale che rappresenta i musei: secondo le linee guida stabilite alla conferenza del Comitato per la Conservazione dell’ICOM tenutasi a Melbourne nel 2014, la temperatura consigliata dovrebbe rimanere in una forbice tra i 15 e 25 gradi con fluttuazioni ammissibili di più o meno 4°C ogni 24 ore, mentre per l’umidità la fascia è tra il 45-55%, e la fluttuazione ammessa nelle 24 ore è di più o meno 5%. L’idea però è che le fluttuazioni debbano essere ridotte al minimo, senza contare che alcuni materiali richiedono condizioni ambientali diverse. Qui sorge subito un problema: per risparmiare energia, infatti, i musei potrebbero adattare la temperatura degli ambienti a quella esterna. Anche in Italia si leggono sempre più spesso guide che suggeriscono di regolare la temperatura interna della propria abitazione o del proprio ufficio facendo in modo che la differenza tra fuori e dentro non superi i cinque o sei gradi. Se per esempio la temperatura esterna è di 35°C, si dovrebbe settare il condizionatore di casa al massimo su 29°C. Per un museo però non è così semplice: si tratta infatti di pratiche ancora non normate dagli standard di riferimento e che rischiano di far sforare i parametri suggeriti dall’ICOM, senza contare il fatto che i prestatori e le compagnie assicurative non lo consentirebbero e si troverebbero pertanto a rifiutare prestiti o coperture.
Per ora dunque i musei devono ingegnarsi in altri modi. In Germania molti istituti, riferisce la giornalista Pauline Herrmann sulla rivista d’arte e cultura Monopol, stanno cominciando a sostituire l’illuminazione convenzionale con sistemi a LED a risparmio energetico. Altri invece puntano sulle rinnovabili: è il caso dello Städel Museum di Francoforte che gestisce parte dell’energia riservata alle sale espositive senza ricorrere a energia ricavata da gas, ma facendo uso di elettricità di provenienza geotermica. Una soluzione, quella dell’energia da fonti geotermiche, adottata anche dal Fridericianium di Kassel e dalla Kunsthalle di Brema. Al Museo Ludwig di Colonia si cerca invece di modificare i metodi di lavoro: l’istituto punta a una curatela sostenibile riducendo i prestiti, evitando di stampare cataloghi e riciclando allestimenti di mostre precedenti. Altre soluzioni prevedono ammodernamenti degli impianti di riscaldamento e di condizionamento (come stanno facendo al Castello di Drachenburg, sito in cui si è optato anche per lo spegnimento totale dell’illuminazione notturna, operazione che risponde peraltro allo scopo di evitare inquinamento luminoso, e per l’abbassamento della temperatura dell’acqua), mentre in Westfalia si propone la creazione di depositi centralizzati per evitare che la frammentazione sul territorio dei luoghi di conservazione delle opere faccia aumentare i costi delle bollette. A Potsdam, invece, l’amministrazione locale ha deciso di spegnere l’illuminazione esterna dei musei per risparmiare, e lo stesso è stato fatto a Berlino, dove già a fine luglio alcuni edifici simbolo della capitale, come la Cattedrale, la Marienkirche, l’Alte Palais, il Museo Ebraico, il Castello di Charlottenburg sono stati lasciati al buio di notte.
Ancora, il Museo Folkwang di Essen ha deciso di intervenire sulle aree non aperte al pubblico, riducendo in questi spazi del 50% l’illuminazione, e progettando di convertire tutte le lampadine alla tecnologia LED. Altri musei pensano invece a nuove soluzioni in materia di mobilità sostenibile, pensando soprattutto al tema dei trasporti delle opere in prestito. E, sempre a proposito di prestiti, si pensa anche ad allungare la durata media delle mostre per ridurre i costi organizzativi (la riduzione degli orari d’apertura è invece vista ovunque come una extrema ratio). Sugli edifici meno antichi si può anche operare con interventi strutturali: è quanto intende fare, a Kiel, il centro culturale Die Pumpe, che conta di poter installare 600 metri quadrati di pannelli solari sul tetto dell’edificio, che garantirebbero all’istituto, ospitato in una vecchia stazione di pompaggio degli anni Venti, l’autosufficienza energetica. E poi, i musei si stanno anche dotando di piani d’emergenza energetica, che prevedono, in caso di stringenti necessità, la limitazione all’uso di aria condizionata, ed eventuali riduzioni degli orari d’apertura: l’obiettivo, come detto, è quello di scongiurare le chiusure ed evitare che si ripetano situazioni simili a quelle che si sono viste durante il coronavirus, pur nella consapevolezza che in caso di gravi carenze di energia non esistano piani alternativi e che non sia sufficiente limitarsi ad abbassare i riscaldamenti.
L’idea comunque è che non ci saranno soluzioni trasversali perché ogni museo fa storia a sé, avendo esigenze diverse. Di questo è convinta Sabine Wolfram, direttrice del Museo Archeologico di Chemnitz e presidente della Sächsischen Museumsbunds, l’associazione che riunisce i musei della Sassonia. “Il tema del risparmio energetico, per non lasciare troppa impronta di CO2”, ha dichiarato in un’intervista alla radio MDR, “è da tempo discusso nell’ambito del tema della sostenibilità nelle istituzioni culturali. Questo non è del tutto nuovo e quindi non è sorprendente. Ma non ci sarà una soluzione valida per tutti perché ogni edificio è diverso”. Il suo museo, per il momento, si è attrezzato con una nuova illuminazione a LED e sta valutando ulteriori possibili soluzioni. Siamo, ad ogni modo, ancora agli inizi, e per stessa ammissione della ministra Roth al momento è prematuro valutare quanto risparmio garantiscano gli interventi che i musei stanno programmando o stanno già mettendo in atto.
Una cosa è certa: dopo le serrate per la pandemia, i musei non possono permettersi di tornare a chiudere le porte ai loro visitatori. “Per noi è molto importante poter rimanere aperti, perché abbiamo già abbastanza problemi e preoccupazioni per tornare sulla strada giusta come prima della pandemia”, afferma Sabine Wolfram. “E un altro blocco ci farebbe sicuramente un danno duraturo, molto, molto grave. E per il resto sì, gli edifici si adatteranno individualmente alle scarse risorse energetiche nei prossimi mesi”. Anche per la ministra Roth “chiudere non è sicuramente la risposta”, ha detto in un’intervista all’agenzia di stampa Dpa. Il problema è che la transizione ha costi importanti: ammodernare gli impianti, passare a fonti di energia rinnovabile, sostituire l’illuminazione attuale comporta investimenti di risorse che rappresentano capitoli di spesa ragguardevoli nei bilanci dei musei.
Gli istituti chiedono pertanto sostegno da parte della politica. Qualche amministrazione ha già iniziato a fare qualcosa: il governo della Baviera, a fine luglio, ha stabilito lo stanziamento di dieci milioni di euro, presi da fondi dell’Unione Europea, per aiutare gli istituti. “Una visita a un museo in edifici storici può essere rispettosa del clima? In Baviera diciamo: Sì!”, ha dichiarato baldanzoso il ministro bavarese dell’arte, Markus Blume. “Soprattutto nei musei troviamo molti edifici antichi. Ecco perché stiamo dando un contributo molto mirato alla protezione del clima per i musei non governativi in tempi di grandi sfide nel settore energetico con questo sostegno di 10 milioni di euro dai fondi dell’UE per rendere l’esistente adatto al futuro. Ogni percentuale che possiamo risparmiare in energia è preziosa”. Lo stanziamento servirà per supportare interventi sugli edifici, sulle tecnologie, sulle infrastrutture, al fine di aumentare l’efficienza energetica.
Il clima però non è dei migliori, e per avere contezza dell’atmosfera che si respira tra i musei della Germania basterebbe dare un’occhiata alla lettera aperta della Arbeitsgemeinschaft der Museen in Bayern, l’Associazione dei musei della Baviera, sottoscritta dai direttori dei musei d’arte di Augusta, dei musei di Dachau, del Museo d’Arte di Bayreuth, del Museo Diocesano di Ratisbona, dell’Oberhausmuseum di Passau, del Museo della Città di Monaco di Baviera, della Casa della Storia Bavarese e dei Musei di Aschaffenburg. “Prima il coronavirus, poi la guerra in Ucraina e ora una crisi energetica europea, i cui effetti non sono ancora valutabili. Questi eventi hanno effetti di vasta portata sulla nostra società, sulla nostra unione e sulla nostra cultura”, si legge nella missiva. “L’aumento dei prezzi dell’energia si tradurrà in un’azione diffusa da parte del settore pubblico, in cui non possono essere escluse misure impopolari. Purtroppo questa considerazione è stata già decisiva durante la crisi del coronavirus. In quel periodo, insieme ai teatri e alle manifestazioni concertistiche, i musei furono tra i primi a soffrire nel settore culturale. [...] Questo deve essere evitato in futuro! I musei conservano e conservano beni culturali preziosi per la società, che perderebbe la sua identità senza storia e cultura. La cultura collega e promuove la comprensione reciproca ed è la base del nostro stare insieme. [...] Naturalmente, sappiamo tutti che il risparmio è essenziale. Ciò colpisce particolarmente i tanti piccoli musei, che stanno già lavorando al limite per soddisfare le condizioni di prestito e assicurazione contrattualmente concordate. E ovviamente tutti noi vogliamo risparmiare energia e in realtà risparmiamo energia laddove possibile. Chiediamo quindi a tutti i responsabili di essere moderati nelle prossime decisioni e misure per ridurre i nostri budget energetici. Come gli archivi e le biblioteche, i musei devono essere trattati con grande attenzione perché contribuiscono in modo significativo alla conservazione del nostro patrimonio culturale. In questo senso, anche i musei rivestono un’importanza sistemica. Hanno quindi bisogno del sostegno dei loro proprietari e dei politici in modo che possano essere effettuati investimenti orientati al futuro nell’illuminazione a risparmio energetico, nelle nuove tecnologie e nei moderni sistemi di riscaldamento e raffreddamento”.
I musei, insomma, sono sensibili al tema ma non vogliono tornare a essere i primi a pagare le scelte dei decisori politici come accaduto durante il Covid. Anzi: ciò che chiedono è un maggior sostegno da parte della politica, come suggerisce tra le righe Gero Dimter, vicepresidente della Stiftung Preußischer Kulturbesitz, la Fondazione per i beni culturali prussiani, istituto che gestisce ventisette musei a Berlino e dintorni, tra i quali gli Staatliche Museen della capitale. “Tutte queste conversioni energetiche”, ha detto al giornalista Kevin Hanschke per un articolo pubblicato sulla FAZ, “causano costi non piccoli”. Sono pertanto necessarie risorse, sia dal pubblico sia dal privato. Quel che è certo, conclude Dimter, è che “il futuro dei musei sarà deciso anche dalla questione energetica”.