La serie televisiva Leonardo, dedicata alle avventure (è il caso di dirlo, perché la storia è inventata) di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519), interpretato dall’attore irlandese Aidan Turner, ha ricevuto un’accoglienza tra luci e ombre, benché siano più le ombre che le luci (i dettagli inverosimili per una storia ambientata a fine Quattrocento, i dialoghi spesso banali, la trama soprattutto all’inizio molto lenta e pertanto faticosa da seguire: sono aspetti di cui abbiamo ampiamente parlato su queste pagine). Una parte del pubblico ha però apprezzato l’interpretazione della giovane attrice bolognese Matilda De Angelis, che nella fiction interpreta Caterina da Cremona, la donna attorno alla quale ruota tutta la vicenda. Nella finzione, Caterina da Cremona è un’amica di Leonardo da Vinci che viene trovata uccisa, e l’artista è tra i sospettati: interrogato da un ufficiale del ducato di Milano, Stefano Giraldi (personaggio d’invenzione interpretato da Freddie Highmore), Leonardo comincia a raccontare la storia della sua vita, fin dal primo incontro con Caterina avvenuto nella bottega di Andrea del Verrocchio.
La domanda che tutti gli spettatori dello sceneggiato si saranno fatti almeno una volta è: Caterina da Cremona è esistita davvero? La risposta semplice è: no, Caterina da Cremona è un personaggio d’invenzione. Ma in realtà la creazione di questo personaggio ruota attorno a un nome vero e attestato in una fonte (seppur non primaria), quello di una certa “Cremona”, figura totalmente ignota agli studi leonardiani fino al 1982, quando furono pubblicati gli Scritti sulle arti di Giuseppe Bossi (Busto Arsizio, 1777 - Milano, 1815), importante pittore neoclassico, segretario dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1801 al 1807, e grande cultore di Leonardo da Vinci. L’edizione delle carte di Bossi fu curata da Roberto Paolo Ciardi, che pubblicò molto materiale inedito, e tra gli scritti inediti figurava un appunto in cui Bossi scriveva: “Che Leonardo [...] amasse i piaceri, lo prova una sua nota riguardante una cortigiana chiamata Cremona, nota comunicatami da persona autorevole. Né sarebbe stato possibile, ch’egli a fondo avesse conosciuto gl’uomini, e l’umana natura, per rappresentarla senza, col lungo praticarla, tingersi alquanto delle umane debolezze. Ciò è avvenuto a tutti i più grandi e profondi conoscitori degli uomini; né credo possibile senza ciò dominarli, o imitarli sia scrivendo sia dipigendo”. Leggendo tra le righe, sul labile appiglio di questa nota Bossi immaginava probabilmente una relazione tra Leonardo da Vinci e questa “Cremona”, giustificandola sulla base del fatto che un grande conoscitore degli esseri umani quale era l’artista toscano dovesse anche conoscere le “umane debolezze” avendone pratica.
Leonardo da Vinci (Aidan Turner) e Caterina da Cremona (Matilda De Angelis) nella serie Leonardo. Foto Fabio Lovino |
E sulla base di questo scritto di Bossi si è dunque tentato di forzare l’idea secondo cui Leonardo potesse intrattenere relazioni amorose o erotiche con donne: la verità è che non abbiamo notizie certe di suoi legami intimi con persone di sesso femminile, mentre invece lo stesso non si può dire dei suoi rapporti con gli uomini. Ma chi era questa “Cremona” della quale le fonti sembrano tacere? Purtroppo, non conoscendo la fonte di Bossi, non lo possiamo sapere: Charles Nicholl ha provato a immaginare che Bossi avesse ricevuto la notizia da qualcuno che frequentava la Biblioteca Ambrosiana, dove si conservano diversi fogli leonardiani (e questo qualcuno potrebbe essere stato, secondo lo studioso, il bibliotecario Carlo Amoretti). Le vicissitudini che l’Ambrosiana subì durante l’occupazione napoleonica di Milano però non aiutano a sciogliere i dubbi, dato che l’istituto fu saccheggiato e molto materiale andò perduto. Anche Carlo Pedretti, che provò a immaginare una relazione tra Leonardo e la Cremona, era convinto che la soluzione sulla figura di questa cortigiana (a oggi, comunque, non ancora trovata) andasse cercata nell’Ambrosiana, ma non solo.
Il grande leonardista era particolarmente esaltato di fronte all’evenienza di attribuire a Leonardo una relazione con una prostituta, che Pedretti intendeva suffragare, in un suo scritto del 1996, sulla base di quello “straordinario dato di fatto” che doveva essere la nota menzionata da Bossi (“documento di enorme importanza per la biografia di Leonardo”, che riemergeva “dopo quasi due secoli di oblio”). Si trattava, anzitutto, di poter immaginare un Leonardo sconosciuto agli studi, e poi di confermare l’importanza dell’automimesi (l’immedesimazione nelle passioni che studiava) per le sue ricerche. “La nota di Leonardo relativa alla donna che, a dirla con Dante, gli aveva procurato ‘grazie maravigliose’, non si trova in alcuno dei manoscritti oggi conosciuti”, premetteva Pedretti. “Va però tenuto presente che l’informazione comunicata al Bossi da ‘persona autorevole’ potrebbe far capo a qualcuno di quei manoscritti, un tempo all’Ambrosiana e che dopo le spogliazioni napoleoniche ebbero a subire mutilazioni solo in parte accertate. [...] Resta sempre, comunque, la possibilità di carte di Leonardo conosciute al tempo del Bossi e poi scomparse, e del resto uno degli obbiettivi dei suoi viaggi era proprio quello di seguire le piste di autografi vinciani dispersi, o di interrogare persone che vi avessero accesso. E non è da escludersi che fra le sue carte ancora inedite si trovi il testo della segnalazione pervenutagli”. Pedretti si spinse anche a immaginare che le carte attestanti i possibili divertimenti di Leonardo con la cortigiana potrebbero essere state deliberatamente espunte da qualcuno nel corso della storia, essendo l’Ambrosiana un istituto religioso (ma era lo stesso studioso a riconoscere, in questo caso, di “lavorare di fantasia”).
Leonardo da Vinci, Studio per la testa di Leda (1505-1506 circa; penna e inchiostro, 92 x 112 mm; Windsor, Royal Collection, inv. RCIN 912515) |
In breve, secondo Pedretti la Cremona doveva essere una prostituta attiva a Roma nel secondo decennio del Cinquecento, al momento del soggiorno di Leonardo da Vinci in città (tra il 1513 e il 1516), e doveva esercitare la sua professione col nome di provenienza, come consuetudine per le donne che praticavano il suo mestiere (“È risaputo che Roma”, scriveva lo studioso, “fosse il paradiso delle prostitute, e questo dal tempo del Petrarca”). Ma cosa doveva provare la nota cui faceva riferimento Bossi? Secondo lo studioso, il “documento di prima mano” doveva avvalorare l’idea che “Leonardo frequentasse una puttana” (“preferisco il termine dantesco all’eufemistico cortigiana”, scriveva Pedretti), conosciuta, “come era l’uso del tempo, dal nome della città di provenienza: la Cremona”. Al momento del soggiorno a Roma, Leonardo aveva oltrepassato la soglia dei sessant’anni e fu accolto nel Belvedere Vaticano da Giuliano de’ Medici, fratello di papa Leone X. Qui, due suoi assistenti tedeschi avevano installato un laboratorio per la lavorazione di specchi, dove però gl’intenti, secondo Pedretti, sarebbero stati tutt’altro che scientifici. E in questo laboratorio forse Leonardo faceva posare le sue modelle, facendo indossare loro delle parrucche: in un foglio conservato nella Royal Collection di Windsor, il numero 12515, si vede uno studio per la Leda con un appunto vergato a mano da Leonardo, che dice “Questa si po’ levare e porre sanza guastarsi” riferito alla parrucca, come se, ipotizzava Pedretti, “Leonardo stesso l’avesse fatta confezionare per la sua modella (e se fosse La Cremona?)”.
Il disegno è però solitamente datato a prima del soggiorno romano (anche Pedretti lo menziona con datazione 1508-1510), ma secondo lo studioso ciò non impedirebbe di pensare a un Leonardo in grado di continuare i suoi studi sulla Leda anche a Roma, magari avvalendosi della “Cremona” come modella. Pedretti, nello stesso saggio, dà conto di un codice vaticano che registra una “Maria Cremonese” che faceva la “cortesana” a Roma all’epoca del soggiorno di Leonardo: naturalmente si tratta però di informazioni sulla base delle quali non è possibile attribuire alcunché a Leonardo. Insomma: quello che sappiamo sulla “Cremona” è una notizia di terza mano riferita per la prima volta trecento anni dopo i fatti, oltre al nome di una certa Maria di Cremona che si dedicava al meretricio in Roma all’epoca di Leonardo, ma che risulta al momento impossibile da collegare con la “Cremona” della nota di Bossi. Certo, non è da escludersi, come hanno ipotizzato Pedretti e Nicholl, che l’informatore di Bossi avesse avuto accesso ai fogli dell’Ambrosiana prima della devastante occupazione dei francesi: al momento però non è emerso ancora niente di più fondato. La Caterina da Cremona della serie televisiva (nome inventato a metà, personaggio totalmente inventato) si basa pertanto su di una suggestione.