Una scoperta straordinaria all’Archivio di Stato della Spezia? Così nelle scorse ore, domenica 8 dicembre, hanno titolato diversi quotidiani riferendosi al presunto rinvenimento di documenti riguardanti Dante Alighieri nell’archivio spezzino. Una notizia eccezionale? Macché: un clamoroso abbaglio! I documenti di cui sono state pubblicate le fotografie sono infatti arcinoti, sono stati oggetto di studi, pubblicazioni, approfondimenti e addirittura mostre.
Secondo quanto uscito sulla stampa si tratterebbe, come si legge sull’Ansa che cita il sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini, di “due pagine della prima edizione della Divina Commedia”, che sarebbero state “trovate durante i lavori di trasferimento dell’Archivio di Stato della Spezia”, e dell’“originale della Pax Dantis”. Addirittura, su alcuni giornali si è parlato delle “pagine originali della Divina Commedia”, con un’enfasi che può portare i lettori a equivocare ulteriormente e a ritenere che siano stati trovati sulle rive del Golfo dei Poeti niente meno che i fogli vergati dalla mano dello stesso Dante. In tal caso si tratterebbe davvero di una scoperta straordinaria, ma purtroppo così non è. E lo stesso dicasi per i documenti sulla pace di Castelnuovo (o “pace di Dante”) firmata il 6 ottobre del 1306 a Castelnuovo Magra tra i Malaspina, rappresentati da Dante Alighieri (che dunque vestì in quell’occasione i panni da diplomatico), e i vescovi di Luni al termine di una guerra che li aveva visti contrapposti. Vediamo allora come stanno le cose.
Le “due pagine della prima edizione della Divina Commedia” in realtà non sono né pagine, né edizioni: entrambi i termini sono stati infatti adoperati in maniera impropria. Si tratta di una pergamena trecentesca: all’epoca la stampa non era ancora stata inventata, dunque non si può parlare di “edizione”, dal momento che il termine designa, appunto, una pubblicazione a stampa, mentre le “pagine” sono quelle che compongono un volume stampato: i fogli di cui sono state diffuse le foto sono invece dei manoscritti. Nello specifico, si tratta di un frammento di un codice della Commedia (con la fine del canto XXVI del Purgatorio, l’incipit del XXVII e i versi 1-78 del XXVII), utilizzato poi in seguito come fascia a un protocollo del notaio Tommaso De Tomei, rogante nel borgo di Nicola, nei pressi di Luni, tra il 1542 e il 1584.
Il frammento fu reso noto per la prima volta addirittura nel 1890 da Umberto Marchesini: all’epoca si trovava conservato nell’archivio notarile di Sarzana. A partire da quella data, nella letteratura specialistica esistono diverse menzioni del frammento spezzino, che è stato ricondotto anche alla famiglia dei Danti del Cento del quale il lacerto dell’Archivio di Stato della Spezia sembra avere le caratteristiche codicologiche, secondo alcuni studiosi (i “Danti del Cento” sono un gruppo di codici della Commedia prodotti nella Firenze del Trecento: in passato si pensava fossero opera di un solo copista, mentre più di recente si è fatta strada l’ipotesi che si tratti del prodotto di un’officina). L’immagine della pergamena presentata in queste ore come una “straordinaria scoperta” è da più di un anno pubblicata sulla pagina dell’Archivio di Stato della Spezia nel sito del Ministero della Cultura.
Quanto invece all’“originale della Pax Dantis”, ovvero i documenti riguardanti la pace di Castelnuovo, si tratta anche in questo caso di documenti stranoti, studiatissimi, oggetto di una sterminata letteratura specialistica, e addirittura esposti in mostra alcune volte. L’ultima mostra in cui il pubblico ha potuto vederli si è tenuta nel 2021: la mostra si intitolava Dante “nuncius specialis”, e la notizia è ancora pubblicata sul sito dell’Archivio di Stato della Spezia (da cui si può anche scaricare un pdf con un volantino che contiene le riproduzioni dei fogli).
Come è spiegato in un focus online redatto proprio dall’archivio spezzino, i fogli sulla pace di Castelnuovo sono sette unità archivistiche (le più antiche dell’istituto, peraltro), che fanno parte di un cartulario (un registro notarile) del 1306 del notaio Giovanni Parente di Stupio, rogante in Sarzana. Le carte, come si legge nell’approfondimento, mettono in luce “fatti e personaggi importanti di un periodo storico in cui era in corso sul territorio di Sarzana una disputa tra potentati, quello feudale e quello ecclesiastico, con un inevitabile scontro d’interessi sia sul piano economico che su quello politico. Le Carte in questione, inoltre, provano la presenza di Dante Alighieri, poiché nel suo esilio il sommo poeta in Lunigiana e Val di Magra venne ospitato dalla famiglia dei Malaspina, detta del Ramo Secco”. La prima delle carte, in particolare, contiene il mandatum, ovvero la procura conferita da Franceschino Malaspina di Mulazzo a Dante Alighieri, che il 6 ottobre del 1306 ricevette per mano del notaio Giovanni Parente di Stupio in piazza della Calcandola a Sarzana (oggi piazza Matteotti). Nella seconda, nella terza e nella quarta carta è invece contenuto il cosiddetto Instrumentum pacis, il testo che descrive la pace tra i Malaspina e il vescovo di Luni. Le altre carte contengono invece atti che risolvevano pendenze ancora in corso tra i due schieramenti.
Le carte, come dichiarava l’Archivio di Stato in occasione della mostra del 2021, sono “di eccezionale valore storico, paleografico e diplomatico” e “documentano il ruolo di Dante come diplomatico al servizio dei marchesi Malaspina nel dirimere le controversie patrimoniali e legali fra i Malaspina e il Vescovo-conte di Luni, Antonio di Nuvolone da Camilla dei Fieschi”. Sono state peraltro recentemente restaurate.
Da dove nasce allora l’incredibile equivoco? Sabato 7 dicembre, il sindaco della Spezia, Pierluigi Peracchini, ha pubblicato un post, allegando le immagini dei documenti arcinoti, con questo testo: “Un tesoro unico al mondo di Dante Alighieri alla Spezia! Nell’Archivio di Stato della Spezia abbiamo un patrimonio di inestimabile valore del poeta: l’originale della Pax Dantis, che nel 1306 concluse la guerra tra i Malaspina e i Vescovi di Luni, e pagine autentiche di canti del Purgatorio e del Paradiso della prima edizione della Divina Commedia. Ringrazio la direttrice Rosetta Ferrara per l’invito a visitare l’Archivio di Stato e collaboreremo per esporre al pubblico questi documenti prossimamente!”. In effetti, nel post del primo cittadino non c’è alcun riferimento a eventuali scoperte o rinvenimenti. Letto così, è semplicemente la constatazione di una presenza rilevante nell’archivio spezzino.
Tuttavia, l’Ansa riporta in un virgolettato del sindaco altre parole meno interpretabili: “è un fatto straordinario, la scoperta di un tesoro di valore inestimabile. Ora intendiamo individuare presto un percorso con il Ministero della Cultura per un’esposizione”. Insomma, non si comprende perché questi documenti con cui gli studiosi hanno confidenza da decenni e che sono stati anche presentati al pubblico, nelle ultime ore si sono... tramutati in reperti appena ritrovati.
Due studiose hanno già fatto sentire la loro voce sui social, in mezzo all’onda dell’entusiasmo immotivato. La prima a intervenire è stata la storica Enrica Salvatori, docente di Storia Medievale all’Università di Pisa, con un post sul suo profilo Facebook, ribadendo che le carte sono note da tempo. Quello che si è prodotto in queste ore, ha aggiunto poi Salvatori nei commenti, è “un cumulo di errori”. “La cosiddetta pace di Dante (ignoro perché usino il latino) è composta da una serie di documenti diversi, minute notarili, conservate nell’unico fascicolo conservatosi di un registro notarile perduto”, scrive la studiosa. “Sono documenti in cui Dante Alighieri agì come procuratore dei Malaspina. Non ci sono solo quei documenti, ma certamente quelli sono i più noti e MOLTO studiati”. Le carte pergamenacee della Commedia sono “pregevoli esemplari di ‘Danti del Cento’, o gruppo del C., una sezione assai ricca di codici della Commedia, ritenuta dapprima opera di un solo copista, Francesco di Ser Nardo, ma che studi recenti hanno potuto assegnare a un’officina scrittoria di Firenze”.
Le carte della pace di Castelnuovo, scrive direttamente sotto il post del sindaco l’esperta Eliana Vecchi, specializzata in archeologia medievale, archivistica, paleografia e diplomatica, e autrice di numerose pubblicazioni sulla storia antica della Lunigiana, sono diventate “un documento-monumento nel 1906, dopo le cerimonie dell’anniversario e una successiva pubblicazione curata da Giovanni Sforza”. Dopodiché sono state “ristudiate approfonditamente nel 2006, con l’ uscita di un importante volume del Giornale Storico della Lunigiana, edito insieme con l’ Archivio di Stato della Spezia, che custodisce i ‘cimeli danteschi’, come furono chiamati. Sono state infine riedite recentemente nel Codice Diplomatico Dantesco. Moltissime le esposizioni delle tabulae, che sono state poste, a seguito di restauro, dal 2005 in più adeguate e sicure teche, commissionate appositamente dall’ Archivio di stato”. Anche “il bifoglio e foglio pergamenacei, provenienti da un codice smembrato della Divina Commedia ed utilizzati posteriormente come coperta di un cartulario, erano già stati editi nel 1890 e Giosuè Carducci venne a vederli presso l’Archivio notarile sarzanese ove allora erano conservati”.