Il Papiro di Artemidoro, ovvero il papiro che si pensava fosse un originale del I secolo a.C. e si voleva attribuire al geografo Artemidoro di Efeso, è in realtà un falso ottocentesco: è questo l’esito finale dell’inchiesta della Procura di Torino, reso noto dal procuratore Armando Spataro pochi giorni prima del suo pensionamento (si trattava di un’inchiesta che durava da anni, per l’esattezza dal 2013, e alla quale era particolarmente legato). Nell’ambito dell’inchiesta, il papiro è stato analizzato da esperti che si sono concentrati sui materiali accertando che si tratta di un manufatto successivo al I secolo a.C.: probabilmente è un falso ottocentesco attribuibile al falsario Kostantinos Simonidis (Simi, 1820 - Alessandria, 1890?), celebre per la sua abilità nel contraffare documenti dell’antica Grecia.
In particolare, dalle analisi dei tecnici è emerso che gli inchiostri utilizzati per tracciare il testo sono molto differenti da quelli usati nell’antichità, e si ipotizza inoltre che il papiro sia stato posizionato sopra una rete metallica zincata al fine di sottoporlo all’azione degli acidi (trattamento che avrebbe lasciato tracce di zinco sul papiro).
“La certezza del falso”, ha dichiarato Spataro, “è abbondantemente provata, quanto meno sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. È stato ritenuto inutile, quindi, disporre una consulenza tecnica, tanto più che i costi di questa non potrebbero essere giustificati, considerata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione”. Il documento era stato acquistato nel 2004 dalla Compagnia di San Paolo per la somma di 2 milioni e 750 mila euro: per i magistrati si è trattato di truffa, reato per il quale era indagato il mercante Serop Simonian (che ha venduto il documento alla Compagnia di San Paolo) e che tuttavia, a quattordici anni di distanza dai fatti, non sarà punito in quanto sono passati i termini della prescrizione.
L’inchiesta era partita nel 2013 da un esposto del noto studioso Luciano Canfora, filologo classico e storico, che da tempo sospettava della falsità del manufatto (a favore invece si era schierato un altro importante studioso, Salvatore Settis, archeologo quasi coetaneo di Canfora e, come quest’ultimo, normalista), tanto da pubblicare anche un libro sul tema. Il papiro avrebbe dovuto essere esposto nel 2012 al Museo Egizio di Torino, che tuttavia lo tenne “nascosto” per diverso tempo proprio a causa dei dubbi sull’autenticità, e venne infine esposto con un avviso che informava il pubblico che sull’opera, appunto, pendevano dubbi molto pesanti.
Canfora si era basato su elementi storici: secondo il filologo, la lingua usata nel testo attribuito ad Artemidoro era lontana da quella usata nel tempo, e nel testo sarebbero state presenti alcuni elementi che un geografo greco del I secolo a.C. non poteva conoscere in quanto più moderni. È stato lo stesso Canfora ad avanzare il nome di Simonidis (sul quale tuttavia non c’è alcuna certezza). La querelle andava avanti da molti anni, ha coinvolto diversi studiosi ed è spesso uscita dai confini delle pubblicazioni scientifiche, dal momento che diverse testate giornalistiche sono intervenute nell’ambito del dibattito con articoli schierati pro o contro l’autenticità del papiro, firmati da molti dei protagonisti della contesa.
“Il reato è prescritto”, ha commentato su Repubblica la bizantinista Silvia Ronchey, “ma resta il riscatto degli studiosi e dei funzionari coraggiosi che denunciarono”. E aggiunge: “la più che decennale battaglia di Luciano Canfora per dimostrare la falsità del cosiddetto papiro di Artemidoro era diventata, per chi ne conosceva i termini evidenti e i meno palesi retroscena, un gigantesco simbolo. Tale ormai resterà nella storia degli studi, e non solo: in quella della cultura, e anche, forse, della politica; ammesso che tra le due cose, impegno politico e impegno culturale, si possa fare distinzione”.
Falso il Papiro di Artemidoro: finisce dopo cinque anni l'inchiesta della Procura di Torino |