Cosa ha a che fare il più grande interprete in scultura del neoclassicismo, ovvero Antonio Canova, con uno dei gruppi più importanti (e probabilmente il più influente) della storia del rock, ovvero i Velvet Underground? Apparentemente niente: in realtà il filo conduttore che li lega è quello della pubblicità, o meglio quello dell’arte usata con scarso o nullo criterio nella pubblicità, perché Canova e i Velvet Underground hanno in comune il fatto di essere artisti e di essere (o essere stati) protagonisti di spot pubblicitari il cui contenuto non ha niente a che vedere con il messaggio di cui l’opera d’arte si fa portatrice.
Ricordate la pubblicità dell’ENEL che aveva come sottofondo Sunday morning? La canzone accompagnava alcune scene idilliache tratte da un ipotetico mondo dove procurarsi l’energia elettrica è di una facilità estrema (basterebbe disegnare o scavare una presa di corrente). L’esatto opposto della contraddittoria Sunday morning, che nonostante la melodia apparentemente dolce è una canzone che ci parla di inquietudine, di paranoia, di ansia, anche se il testo si presta a più interpretazioni: tuttavia è questa quella che va per la maggiore, ovvero quella secondo la quale si tratterebbe di una canzone che racconta di depressione e paranoia. Evidentemente il creativo non si è posto il problema di comprendere l’arte dei Velvet Underground e di conseguenza il messaggio della canzone.
Ho fatto questo esempio giusto perché è il primo che mi è venuto in mente, ma sono molti gli spot dove la musica viene utilizzata senza che abbia un nesso con il messaggio pubblicitario. Ecco, il nostro Antonio Canova è stato oggetto di un’operazione del genere, ovvero è diventato protagonista di una pubblicità dove le sue opere fanno semplicemente da sottofondo ma non hanno niente a che vedere con il contenuto dello spot. Nella fattispecie, lo scultore neoclassico è diventato “testimonial” del marchio Intimissimi: è stato girato un servizio fotografico alla Gipsoteca Canoviana di Possagno e da qualche giorno in televisione si può anche vedere lo spot in cui una modella in intimo con fare ammiccante si aggira tra i gessi canoviani. Questa è una delle immagini che si possono vedere sul sito di Intimissimi:
Non capita di frequente che un’opera d’arte diventi sfondo di una pubblicità e quindi, per capire cosa gli appassionati d’arte pensano dell’iniziativa, abbiamo provato a lanciare una piccola discussione sia sulla nostra pagina Facebook che sulle bacheche di alcuni gruppi, sempre su Facebook. Non ci sentiamo di condividere (anzi, non condividiamo) il pensiero di coloro che trovano addirittura “vergognoso” il fatto che la gipsoteca di Possagno sia stata utilizzata come un set di una pubblicità, ma bisogna sicuramente dire che qui l’opera d’arte è sfruttata senza che ci sia una logica di fondo.
Anche in questo caso, il creativo ha studiato poco la storia dell’arte: se l’avesse studiata meglio (o se l’avesse studiata... ), avrebbe scoperto che le opere di Antonio Canova (così come quelle di tutti gli artisti neoclassici) non mirano a essere sensuali, a provocare e a ispirare erotismo, anzi è vero l’esatto contrario. Il neoclassicismo nasce come reazione nei confronti degli eccessi dell’arte barocca, e tra questi eccessi figurava anche l’eccessivo erotismo: scopo dei neoclassici era quello di creare un’arte dove i soggetti fossero idealizzati, solenni e razionali. Se l’emozione era lo stato d’animo dell’arte barocca, la contemplazione è quello dell’arte neoclassica. Probabilmente riprendere la modella vicino a una scultura di Bernini o a un dipinto di Cagnacci, di Rubens o di Rembrandt, tanto per fare qualche nome famoso, avrebbe avuto più senso.
Oltretutto la modella non sfila neppure vicino a opere a soggetto amoroso che quindi, anche ammettendo la scarsa comprensione del creativo nei confronti della storia dell’arte, potevano costituire un minimo appiglio (benché di nessuna valenza per chi conosce l’arte neoclassica): ma, per esempio, nella foto vediamo che la ragazza è ritratta vicino al monumento a George Washington! Quale nesso potrebbe intercorrere tra il monumento a George Washington e un marchio di intimo? E inoltre, le opere d’arte non sono neppure riprese bene, e al non-appassionato o non-conoscitore non vengono dati strumenti per comprendere di chi siano le opere o dove si trovino. Quindi, come mero sottofondo (un po’ alla Sunday morning), i pubblicitari avrebbero potuto usare una qualsiasi opera d’arte. Noi di Finestre sull’Arte non siamo, per principio, contrari all’utilizzo di opere d’arte in messaggi pubblicitari. Ma (e varrebbe anche per la musica) ci piacerebbe che, se proprio bisogna usare l’arte, almeno la si usasse in modo sensato e in modo da lasciare aperta la possibilità di avvicinare all’arte i destinatari del messaggio!
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).