Il fotografo brasiliano Sebastião Salgado è da sempre attento al tema ambientale, tema divenuto ora più che mai di grande attualità per i cambiamenti climatici che stanno preoccupando l’intero pianeta. Si pensi al surriscaldamento globale, allo scioglimento dei ghiacci, all’inquinamento degli oceani e dei mari, tanto che come è noto sono stati individuati programmi e azioni volti a ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti, a cominciare dagli obiettivi dell’Agenda 2030. Tra le principali cause del cosiddetto climate change è la deforestazione, in quanto tagliare le foreste provoca emissioni: una volta abbattuti infatti gli alberi rilasciano il carbonio che hanno immagazzinato. Le foreste assorbono l’anidride carbonica e per questo sono importanti per fare “respirare” il pianeta, ma il loro abbattimento limita la capacità della natura di tenere fuori dall’atmosfera le emissioni.
La foresta amazzonica è considerata per la sua estensione il polmone verde della Terra: si pensi che assorbe da 150 a 200 miliardi di tonnellate di carbonio e per questo è in grado di influenzare la regolazione del clima e dei cicli biologici sull’intero pianeta. Il WWF, tra le prime organizzazioni che hanno richiamato l’attenzione sul dramma della deforestazione amazzonica, afferma che negli ultimi trent’anni abbiamo perso in media una superficie di foresta tropicale pari a 12.000 chilometri quadrati all’anno, ma in alcune occasioni siamo arrivati anche a 28.000 chilometri quadrati, e che nei primi sei mesi del 2022 ben 3.988 chilometri quadrati di foresta amazzonica sono andati distrutti, oltre tre volte la superficie di Roma, registrando valori record per questo periodo dell’anno, tre volte tanto rispetto al 2017.
Salgado ha vissuto, documentato e fotografato per sette anni la foresta amazzonica: si è immerso in questo straordinario paesaggio per ascoltare i suoni della foresta, il canto degli uccelli, il fragore dei fiumi, per ammirare le montagne e i grandi alberi che formano l’immensa foresta pluviale e per venire a contatto con le popolazioni indigene che la vivono e con la quale hanno stabilito da tempi lontani un rapporto viscerale e indissolubile con essa. È del 2021 il suo grande progetto fotografico Amazônia, attraverso il quale Salgado vuole offrire “una testimonianza di ciò che resta di questo patrimonio immenso, che rischia di scomparire”. Un patrimonio che comprende sia la sua rigogliosa vegetazione ricca di biodiversità sia le popolazioni native. Attraverso il suo progetto, il fotografo vuole porre in evidenza la bellezza di questa natura e dei suoi abitanti, ma soprattutto intende far riflettere l’osservatore sulla sua fragilità e dunque sulla necessità di proteggerla. Con le parole dello stesso fotografo: “Affinché la vita e la natura possano sottrarsi a ulteriori episodi di distruzione e depredazione, spetta a ogni singolo essere umano del pianeta prendere parte alla sua tutela”.
Il progetto Amazônia è ora in mostra fino al 19 novembre 2023 a Milano, alla Fabbrica del Vapore, promossa e prodotta da Comune di Milano|Cultura, Fabbrica del Vapore e Contrasto con Civita Mostre e Musei e General Service Security, con la curatela della compagna di lavoro e di vita del fotografo Lélia Wanick Salgado, in occasione della quale quest’ultima ha pensato a una vera immersione nella foresta attraverso oltre duecento fotografie che raffigurano la vegetazione, i fiumi, le montagne, le persone che popolano l’Amazzonia brasiliana per “sottolineare la bellezza di questa natura e dei suoi abitanti, nonché la sua dimensione ecologica e umana, tutti elementi che oggi sono così minacciati e che è fondamentale proteggere e preservare”.
Il grande tema ambientale e paesaggistico è affrontato nelle fotografie di Salgado sotto diversi aspetti, dalle vedute aeree della foresta ai fiumi volanti, alle piogge torrenziali, alle montagne, alle Isole nella Corrente. L’unico modo per poter rendersi conto delle reali dimensioni della foresta è osservarla dall’alto, da un aereo o da un elicottero: ciò che si vedrà al di sotto di noi è un vasto manto verde attraversato dai fiumi che descrivono all’interno della foresta linee curve e sinuose. Lo si vede ad esempio nello scatto che raffigura l’Arcipelago fluviale di Mariuá, dove la foresta pare creare una linea con il cielo rigonfio di nuvole. Durante la stagione delle piogge i fiumi esondano dai loro argini, dando vita talvolta a laghi e lagune. È raro vedere i cieli che sovrastano la foresta come un’incontaminata distesa azzurra: le nubi offrono sempre uno spettacolo diverso. Sono parte integrante dell’Amazzonia, siano esse piccole o grandi, benevole o minacciose. Anche nella foresta, dove la vegetazione può ostruirne la vista, sono sempre presenti ed è improbabile che la giornata finisca senza precipitazioni intense. Oppure sovrastano il Rio Negro, filtrando la luce che si riflette sulla superficie dell’acqua.
Tra i fenomeni più straordinari e probabilmente meno conosciuti della foresta pluviale dell’Amazzonia sono i cosiddetti fiumi volanti. Fiumi aerei carichi di umidità che si formano sulla foresta amazzonica: questo infatti è l’unico luogo al mondo in cui il sistema di umidità dell’aria non dipende dall’evaporazione dagli oceani. Ogni albero disperde centinaia di litri d’acqua al giorno, creando fiumi aerei anche più grandi del Rio delle Amazzoni. Gli scienziati hanno stimato che se ogni giorno dal Rio delle Amazzoni venissero riversate nell’oceano 17 miliardi di tonnellate d’acqua, nello stesso tempo dalla giungla se ne innalzerebbero verso l’atmosfera 20 miliardi. I fiumi volanti influenzano i modelli climatici dell’intero pianeta e, a loro volta, subiscono gli effetti della deforestazione e del surriscaldamento globale. Gli scienziati affermano che, a causa di un accelerato processo di deforestazione e dei cambiamenti climatici in atto, la temperatura del bacino al livello del suolo si sia già innalzata di 1,5°C e si stima crescerà di ulteriori 2°C se il trend attuale non subisce variazioni. Come conseguenza del riscaldamento globale, si teme una riduzione delle precipitazioni annue compresa tra il 10% e il 20%.
Dai bassopiani si innalzano vette altissime: la montagna più alta del Brasile è il Pico da Neblina che supera i 3000 metri d’altezza. La foresta pluviale ricopre le pendici più basse con una vegetazione che si dirada sempre più fino a essere interrotta dalle pareti rocciose. Una formazione geologica abbastanza peculiare è il Monte Roraima: si tratta di una montagna dalla cima piatta che raggiunge 2800 metri che ospita specie vegetali e animali endemiche.
Nella foresta amazzonica vi è poi il più grande arcipelago d’acqua dolce al mondo, l’arcipelago di Anavilhanas, caratterizzato da isole di diverse forme che emergono dalle acque del Rio Negro. Le isole maggiori sono ricoperte da una fitta vegetazione tropicale, mentre le più piccole e basse possono scomparire temporaneamente o anche in modo permanente quando nella stagione delle piogge il livello delle acque si alza di oltre venti metri. La vista dall’alto è veramente sorprendente.
I fiumi danno alle popolazioni indigene alimenti ad alto contenuto proteico essenziali per la loro alimentazione. Le tribù hanno imparato a mantenersi a una distanza di sicurezza dalle golene naturali che, nella stagione delle piogge, vengono invase dai corsi d’acqua fino a inondarle. All’interno della foresta amazzonica vivono infatti varie popolazioni indigene con cui Sebastião Salgado ha avuto la possibilità di entrare in contatto nei suoi viaggi. Nei suoi scatti ha immortalato dodici gruppi indigeni: Awa-Guajá, Marubo, Korubo, Waurá, Kamayurá, Kuikuro, Suruwahá, Asháninka, Yawanawá, Yanomami, Macuxi and Zo’é. Il fotografo ha realizzato ritratti di uomini e donne indigeni, tra cui uno sciamano che dialoga con gli spiriti prima della salita al monte Pico de Neblina, giovani donne con tipici ornamenti e famiglie intere di indigeni. Negli ultimi dieci anni della sua attività, Salgado ha lavorato tra le tribù amazzoniche ed essendo venuto a conoscenza della loro realtà ha ribadito che queste comunità hanno sofferto a causa degli incendi che hanno devastato le foreste e sono in serio pericolo per l’invasione dei minatori, dei taglialegna e degli allevatori di bestiame nei territori riservati all’uso esclusivo degli indigeni. “Queste popolazioni indigene fanno parte della straordinaria storia della nostra specie”, ha sottolineato Salgado. “La loro scomparsa sarebbe una tragedia estrema per il Brasile e una perdita immensa per l’umanità”.
Per Sebastião Salgado tutte queste immagini realizzate nell’arco di anni testimoniano ciò che sopravvive prima di un’ulteriore progressiva scomparsa. “Il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che possiedo, è che tra cinquant’anni questa mostra”, riferendosi al progetto Amazônia, “non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto. L’Amazzonia deve continuare a vivere e avere sempre nel suo cuore i suoi abitanti indigeni”, ha concluso.
Tutte le foto © Sebastião Salgado/Contrasto
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