Il prossimo 8 settembre la città di Parma inaugurerà una mostra eccezionale e singolarissima: un indimenticabile Quinto Centenario del ciclo creativo correggesco. Stanno scorrendo infatti i “secularia quinta” della presenza straordinaria del Pittore sulla scena dell’arte italiana con i suoi sommi capolavori. Ricordiamo che gli affreschi della cupola di San Giovanni rappresentano Gesù in persona che scende dal cielo al momento della morte dell’Evangelista per accoglierlo direttamente, ed è un gigantesco dipinto tutto in scorcio. Circa i Quinti Centenari gli “Amici del Correggio”, attivi nella città natale di Antonio Lieto, hanno già celebrato con due belle edizioni la “Madonna di San Francesco” nel 2015 insieme a vari studiosi europei, e la difficile, benché bellissima, “Camera di San Paolo” nel 2018, conferendo a quest’ultima gli svelamenti inediti di Renza Bolognesi.
Con la celebrazione degli affreschi di San Giovanni ora si riscatta anche il ben strano silenzio sul Correggio che connotò Parma quando si chiamò “capitale della cultura”. Asse portante dell’evento è il sorprendente e magistrale contributo fotografico di un maestro, Lucio Rossi, che corona così una carriera di vastissime e sempre rinnovate esperienze periegetiche. Prima di valutare l’impresa di Rossi non sono forse da dimenticare gli avvicinamenti fruitivi alla meravigliosa cupola che sempre ha attirato attenzioni e questioni, insieme ad una bibliografia articolata e notevole alquanto. Lo facciamo con alcune immagini.
Per curiosità molti anni or sono chi scrive, giovinetto, aiutò un professore inglese, senza chiedergli il nome, a disporre sul pavimento sotto la cupola diversi giornali, sui quali lo studioso si distese supino facendosi poi ruotare in tondo da una sua assistente che lo muoveva dai piedi: era evidentemente un modo per “seguire” la totalità della visione; anni dopo aiutò la professoressa statunitense Geraldine Dunphy Wind a bloccare l’immagine di Giovanni astronomicamente sul 27 dicembre, sua festa liturgica. Ma l’incontro più curioso fu quello di Bruno Vaghi, fotografo allora stimatissimo, che nel 1962 al termine di un ciclo di restauri fu invitato a salire entro la cupola per eseguirne le riprese in vista dell’insigne volume realizzato poi da Roberto Longhi. La figlia raccontò della sorpresa del babbo, e quasi del suo rigetto a dover riportare sul piano steso della fotografia stampata la totale curvatura della cupola, anche nei particolari. L’attentissimo Vaghi dichiarò che soltanto sequenze continue avrebbero potuto non tradire il Correggio, e si fece portare sui ponteggi una sedia da barbiere, inclinabile e rotante, dalla quale poi trasse - con molta emozione - i suoi scatti collegati. Lo hanno seguito altri fotografi, sempre bravi e volonterosi, ma tutti entro il limite del “contatto com’è”. Diciamo questo per avvertire che, davvero, le riproduzioni della cupola abbisognano prima di tutto di una capacità di indagine embricata e inesausta, ma poi della dovuta assimilazione interiore del riprenditore che si ponga nell’animo stesso dell’artista, e che di lì elabori una composizione immaginifica, oltre i confini sensitivi. Ne sa qualcosa Marzio Dall’Acqua quando curò il ricchissimo volume critico di Franco Maria Ricci nel 1990. E tale necessità di assimilazione in questi tempi l’ha provata Lucio Rossi quando si è trovato di fronte all’incredibile Pittore “senza padre” (inscrutable, come lo definì Cecil Gould) che si era slanciato a spaccare la crosta millenaria dello spazio finito - quello misurabile, tangibile, ortogonale e prospettico - per tuffarsi nella infinitudine cosmica dell’empireo divino, popolato da liberissimi spiriti e quantomai gioiosi.
Nel giro della superna tazza quegli Apostoli che Giuseppe Verdi tanto amava si bilanciano a giro in una etimasìa suprema, sulla quale scende dal trono ineffabile la figura del Verbo, rendendo così la Verità della Presenza, e dove - dovunque - danzano le realtà infantili che assicurano la pienezza dell’innocenza necessaria nel giardino celeste. Un Correggio, per questo, dall’animo grande, lieto, capace di cogliere la sprizzante santità dei chèrubi e insieme la possente statuizione degli apostoli, testimoni del Cristo.
Lucio fotografo, al modo della ribaltata ricerca colombiana tra oriente ed occidente, ha cercato qui puntigliosamente di allestire una offerta di fruizione popolare dell’eccelso capolavoro facendo all’inverso il percorso creativo del Correggio, ovvero riportandosi agli elementi primari dell’immaginazione interiore dell’artista e disponendoli in forma larga e piana - paratattica certo, ma totale - tanto da ottenerne la immersione partecipata e iniziale per il fruitore, condotto così all’emozione sorgiva, allo stupore del comporsi di un’opera d’arte come mai avrebbe potuto immaginare dinnanzi alla pittura finita. Questo è il nostro debito nei confronti del Rossi: un debito che accompagna ogni visitatore quando si orienta passo passo su quella “reductio al piano” che ha osato pensare, e fare, tale espertissimo ripescatore delle parti del reale com’è stato questo Maestro parmense. Egli che ha riversato per una vita - e quasi sull’intero pianeta - la sua vocazione all’immagine e il suo rovello, mai spento, ha riportato l’interiore dell’occhio alla sostanza visiva che la pittura emanava: una pittura ad affresco, veloce come il sospingere dell’anima; perentoria nella totalità celestiale concepita come evento al di sopra del tempo; sorprendente nel gettito delle movenze, e raffinatissima nell’estendersi all’infinito verso gli spazi dell’elevazione, tremuli come i respiri da lungi.
Forse soltanto il Correggio poteva offrire uno stimolo così lato e così inducente, proprio nella città che si identifica con lui nel mondo: una città che lo ama, che lo ammira da sempre, che ne percepisce la freschezza pittorica, e quella fede intemerata che lo ha sospinto tante volte nell’aldilà spirituale con una energia tanto semplice ed immediata quanto incredibile: laetentur coeli!!
Nel 1520, quando Antonio Allegri offre alla Comunità Benedettina del Monastero di San Giovanni, in pieno centro, gli affreschi meravigliosi della volta celeste, il pittore all’incirca trentenne era già passato per varie ma limitate esperienze di raffigurazioni sospese nello pneuma divino: la copertura della Cappella funeraria del Mantegna occhieggiante sulle nubi; le visioni melozziane colte nel viaggio a Roma del 1513; il preciso tentativo architettonico-biblico di San Benedetto al Polirone; l’apertura importantissima dei cieli in compresenza della terra nella “Madonna di San Francesco”, e infine quel “dipingere in alto” della Camera di San Paolo dove - dopo i sacrifici e le virtù esercitate - i fanciulli fattivi garantivano l’innocenza puerile che totale ha da essere lassù, nel Paradiso.
Come ha fatto Lucio Rossi a possedere tecnicamente la ri-trasformazione di ogni parte ansata del dipinto e a riportarla intatta - possiamo dirlo - ad una fruizione serena, così vicina all’osservatore? La risposta analitica verrà dalla mostra stessa (non prima dell’inaugurazione) ma ora possiamo riferire la semplice eppur prodigiosa affermazione del Lucio così allegrianamente innamorato: “voglio che ogni visitatore, ogni persona, possa per una volta camminare nel cielo”! In questo periplo ogni particolare della pittura del Correggio sarà colto in modo emotivo, preciso. Ecco l’emozione avvolgente, trepida, estasiante: camminare nel cielo là, nel refettorio grande dei Monaci Benedettini, sotto alla cupola ma dentro alla cupola, e percepire in essa quel lancio di santificazione del San Giovanni nascosto che trapassa la Confraternita Apostolica e punta diritto al cuore di Gesù.
Dunque i cittadini di Parma hanno riavviato il colloquio altissimo con il Correggio, guidati con estrema dedizione e limpidità da una ben consapevole Amministrazione Comunale: dal sindaco Michele Guerra, e dall’assessore alla cultura Lorenzo Lavagetto. Il primo già da tempo in carica per i Beni e le attività culturali; il secondo con un entusiasmo senza riserve davanti alla mostra che rivoluziona in sostanza l’intero ductus del prelievo visivo, e che apre in senso generale l’uso degli strumenti più moderni, accompagnato dalla guida risarcitiva del Maestro delle immagini. Un grande grazie all’abate e ai religiosi del monastero.
Ci auguriamo che il catalogo riesca a diffondere la consapevolezza delle conquiste sinora imprevedibili riguardo alla proposta esecutiva delle nuove riprese. Lavagetto ha fatto propria la scienza dimostrativa del Rossi e insieme i due alleati possono ora ben dire che lo spettacolare montaggio della Sala del capitolo nel Monastero di San Giovanni non è una mostra fotografica (!), e lo ripetiamo: non è una mostra fotografica, ma una vera captazione del cielo portata in terra, consegnata con mirabile semplicità a ciascuno del popolo; augurandoci che una serie di conversazioni pubbliche possa far penetrare stabilmente la comprensione e l’adesione civica, soprattutto giovanile, ma anche la coscienza universale, alle capacità dell’arte riproduttiva.
Con questa si accentuano i valori: quando realtà e verità coincidono!
Tutte le spiegazioni tecniche sono riservate al catalogo e ai tempi dell’esposizione. Tutte le immagini che appaiono qui sono di Lucio Rossi, e tutti i diritti sono riservati a FOTO R.C.R. di Rossi Lucio & C. S.a.s. - Molti ringraziamenti a Lucio. La mostra gode dell’impegno dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Parma, col sostegno di Fondazione Cariparma e della Regione Emilia Romagna, ed è ospitata dalla Comunità dell’Abbazia Benedettina di San Giovanni Evangelista. Resterà aperta dall’8 settembre 2024 al 31 gennaio 2025. Info: parmawelcome.it
L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.