Abbiamo già discusso sul fatto che i bronzi di Riace abbigliati con boa e perizoma leopardato creino più danni che benefici alla lotta contro l’omofobia: agghindare statue antiche secondo i più beceri stereotipi omosessuali, infatti, non aiuta in alcun modo la causa. C’è però un’altra importantissima questione su cui riflettere: quella delle responsabilità tecniche.
Sul sito Dagospia, il primo a riportare la notizia degli scatti ai bronzi di Riace agghindati (risalenti allo scorso febbraio), si legge infatti che Gerald Bruneau, l’autore delle fotografie, si sarebbe “introdotto con l’inganno” nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. La domanda quindi è: ma come è possibile introdursi con l’inganno in un museo e soprattutto in una sala che è sottoposta a un rigido protocollo che controlla gli accessi? Leggiamo, infatti, dal sito della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria: “L’accesso alla Sala dei Bronzi di Riace è consentito solo a gruppi di massimo venti persone alla volta ed è soggetto a limitazioni di tempo, secondo il seguente programma: sosta di 20 minuti nella sala pre-filtro, durante i quali un video intretterrà il pubblico con aggiornamenti sullo stato della ricerca sui bronzi di Riace; sosta di circa 3 minuti nella sala filtro; visita ai Bronzi di circa 20 minuti; uscita. Orari di entrata: dalle ore 9:10 ogni venti minuti, indicativamente ogni ora ai 10, ai 30 e ai 50 minuti. Tali regole sono da rispettare tassativamente”. La sala poi è sottoposta a un avanzato sistema di controllo del clima, come leggiamo dal sito del Museo Archeologico Nazionale, ospitato su quello della Soprintendenza: “La sala che ospita i Bronzi è dotata di uno sistema di controllo del clima, mantenuto sui 20° d’inverno, 25-27° d’estate, con un tasso di umidità all’incirca del 35-40%, tale cioè da evitare l’innescarsi di nuovi fenomeni di corrosione”.
Scatti ai bronzi di Riace in versione stereotipo gay. Foto tratta da Dagospia |
Dunque, se le regole di cui sopra “sono da rispettare tassativamente”, come è stato possibile permettere non solo uno sforamento degli orari (non crediamo affatto che siano bastati 20 minuti per “truccare” le statue, allestire le apparecchiature, istruire gli assistenti, scattare le fotografie, smontare le apparecchiature, rimuovere le “decorazioni”), ma anche lavorare, apparentemente senza particolari accortezze, a stretto contatto con due statue delicatissime? La soprintendente, Simonetta Bonomi, ha rilasciato alcune dichiarazioni all’ANSA: Gerald Bruneau le avrebbe proposto di “fare uno scatto ad una statua con alle spalle un tulle bianco” (dunque, stando così le cose, non si sarebbe introdotto con l’inganno, ma con l’avallo delle autorità), e avrebbe poi cambiato le sue intenzioni a insaputa della soprintendente. Sempre a detta di Simonetta Bonomi, i custodi se ne sarebbero accorti e avrebbero bloccato Bruneau, ma il fotografo avrebbe fatto comunque in tempo a realizzare diversi scatti.
Di chi sono quindi le responsabilità? I custodi avrebbero dovuto sorvegliare Bruneau tutto il tempo: come hanno fatto a non accorgersi che si accingeva a intervenire sulle statue “vestendole” con boa e perizoma? È un’operazione che non può essere condotta in una manciata di secondi: i custodi avrebbero dovuto fermare Bruneau immediatamente, e il fotografo non avrebbe dovuto avere neppure il tempo materiale per sistemare il boa al collo della statua. Anche perché i custodi avrebbero dovuto essere stati informati in modo esauriente ed adeguato delle modalità degli scatti e degli interventi da condurre all’interno della sala. Di chi sono, pertanto, le mancanze? Di chi è la responsabilità di tutto questo? Ci auguriamo che venga fatta piena luce su una vicenda che, oltre a ridicolizzare e banalizzare in modo disarmante la causa degli omosessuali, getta diverse ombre sul lavoro della soprintendenza: e questo è tanto più negativo se pensiamo al fatto che proprio in questi giorni si sta discutendo sulla riforma del MiBACT che dovrebbe rivedere il ruolo delle soprintendenze.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).