Aprirà le porte al pubblico domani, sabato 13 maggio 2017, la cinquantasettesima edizione della Biennale di Venezia, curata da Christine Macel, e che quest’anno reca il titolo “Viva arte viva”. Abbiamo dato un’occhiata in anteprima e vi proponiamo dieci opere alle quali riteniamo occorra prestare attenzione.
Anteprima stampa della Biennale 2017. Ph. Credit: Federica Forti |
1. Liliana Porter, El hombre con el hacha y otras situaciones breves
L’artista argentina Liliana Porter (Buenos Aires, 1941) arriva alla Biennale 2017 con una nuova edizione di un’installazione che risale al 2014, che s’intitola El hombre con el hacha y otras situaciones breves (“L’uomo con l’ascia e altre situazioni brevi”) e che si può osservare negli spazi dell’Arsenale. Un minuscolo omino che brandisce una scure viene posto alla fine di una serie di oggetti rotti: libri, sedie, tazze e ceramiche, giocattoli, modellini di navi, persino la carcassa d’un pianoforte. Il tutto senza che vengano rispettate reali proporzioni: un espediente per indurre l’osservatore a riflettere sul rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione (uno dei temi della ricerca di Liliana Porter), o semplicemente per rendere ancora più alienante un lavoro che è volutamente ambiguo. Non sappiamo, infatti, se l’omino con l’ascia sia il responsabile della distruzione o voglia ulteriormente accanirsi sui brandelli di un passato che rimane impresso come memoria ma che è stato travolto dallo scorrere del tempo. Ad accrescere questo senso di straniamento concorrono anche altre figurine che si trovano lungo tutto il “percorso” tracciato da queste macerie del passato: suonatori, soldatini, semplici passanti s’aggirano tra le rovine spingendoci a riflettere ancor più sul senso dell’opera in generale e sui suoi singoli particolari. Probabilmente un’opera che ci parla principalmente del tempo, concetto che ha spesso ispirato le opere di Liliana Porter.
Liliana Porter, El hombre con el hacha y otras situaciones breves (2017; installazione a tecnica mista, 170 x 950 x 650 cm; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva). Ph. Credit: Federica Forti |
2. Ernesto Neto, Um sagrado lugar
La grande installazione Um sagrado lugar (“Un luogo sacro”) del brasiliano Ernesto Neto (Rio de Janeiro, 1964), vecchia conoscenza della Biennale di Venezia, è una delle opere più interessanti esposte all’Arsenale. È una sorta di grande tenda decorata con motivi geometrici, all’interno della quale l’artista ha disposto terra, sabbia, libri e vasi di ceramica e che ha circondato con vasi di piante. Un’opera all’interno della quale, peraltro, i visitatori possono sedersi e trattenersi, diventando essi stessi parte dell’installazione (l’interazione tra pubblico e opera è un tratto tipico delle opere di Ernesto Neto). La tenda si ispira chiaramente a quelle degli indios del Brasile, in particolare a quelle della tribù Huni Kuin, che vive nell’Amazzonia, nei territori al confine col Perù: è proprio alla spiritualità della terra natale che guarda quest’opera d’arte, tanto più importante se pensiamo alle tristi vicissitudini che i popoli nativi continuano a subire (proprio in questi giorni assistiamo a una escalation di violenze nei confronti degli indios, che chiedono più considerazione e maggior protezione da parte del governo). Ernesto Neto ha peraltro portato con sé a Venezia alcuni membri della tribù Huni Kuin che, anche tramite performance, parteciperanno all’inaugurazione della Biennale.
Ernesto Neto, Um sagrado lugar (2017; cotone lavorato a uncinetto, ovatta, voile, tela, juta, nodi di voile, legno, compensato, filtro d’acqua, terra, sabbia, strumenti, vasi di ceramica, piante, fotografia, disegno Huni Kuin, tessuti, canti, libro Una Isi Kayawa, libro in tessuto; dimensioni variabili; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva). Ph. Credit: Andrea Avezzù. Courtesy La Biennale di Venezia. |
3. Maria Lai, Libri cuciti
La Biennale 2017 omaggia Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) esponendo alcuni suoi lavori eseguiti tra il 1981 e il 2008. Tra questi figurano alcuni dei suoi Libri cuciti: libri in cui le parole vengono “scritte” da fili che si dispongono sulla loro superficie. Maria Lai è nota per la sua arte che rilegge l’antica tradizione della tessitura e crea opere fatte di fili, tessuti, telai che assumono significati simbolici sempre diversi. Il filo che scrive sul libro è la metafora del filo della storia, per esempio, ma è anche un rimando alle antiche attività artigianali delle donne della Sardegna, per le quali la tessitura rappresentava un momento di socializzazione e di condivisione culturale.
Alcuni libri cuciti di Maria Lai. Ph. Credit: Italo Rondinella. Courtesy La Biennale di Venezia. |
4. Katherine Nuñez & Issay Rodriguez, In between the lines 2.0
Vengono dalle Filippine le due artiste più giovani della cinquantasettesima edizione della Biennale di Venezia: sono Katherine Nuñez (Manila, 1992) e Issay Rodriguez (Manila, 1991) che, anche con l’ausilio di fili di lana e uncinetto (e non si tratta dell’unica opera in cui gli intrecci di fili hanno un peso non secondario), ricreano una sorta di scrivania da studente, da bambino. Il titolo è In between the lines 2.0 (“Tra le righe 2.0”) e si trova nel padiglione centrale dei Giardini. Anche qui, tornano i temi dell’educazione e del lavoro artigianale (oltre che dell’educazione al lavoro artigianale) e la giocosa immagine che ne esce, una delle più positive della Biennale, sorprende e conforta: vediamo matite e penne fatte di fili intrecciati, quaderni e libri, guanciali per riposare. I bambini, del resto, sono “esseri potenti”, come da titolo di un’opera del 2014 di Katherine Nuñez.
Katherine Nuñez e Issay Rodriguez, In between the lines 2.0 (2015-2017; lavoro a uncinetto, ricamo, lavoro di cucito; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva). Ph. Credit: Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia. |
5. Hassan Sharif, Hassan Sharif Studio (Supermarket)
La Biennale rende omaggio all’artista emiratino Hassan Sharif (Dubai, 1951 - 2016) portando ai Giardini il suo Studio, un’opera frutto di ventisei anni di lavoro e che sicuramente si pone come una delle più scenografiche della Biennale 2017. È una sorta di reparto di supermercato sui cui scaffali s’ammassano (sebbene con rigoroso ordine) cumuli di cianfrusaglie e rifiuti riciclati: una neanche troppo velata critica alla società del consumismo, ma forse anche un’accusa al sistema dell’arte contemporanea, fortemente orientato al mercato e al commercio.
Hassan Sharif, Hassan Sharif Studio (Supermarket) (1990-2016; oggetti, sacchi, libri, scatole; dimensioni variabili; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva). Ph. Credit: Andrea Avezzù. Courtesy La Biennale di Venezia. |
6. Frances Stark, Behold man!
L’opera che Frances Stark (Newport Beach, 1967) porta in mostra (si trova ai Giardini), s’intitola Behold man! (Guarda uomo!) ed è una sorta di autoritratto in cui l’artista si rappresenta, con un semplice contorno nero e nella più totale bidimensionalità, distesa su un divano addossato a una parete che chiude un pavimento a scacchi visto in prospettiva. La donna guarda davanti a sé, e possiamo capire cosa sta guardando se osserviamo specchio appeso più in alto: vediamo riflesse alcune persone, tra cui un uomo nudo, che stanno di fronte a lei. Sparpagliati sul pavimento e appesi alla parete vediamo fogli, riviste, fotografie. Evidenti i riferimenti erotici, neanche troppo velati: presente anche, sul tavolinetto davanti al divano, un gallo (in inglese “cock” significa, appunto, “gallo”, ma è anche un termine che si riferisce all’organo genitale maschile).
Frances Stark, Behold Man! (2013; tecnica mista, stampa a inchiostro e pittura, 191,8 x 244,2 x 3 cm; 57. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, Viva Arte Viva). Ph. Credit: Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia. |
7. Olafur Eliasson, Green light. An artistic workshop
Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967) è uno dei nomi di maggior peso della Biennale 2017 e porta a Venezia il progetto Green light. An artistic workshop (“Luce verde. Un workshop artistico”), che l’artista danese dedica ai migranti e ai rifugiati donando loro una metaforica luce verde di speranza. Il progetto prevede la partecipazione di ottanta richiedenti asilo accolti nelle strutture di Venezia, che parteciperanno al suo workshop artistico per creare le lampade verdi e che pertanto affolleranno i Giardini per tutta la durata della Biennale. Le lampade da loro prodotte saranno vendute con un’offerta minima di 250 euro e il ricavato verrà destinato a progetti delle organizzazioni non governative. “Lo spostamento di masse di persone e le migrazioni”, ha dichiarato l’artista dichiarandosi onorato di partecipare alla Biennale, "sono le grandi sfide del mondo odierno: riguardano milioni di persone provenienti da tutto il pianeta. Green light vuol essere una modesta strategia per incanalare le sfide e le responsabilità che nascono dalla situazione attuale e per accendere una luce sul valore del lavoro collaborativo e del pensiero".
Olafur Eliassion, Green light. An artistic workshop. Ph. Credit: Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia. |
8. Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo
Sono tre gli artisti scelti quest’anno per il Padiglione Italia (per cui è stato scelto il titolo Il mondo magico, a cura di Cecilia Alemani): tra di loro figura l’emiliano Roberto Cuoghi (Modena, 1973) che torna in Biennale esponendo la cupa installazione Imitazione di Cristo. Prendendo ispirazione dall’omonimo testo medievale che invitava l’osservatore ad abbandonare le cose mondane e a perseguire una vita ispirata al cammino di Gesù, Roberto Cuoghi propone una serie di “figure devozionali” che risultano da un processo di trasformazione della materia e che vengono inserite in uno spazio che ricorda un laboratorio all’interno del quale queste figure vengono create. Un laboratorio dove alcuni operatori creano in continuazione queste strane sculture, corpi che vengono prima modellati e poi sottoposti a un processo che mira a ottenerne la decomposizione. Un continuo ciclo di nascita, morte e rigenerazione che crea immagini mai uguali (“producendo una dissociazione che sembra
riguardare il nostro presente”, spiega la curatrice) ma soprattutto di forte impatto, quali erano quelle che in passato dovevano ispirare sentimenti mistici negli osservatori.
Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo (2017). Ph. Credit: Federica Forti. |
9. Mark Bradford, Tomorrow is another day
L’installazione che Mark Bradford (Los Angeles, 1961) ha pensato per il Padiglione Statunitense (a cura di Christopher Bedford e Katy Siegel) s’intitola Tomorrow is another day (“Domani è un altro giorno”) e trasforma il padiglione in una sorta di grotta che mette in scena, come l’artista spiega, il suo “interesse per le persone emarginate, per la loro vulnerabilità e la loro resilienza, e il continuo ciclo di minaccia-speranza delle mai mantenute promesse sociali dell’America”. Un’opera che giunge in un momento molto delicato della storia statunitense e che racconta di “rovina, violenza, azione, possibilità, ambizione”, ma anche di “fiducia nella capacità, da parte dell’arte, di coinvolgerci in conversazioni urgenti e profonde e magari anche in azioni”. Questo racconto prende la forma di un’angosciante installazione astratta che aggredisce lo spazio del Padiglione USA rovinandolo e deteriorandolo e che continua con le opere, talora cupe e a volte aperte a un filo di speranza, con cui Bradford continua la propria mostra.
Mark Bradford, Tomorrow is another day (2017). Ph. Credit: Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia. |
10. Xavier Veilhan, Studio Venezia
Affidato a uno dei più interessanti artisti francesi contemporanei, Xavier Veilhan (Lione, 1963), il Padiglione Francia è stato interamente trasformato in un’opera d’arte immersiva, intitolata Studio Venezia. Attraverso elementi geometrici in legno e piani che s’intersecano, tipici della sua cifra stilistica, Veilhan crea un ambiente dall’atmosfera onirica, vagamente surrealista ma anche dada (il riferimento più immediato è il Merzbau di Kurt Schwitters, come l’artista stesso ha avuto modo di spiegare), che per tutta la durata della Biennale sarà una sorta di studio di registrazione, perché ospiterà musicisti da tutto il mondo che si alterneranno agli strumenti musicali facendo diventare Studio Venezia un ambiente sonoro capace di fondere diverse forme d’arte: scultura, architettura, pittura, musica.
Xavier Veilhan, Studio Venezia (2017). Ph. Credit: Francesco Galli. Courtesy La Biennale di Venezia. |