L’International Council of Museums (ICOM), l’organismo che rappresenta i musei a livello internazionale, ha pubblicato alcuni giorni fa un rapporto sull’andamento dei musei durante la pandemia di Covid-19 da coronavirus: l’indagine, condotta tra il 7 aprile e il 7 maggio e pubblicata il 26 maggio, ha coperto cinque temi (la situazione attuale, l’impatto economico atteso, il digitale, la sicurezza, i professionisti esterni) e ha ricevuto quasi 1.600 risposte da musei e professionisti di 107 paesi in 5 continenti. I dati, sottolinea l’ICOM, non sono rappresentativi di tutti i musei, ma le risposte sono comunque utili per conoscere il clima in cui i musei stanno lavorando (un “clima d’incertezza”, scrive l’ICOM nel rapporto, “che necessita una risposta, da parte dei governi, per assicurare il futuro dei musei e del patrimonio inestimabile che accolgono”).
Per quanto riguarda la situazione dei musei, è emerso che il 94,7% degli istituti sono rimasti chiusi nel periodo oggetto della ricerca (l’Europa e l’Oceania sono i continenti con le maggiori chiusure, avendo toccato una punta del 97,1%, mentre l’Africa è quello dove sono stati chiusi meno, con l’85,3%). In tutto il mondo, l’84% del personale dei musei ha lavorato in regime di smart working, ma alcuni si sono anche recati fisicamente al museo (il 33% del totale: la somma supera il 100% perché si trattava di un quesito a risposta multipla): per il 16% dei lavoratori ci sono state le ferie obbligatorie, congedo temporaneo per il 14% e licenziamento o mancato rinnovo del contratto per il 6%.
Sul tema dell’impatto economico, l’82,6% dei musei nel mondo ipotizza di ridurre i programmi, il 29,8% di tagliare sul personale, il 40,4% di perdere fondi pubblici, il 42,5% di perdere fondi privati, e addirittura il 12,8% ritiene serio il rischio di dover chiudere il museo in maniera permanente (a cui si aggiunge comunque una altrettanto preoccupante percentuale del 19,2% che non sa se la situazione porterà o meno alla chiusura). I timori di chiusura permanente sono meno diffusi in Europa (8%), in Nord America (10%), in Asia (10%) e in Sud America (12%) ma raggiungono vette del 24% in Africa, del 39% nei paesi arabi, del 27% in Oceania.
Quanto al digitale, il 55,7% dei musei si è dedicato alle attività online, ma non full-time, mentre c’è stata attività sul web a tempo pieno per il 26,1% dei musei, e non hanno invece fatto attività digitali i restanti 18,3%. Il 47,49% ha aumentato le attività sui social, il 13,36% ha aumentato le newsletter, il 17,97% le attività sulle collezioni online, il 16,16% le mostre virtuali, il 18,80% gli eventi dal vivo, il 10,39% i podcast e il 19,21% i quiz o i contest. La maggioranza invece non ha aumentato di molto le attività: anche se soltanto il 7,67% ha evitato di concentrarsi sui social, non hanno incrementato l’attività sulle collezioni online il 33,31% dei musei, sulle mostre virtuali il 49,46%, sugli eventi live il 56,47%, sulle newsletter il 31,66%, sui podcast il 68,26% e sui contest il 55,15%.
Per ciò che concerne le attività di conservazione, 7 musei su 10 hanno svolto i normali controlli sulle aree aperte al pubblico, sui depositi e sui sistemi di prevenzione del crimine, mentre il 10% le ha aumentate. C’è però anche un 11% di musei che ritiene che le misure usuali fossero insufficienti o che non siano state prese sufficienti misure ulteriori per fronteggiare i rischi sulla manutenzione.
Infine, per quanto riguarda la situazione dei professionisti esterni, il 60,2% di loro ha lavorato da casa, il 7,3% in situ, al 6,6% sono state date le ferie obbligatorie, il 16,1% ha avuto un congedo temporaneo e il 22,6% non si è visto rinnovare il contratto o è stato licenziato. Il 54,5% dei consulenti esterni ha descritto il Covid-19 come una minaccia per il proprio futuro (percentuale che scende al 12,8% per chi non lo ritiene tale, mentre il 32,8% non sa dare una risposta). Il 56,4% dei professionisti teme ripercussioni sul proprio compenso, mentre solo l’8,6% teme di dover chiudere l’attività (il 50,4% non lo ritiene un pericolo, mentre il 41% non sa rispondere).
“L’ICOM”, conclude la nota di presentazione del report, “invita i decisori politici ad allocare importanti fondi per assistere i musei e i loro professionisti, in modo che possano sopravvivere alla crisi e continuare la loro vitale missione di servizio pubblico. Il risanamento delle nostre economie e la cura delle nostre società dopo la crisi del Covid-19 saranno processi lunghi e complessi. I musei, come protagonisti di primo piano nello sviluppo locale e in quanto impareggiabili luoghi che consentono alle persone d’incontrarsi e di imparare, avranno un ruolo importante nel ricostruire l’economia locale e nel riparare il tessuto sociale delle comunità colpite”.
Il Covid-19 potrebbe far chiudere il 12% dei musei del mondo. I risultati del rapporto ICOM |