Mentre è in pieno svolgimento l’edizione 2019 di Artissima, la mostra-mercato d’arte contemporanea che come ogni anno si tiene a Torino, dopo avervi proposto i nostri commenti con la gallery delle opere più forti, interessanti e irriverenti, oggi vi proponiamo un best of con una selezione di opere che abbiamo deciso di approfondire (per i temi, la qualità, il curriculum degli autori, l’originalità, il valore estetico) e che vi presentiamo con tutti i prezzi richiesti dalle gallerie.
Chris Johanson, Open session all welcome (2003), presentato da Georg Kargl Fine Arts. Richiesta: 42mila euro.
Chris Johanson (San Jose, 1968), artista californiano con base a San Francisco, nato come artista di strada, è fortemente interessato ai temi legati alle realtà urbane e, data anche la sua formazione, il suo lavoro è una somma di graffitismo, fumetti e street art. Il suo linguaggio spazia dal disegno al dipinto su tavola, anche se Johanson predilige i formati poco convenzionali, come si evince da questo Open session all welcome presentato da Georg Kargl Fine Arts. L’opera è una veduta di una città distopica permeata di sarcasmo rivolto alla politica, alle abitudini sociali, al consumismo, alla vita nelle città americane. Ne consegue un lavoro che, per quanto colorato, appare anche grottesco, dove tutto s’intreccia e s’interseca senza soluzione di continuità, dove viene esercitato il controllo sugli abitanti, dove i cittadini si abbandonano a commenti non proprio felici sulla loro condizione.
Chris Johanson, Open session all welcome (2003; acrilico su tavola, 170 x 252 cm), presentato da Georg Kargl Fine Arts. Richiesta: 42mila euro. |
Annette Lemieux, Excerpt-2 (2019), presentato da Mazzoli. Richiesta: 25mila euro.
Excerpt-2, insieme all’omologo Excerpt-3, è un’opera dell’americana Annette Lemieux (Norfolk, Virginia, 1957) che riflette sul controllo nella società contemporanea. Per realizzarla, Lemieux ha utilizzato alcune copertine del romanzo 1984 di George Orwell affiancandole a dettagli di occhi tratti da dipinti della storia dell’arte (Odilon Redon, Philip Guston e altri). Ne risulta un insieme di occhi che fissano l’osservatore e che ragionano sul fatto che la censura è sempre stata presente fin da tempi antichi (tempi ai quali si riferiscono gli occhi dei pittori antichi) e, attraverso i moderni mezzi tecnologici, entra prepotentemente nel mondo attuale.
Annette Lemieux, Excerpt-2 (2019; stampa su tavola, 81,3 x 50,8 cm), presentato da Mazzoli. Richiesta: 25mila euro. |
IRWIN (Andrej Savski), Curiosity (2007), presentato da Gregor Podnar. Richiesta: 24mila euro.
IRWIN è uno storico collettivo di artisti sloveni, formato da Dušan Mandič, Miran Mohar, Andrej Savski, Roman Uranjek e Borut Vogelnik, appartenente all’importante movimento della Neue Slowenische Kunst (NSK), uno dei principali fenomeni culturali apparsi nella ex Jugoslavia (le origini rimontano al 1984, quando la Slovenia non era ancora indipendente). Se i celeberrimi Laibach costituivano l’ala “musicale” della NSK, gli IRWIN incarnavano invece la parte visiva. Il loro lavoro assomma elementi del romanticismo, del modernismo e del suprematismo: solitamente, gli IRWIN partono da simboli (politici, religiosi o popolari, come in questo caso: un proverbio) per esaminarne la funzione e i significati. Per scoprire ciò, secondo gli IRWIN è necessario trovare le origini del simbolo, e la ricostruzione si può fare solo se il simbolo si decostruisce tornando agli elementi che lo hanno originato. Ma in questo modo, ai simboli viene data anche una nuova connotazione, spesso assumendo risvolti umoristici. Curiosity è un lavoro del 2007 di Andrej Savski che ben incarna questo procedimento: il proverbio Curiosity killed the cat (“la curiosità uccide il gatto”, detto per mettere in guardia qualcuno dai pericoli che si rischiano affrontando l’ignoto) viene decostruito nei suoi elementi basilari, ovvero il punto interrogativo e il tenero gattino che non sa a cosa andrà incontro. Ne consegue un’opera dai contorni inquietanti, come tipico dei lavori degli IRWIN.
IRWIN (Andrej Savski), Curiosity (2007; olio su tavola, 66 x 100,5 cm), presentato da Gregor Podnar. Richiesta: 24mila euro. |
Thomas Braida, Siesta del sol, siesta per tutti (2019), presentato da Monitor. Richiesta: 22mila euro.
Thomas Braida (Gorizia, 1982), tra i pittori emergenti più interessanti del panorama italiano, è un pittore figurativo che è solito lavorare sui grandi formati, come in questa Siesta del sol, siesta per tutti, una grande opera su tela di quasi cinque metri di larghezza che raffigura un brano di spiaggia al mare, dove compare una pletora di personaggi disparati: ragazze in topless e costume alla brasiliana, scheletri, cavalli, animali vari, armature, teste staccate. Con citazioni dalla storia dell’arte (in alto, per esempio, un chiaro rimando all’Incubo di Füssli). Il tutto ripreso con una visuale dall’alto: praticamente la versione perversa (e quindi più interessante) del Padiglione della Lituania alla Biennale di Venezia.
Thomas Braida, Siesta del sol, siesta per tutti (2019; olio su tela, 280 x 480 cm), presentato da Monitor. Richiesta: 22mila euro. |
Frances Goodman, Romancing the mirror (2018), presentato da Smac. Richiesta: 17-19mila euro.
La galleria sudafricana Smac porta ad Artissima alcune opere dell’artista Frances Goodman (Johannesburg, 1975), tra cui Romancing the mirror, parte di un nucleo di opere fatte con lustrini che catturano donne in momenti di privacy o di riposo: per esempio, al bagno, mentre si guardano allo specchio (come in questo caso), mentre si fanno un selfie, e così via. I lustrini fanno somigliare l’opera a un’immagine digitale fatta di pixel, ma questo insolito materiale, nelle intenzioni dell’autrice, dovrebbe riflettere e allo stesso tempo modificare il modo in cui guardiamo l’immagine. Vale a dire che occorre osservare l’immagine da diversi punti di vista per vederla bene e comprenderla appieno, e questo ci fa somigliare a dei voyeur che invadono pesantemente la privacy delle ragazze raffigurate, col risultato che le opere dell’artista sudafricana si fanno anche simbolo del modo in cui guardiamo all’intimità della donna (specialmente tramite i social: l’immagine fatta di lustrini, come detto, vuole richiamare le immagini digitali). Per realizzare le sue opere, Frances Goodman parte da fotografie e poi applica sulla tela i lustrini a mano.
Frances Goodman, Romancing the mirror (2018; lustrini su tela, 160 x 115 cm), presentato da Smac. Richiesta: 17-19mila euro. |
Rezi van Lankveld, Double (2019), presentato da Annet Gelink Gallery. Richiesta: 17.500 euro.
L’artista olandese Rezi van Lankveld (Amlelo, 1973) figura tra i nomi più rappresentativi della scena artistica del suo paese. Si è formata alla Jan van Eyck academie e alla Gerrit Rietveld Academie e ha esposto in tutto il mondo (anche in Italia: al Centro Pecci di Prato nel 2013). Il suo metodo è molto particolare e laborioso (tanto che difficilmente produce più di dieci dipinti all’anno): stende i colori in più livelli sul supporto, dopodiché li sistema facendoli muovere (e non sempre utilizzando il pennello). Questo metodo è una specie di gioco tra “permesso e divieto”, come piace pensare all’artista, dal momento che il movimento dei colori viene continuamente controllato in un processo che è però più intuitivo che razionale, e sta a metà tra caso e intenzione. Ne risultano opere che, come questa, si pongono tra astrazione e figurazione.
Rezi van Lankveld, Double (2019; olio su tela, 50 x 40 cm), presentato da Annet Gelink Gallery. Richiesta: 17.500 euro. |
Naiza Khan, City wrapped in a web (2011), presentato da Rossi&Rossi. Richiesta: 6mila dollari.
Naiza Khan (Bahawalpur, 1968), protagonista quest’anno del Padiglione del Pakistan (suo paese d’origine, peraltro presente quest’anno per la prima volta alla Biennale) con la mostra Manora Field Notes (apprezzata dalla critica), è un’artista che lavora su più linguaggi. Con le sue vedute di città dall’alto, Khan indaga il modo in cui l’ambiente e soprattutto i paesaggi umani si modificano nel corso del tempo: a partire dal 2010, l’artista pakistana rivolge la sua attenzione al rapporto tra spazio, architettura e presenza umana. Nella sua opera, le città, tuttavia, non si trasformano solo nel tempo, ma anche nello spazio, assumendo forme e accezioni diverse: un esempio di questa sua poetica (che l’ha portata in passato ad assimilare la città a un corpo femminile, per esempio) è City wrapped in a web, dove non vediamo la città perché è nascosta da una ragnatela, con tutto ciò che ne consegue a livello simbolico (censure, connessioni, nascondimenti, inquinamento e quant’altro).
Naiza Khan, City wrapped in a web (2011; inchiostro e acquerello su carta, 36 x 51 cm), presentato da Rossi&Rossi. Richiesta: 6mila dollari. |
Anna Zacharoff, Shrimp in person e Shrimp in the nude (2019), presentati da Issues. Richiesta: 3.200 euro ciascuno.
La galleria svedese Issues, una delle new entry di Artissima, porta alla fiera torinese le opere della giovane artista svedese Anna Zacharoff (Stoccolma, 1987), attiva a Bruxelles. Zacharoff, fin dai suoi esordi, ha sempre dimostrato un grande interesse per la vita sotto i mari e lo palesa anche ad Artissima con una serie che raffigura, in sette diversi dipinti, un gambero più o meno vestito, fino ad arrivare alla nudità completa (ad Artissima sono presenti due opere della serie: Shrimp in person e Shrimp in the nude). Già esposta alla mostra personale Nudity now, si tratta di una serie che racconta una storia: quella di un gambero che subisce abusi in quanto costretto a spogliarsi contro la propria volontà. Una metafora interessante resa con essenzialità da un’artista giovane.
Anna Zacharoff, Shrimp in person e Shrimp in the nude (2019; olio su tela, 40 x 30 cm), presentati da Issues. Richiesta: 3.200 euro ciascuno. |
Katarína Poliačiková, My room is a sundial (2017), presentato da Jiri Svestka Gallery. Richiesta: 2mila euro ciascuna.
“Provare il calore del sole sulla propria pelle nuda”, commenta Katarína Poliačiková (Myjava, 1982) a proposito della sua opera My room is a sundial, un trittico di stampe, “è uno dei sentimenti più umani e più lussuosi. Siete d’accordo? E la luce e l’anima di uno spazio. Puoi dire che un posto è casa tua quando hai visto come la luce cambia attraverso le stagioni. [...] Il mio appartamento rivolto verso sud all’undicesimo piano è allo stesso tempo una meridiana e una macchina fotografica. Come un autobus, si muove, anche se con la lentezza del moto planetario, assorbendo una sequenza di raggi solari che illuminano ogni stanza. La fine dell’autunno è la stagione durante la quale aspetto e guardo la luce, la intrappolo, e poi osservo i suoi sottili cambiamenti appena il giorno comincia ad allungarsi”.
Katarína Poliačiková, My room is a sundial (2017; stampa su carta di cotone, 52,7 x 67,8 cm), presentato da Jiri Svestka Gallery. Richiesta: 2mila euro ciascuna. |