Chi lo ha detto che per comprare arte si debbano per forza spendere fortune? Anche nelle fiere più blasonate è possibile trovare opere di giovani interessanti, e che non costano cifre elevatissime. Magari non diventeranno artisti che rivoluzioneranno la storia dell’arte, ma si tratta comunque di nomi che sono già stati presentati su palcoscenici internazionali, hanno dei buoni curricula, e si propongono con opere avvincenti. Ne abbiamo scelti dieci, tutti presenti in fiera con opere che vanno all’incirca dai 2.000 agli 8.000 euro per i piccoli e medi formati (ma alcuni degli artisti di seguito vendono anche a meno). Ecco quali sono.
L’artista tedesco David Moses ha studiato come trascrivere sui suoi dipinti il movimento e il tempo, spesso utilizzando materiale cinematografico come punto di parenza. Dal 2017 la sua pratica fa uso di fermo-immagini tratte dalla serie Sinfonie allegre (1929-1939) di Walt Disney, che costituiscono la base dei suoi dipinti. Secondo Moses, questi film sono l’esempio che meglio spiega il cambiamento della percezione dall’evoluzione dei mass media fino a oggi: sono spesso basati su miti classici che illustrano antiche problematiche etiche. L’attenzione di Moses si concentra su figure, azioni e mimica più che sul contenuto, con una pittura in cui la figurazione verso una forma d’astrazione che fa uso di disegno, frammentazione, sovrapposizione. L’interesse di Moses si concentra sui movimenti: strati di disegni in pastelli sono seguiti da strati di acrilici che favoriscono il processo di dissezione delle immagini, e a loro volta compongono strati che fanno da base per nuovi livelli. L’idea di Moses è che attraverso questo mezzo si comunichi velocità, potenza visiva e stravaganze dei film di Walt Disney dietro una “tenda” astratta.
Il lavoro di Isabel Simões utilizza diversi mezzi, dalla pittura alla scultura passando per il disegno, e parte da spazi e oggetti quotidiani che diventano pretesti per prendere in esame il tema della percezione e della relazione con il visibile come campo d’azione intuitivo. Ad Artissima, l’artista portoghese presenta alcune opere della serie Vistas para o avesso do mar, che analizza le diverse possibilità d’interpretazione che un’immagine offre. Attraverso la pittura, ma anche tramite il disegno, Isabel Simões cerca di espandere le possibili letture e i possibili significati di un oggetto. In questo caso il punto di partenza è il mare, visto come elemento riconoscibile e significativo, capace di offrire diversi livelli d’interpretazione a seconda della relazione che l’osservatore instaura con il mare. I dipinti della serie, installati a diverse altezze, riflettono il collegamento tra l’osservatore e la superficie del mare e propongono una sorta di “immersione” nell’acqua. Luce e colore trasformano la forma, la densità, la trasparenze dell’acqua e donano espressività al mare, lo rendono riconoscibile ma al contempo lo rimuovono da forme di categorizzazione immediate.
I lavori più recenti della spagnola Vicky Uslé riflettono la solitudine in cui ha scelto di vivere, nella regione della Cantabria, dov’è nata: la contemplazione e l’ammirazione del suo giardino e dei fenomeni naturali ispirano dunque la sua opera. Nel lavoro di Uslé la rappresentazione della natura e del giardino non è meramente illustrativa, ma piuttosto è una trasposizione di un momento di percezione, di ciò che si vede, dell’esperienza fisica che si genera e delle connotazioni sociali e collettive esistenti intrinseche al soggetto. Uslé vuole invitarci a domandarci quale parte del giardino stiamo guardando, a concentrarci sulle sensazioni che l’osservazione della natura ci trasmette. I suoi lavori recenti fanno dunque uso di un impasto di linee e forme luminose esaltate dai fondi cupi che intendono rievocare le immagini percepite dalla retina, diventando così quasi “scene astratte di contemplazioni meditative della natura” (Lydia Korndörfer).
Presentata da Studio G7 nella sezione Disegni, Giulia Dall’Olio espone alcuni disegni dedicati al tema della natura e al suo rapporto con l’essere umano: si tratta di opere che, sebbene appaiano molto precise, non partono da fotografie, ma da ricordi personali che l’artista rielabora. “Chi guarda i suoi disegni”, scrive Irina Zucca Alessandrelli nel testo che accompagna l’esposizione, “è portato a perdersi nel segno tra luci e ombre. Dall’Olio interviene infatti su una base scura a carboncino con cancellature cliniche realizzate con le più diverse tipologie di gomme, più o meno morbide e che l’artista scolpisce a seconda del tipo di natura che vuole restituire. Il suo lavoro cerca di rendere idealmente frammenti di natura che l’uomo nel suo costante intervento sull’ambiente ha letteralmente cancellato”. Il foglio è per Giulia Dall’Olio una materia viva da cui “porta via delle parti, strappandole in modo pulito, quasi fossero cesellate. La parte sottratta diventa un nuovo lavoro che non potrà mai più essere ricomposto nell’unicità da cui è stato escluso per sempre. Questi frammenti salvati di natura a carboncino lottano con il pastello colorato e con l’acrilico che rappresentano l’intervento umano, quasi alla ricerca di un equilibrio sperato e irraggiungibile”.
La sudafricana Mia Chaplin è pittrice e scultrice: la galleria whatiftheworld le dedica uno stand monografico, dove sono esposti dipinti e ceramiche. Queste ultime si rifanno a vasi e urne classiche: l’artista crea a mano telai che ricopre di tessuto, carta e gesso, e poi rifinisce con strati di pittura a olio. I soggetti fanno riferimento al mondo femminile e alla sua sensualità, “tutto avvolto da uno spirito fortemente femminista”, si legge nel testo di presentazione. Le sculture ricordano donne incinte, e le tonalità e la densità degli strati pittorici mira a evocare la consistenza e le tonalità della pelle. Nei dipinti presentati ad Artissima vediamo corpi intrecciati che si rifanno alle odalische ottocentesche e alle Veneri del rinascimento: l’obiettivo di Mia Chaplin è quello di appropriarsi “dei differenti stili di queste epoche classiche per ritrarre soggetti femminili non convenzionali, sovrapponendoli ad ambienti e paesaggi lussureggianti”. Per Chaplin, inoltre, la pittura è un “processo di fermentazione”: malgrado l’aspetto familiare e apparentemente sereno dei suoi dipinti, l’artista mira a provocare sentimenti contrastanti in chi osserva, generando uno stato di trasformazione all’interno del processo di osservazione.
Artista emergente, la napoletana Teresa Gargiulo è salita alla ribalta in occasione del premio JaguArt 2020, organizzato da Artissima e Jaguar Land Rover, giungendo tra i finalisti che le ha fatto vincere una mostra-premio presso la galleria Tiziana Di Caro, che ha poi deciso di continuare a lavorare con la giovane. Il suo lavoro tocca l’intimità e il privato e fa uso abbondante della parola: “La mia ricerca”, afferma Gargiulo, “considera il linguaggio e il potere evocativo della parola quali punti di partenza per indagare il reale che mi circonda. La realtà viene studiata attraverso la lente del mio quotidiano e del mio personale, elementi poi sublimati a universalità, pretesti per narrare l’identità e i suoi cambiamenti nello spazio e nel tempo. Osservare, analizzare, decontestualizzare, arrivare alla struttura minima delle cose, sono elementi mia pratica che si sviluppa prevalentemente attraverso la scrittura, il disegno, la documentazione fotografica e la scultura, a volte operando interventi minimi sulla materia data, a volte operando accostamenti inusuali da cui si origina una forma nuova”.
Attivo tra Atene e Amsterdam, Vasilis Papageorgiou, portato ad Artissima dalla piacentina Una Galleria, presenta a Torino la sua produzione più recente: opere in ceramica e acciaio che si ispirano al tramonto, il momento della giornata in cui, liberi da incombenze lavorative, si aspetta la sera. Lo sguardo di Papageorgiou parte da un interno domestico e si espande fuori dalla finestra, focalizzandosi su questi attimi di tempo libero e distrazione dove non c’è obbligo di pensare o agire. Papageorgiou ricrea le sfumature del tramonto con la creta, materiale naturale e terroso, evocando l’immagine di un pianeta con il suolo crepato o pigre serate trascorse a pensare. I titoli di questi lavori (per esempio 20:11 o 19:53) indicano l’ora del tramonto del giorno in cui le opere sono state terminate. Più in generale, la pratica di Papageorgiou setaccia la quotidianità alla ricerca delle fratture e dei momenti di pausa all’interno dei quali possono emergere nuovi scenari e possibilità: per l’artista greco è una sorta di forma di resistenza allo status quo, a una scansione tradizionale del tempo, strettamente diviso tra tempo del lavoro e tempo libero, tra attività produttiva e pausa improduttiva. Quello che Papageorgiou vuol far emergere è il valore del tempo, dei materiali, dell’arte.
L’artista georgiana Keto Logua si è formata tra il paese natale e la Germania, dove lavora: il suo lavoro parte dall’indagine scientifica dei fenomeni naturali, che diventa base per le sue sculture i suoi film. “Utilizzando le scoperte scientifiche”, scrivono Saim Demircan e Maurin Dietrich nel testo critico, “Logua realizza oggetti applicando procedure tecnologiche e artistiche a forme del passato: per esempio, stampando in 3D un fiore primordiale o realizzando il calco in metallo della spina dorsale di uno stegosauro”. Una “traduzione materiale”, come l’ha definita l’artista stessa, che diventa “emblematica della sua ricerca nella quale coinvolge spesso scienziati, studiosi e botanici, oltre ad architetti e illustratori, che l’aiutano a trovare il linguaggio per visualizzare le proprie opere”. Una ricerca che, per ammissione stessa di Keto Logua, serba tracce infantili, quelle del bambino che continua a interrogarsi sulla scala delle cose, dalla vastità dell’universo alla bellezza del mondo di cui facciamo parte.
La tedesca Kristin Wenzel viene presentata dalla galleria rumena Suprainfinit con alcuni lavori in ceramica. La ricerca recente di Kristin Wenzel affronta il tema dello spazio pubblico, immaginando strutture e modi alternativi di affrontarlo (che spesso conia come proposte o modelli). Con installazioni, sculture e interventi, Wenzel affronta le implicazioni dell’architettura pubblica sia come “schiuma di memoria” (inscritta nella sua storia particolare), sia come struttura aperta che permette di allontanarsi dal suo progetto originale. Le ceramiche esposte ad Artissima, presentate nel 2021 alla mostra Lovers in the night al Goethe-Institut di Bucarest, vedono la natura come luogo di nostalgia e desiderio: i suoi fiori trasmettono un’ideale di “femminilità floreale”, come ha scritto il critico Frank Motz, che si mimetizza, inganna e trasforma, esattamente come fanno le orchidee a cui queste composizioni si ispirano. Un mondo di immagini che risveglia gioie e aspettative ma che sa anche essere fonte di delusioni.
Pittura, collage ma anche modelli architettonici sono i mezzi che l’argentina Victoria Colmegna è solita usare nella sua pratica. Il suo lavoro, ricordano Saim Demircan e Maurin Dietrich, “esplora gli stili e le dinamiche comunitarie che definiscono gruppi e sottoculture. Per esempio, i suoi ultimi dipinti e objets trouvés scultorei si basano sul libro di Emma Cline, Le ragazze, la cui protagonista è un’adolescente californiana che negli anni Sessanta entra in una setta stile Famiglia Manson. L’artista reimmagina il look e l’atmosfera dell’epoca attraverso gli occhi di un personaggio fittizio. In tutta la sua pratica, l’arte è usata per essere copiata o prodotta dai fan ed è spesso trattata come una forma malleabile che si adatta all’umore dell’artista”.