C’è una nuova opera di Vincent van Gogh in circolazione? No: il ritratto di pescatore per il quale l’azienda LMI Group International, con sede a New York, ha cercato di ottenere l’autenticazione dal Van Gogh Museum di Amsterdam ha ricevuto, com’era ampiamente prevedibile, il secco “no” dell’istituto olandese. Non c’è possibilità che quell’opera possa essere autentica: le linee non hanno niente a che vedere con quelle di Van Gogh, i colori sono molto diversi da quelli che sceglieva il pittore olandese, l’impasto molto lontano da quello dell’artista. Il museo si era già espresso nel 2019, e con una mail inviata alla rivista Art Dependence ha fatto sapere di aver ribadito l’opinione: una sonora bocciatura.
L’azienda ci credeva, e aveva fatto sottoporre il dipinto a numerose analisi, secondo le quali tutti i materiali erano compatibili con una collocazione dell’opera al XIX secolo: erano state analizzate le componenti organiche (con la conclusione che la finitura col bianco d’uovo era compatibile con le protezioni che Van Gogh dava ai dipinti una volta terminati), le lettere della scritta “Elimar” che compare nel dipinto (interpretata come il nome del pescatore) erano state a loro volta indagate riscontrando somiglianze con la scrittura di Van Gogh, e addirittura era stato analizzato il DNA di un capello rosso “intrappolato” tra le pennellate. E la settimana scorsa, l’azienda aveva diramato un comunicato dal titolo roboante: “Scoperto dipinto di Van Gogh”. L’azienda ha addirittura pubblicato sul proprio sito web un rapporto di 458 pagine per avvalorare la presunta autografia: le analisi e gli studi sul dipinto sono in tutto costati una cifra vicina ai 30mila dollari. Nessuna delle prove fornite appare tuttavia decisiva. A parere di LMI Elimar sarebbe comunque “un’opera emotivamente ricca e profondamente personale creata durante l’ultimo e tumultuoso capitolo della vita di van Gogh”, collegata a un racconto di Hans Christian Andersen, l’Elimar de Le due baronesse. Di più: si tratterebbe, secondo l’azienda, di un autoritratto in cui Van Gogh “si reimmagina come un uomo più anziano e saggio, raffigurato contro il cielo sereno e la calma distesa dell’acqua, evocando il suo interesse personale per la vita in mare”. L’analisi sul dipinto “fornisce una nuova visione dell’opera di van Gogh, in particolare per quanto riguarda la sua pratica di reinterpretazione di opere di altri artisti”, ha affermato Maxwell L. Anderson, Chief Operating Officer di LMI Group. “Questa somiglianza in movimento incarna il tema ricorrente di van Gogh della redenzione, un concetto spesso discusso nelle sue lettere e nella sua arte. Attraverso Elimar, van Gogh crea una forma di autoritratto spirituale, consentendo agli spettatori di vedere il pittore come desiderava essere ricordato”. Secondo LMI, il dipinto sarebbe stato realizzato da Van Gogh mentre si trovava nel sanatorio di Saint-Paul-de-Masole a Saint-Rémy-de-Provence: per intenderci, lo stesso periodo in cui dipinse La notte stellata e altri capolavori. Di qualità, anche per un profano, nettamente superiore rispetto al presunto Elimar.
Peccato allora che contro il parere dell’azienda si sia imposto quello più autorevole del Van Gogh Museum, per il quale, come detto, non c’è alcuna possibilità che il dipinto possa essere di Van Gogh (LMI ha comunque fatto sapere d’aver scritto una mail al museo per protestare contro i suoi metodi: la bocciatura sarebbe arrivata nel giro di poche ore e senza neppure visionare l’opera dal vivo). Al momento, il più autorevole studioso a essersi pronunciato pubblicamente, Wouter van der Veen, esperto di Van Gogh, a lungo direttore scientifico dell’Institut Van Gogh di Auvers-sur-Oise, ha bollato il tutto come una “farsa”, ritenendo che attribuire questo dipinto a Van Gogh non sia semplicemente un “errore” ma una “disgrazia”: inoltre, il team raccolto da LMI (dove non figurano esperti di Van Gogh riconosciuti dalla comunità accademica: l’unico che ha una vaga connessione con Van Gogh è un artista che ha scritto un libro divulgativo sul pittore olandese), secondo Van der Veen, non ha neppure considerato il fatto che “Elimar” sia non il nome del personaggio raffigurato, ma la firma dell’artista.
Su quest’ultimo punto, a fornire delucidazioni interviene lo storico dell’arte Victor Rafael Veronesi, che ritiene il dipinto “un’opera estremamente naif che molti, anche non del settore, avevano intuito non potesse essere del tormentato pittore olandese”. Elimar, spiega Veronesi, è infatti il nome di Henning Elimar, pittore danese nato nel 1928 “la cui arte ricorda quella dell’artista autore della Notte stellata forse per la sua spontaneità ed ‘anti-accademismo’ un po’ kitsch”. Secondo lo studioso, la società è anche andata abbastanza vicina allo scioglimento del presunto mistero del pescatore, dal momento che nel rapporto viene rintracciata la prima fonte dell’opera, ovvero un dipinto dell’artista danese Michael Ancher raffigurante Il marinaio Nils Gaihede mentre ripara una rete, venduto sul mercato internazionale nel 2023 (e di cui lo scorso anno è stato venduto anche un disegno in Svezia). Di questo disegno “la testa proposta come opera dell’artista dei Girasoli doveva essere una derivazione, secondo la LMI international , e questa ne dava conto nel proprio condition report di più di 400 pagine, non riuscendo però a confermare in maniera chiara che potesse essere una immagine nota all’olandese”.
Al contrario, “Elimar” è la firma di Henning Elimar, che firmava molte delle sue opere e dei suoi paesaggi col suo cognome, con le stesse lettere capitali del quadro proposto come un Van Gogh dalla LMI (“e non servirebbero”, aggiunge Veronesi, “dei programmi di fotoritocco per vederlo, o uno studio al grado delle inclinazioni di chissà quali lettere”). Inoltre, “inoltre i tratti del soggetto dipinto sono spigolosi come quelli del movimento novecentesco del Die Brücke. La tela ed il telaio, infine, visti dal retro (se non rifoderati e sostituiti) parevano piuttosto novecenteschi e non dell’Ottocento. Poco utile inoltre risultava quindi, vista l’ambiziosa proposta, uno studio che non riuscisse a ricostruire integralmente la provenienza remota per l’opera che pare da un lato emergere dal nulla e che dall’altro si voleva riportare agli anni Ottanta-Novanta circa dell’Ottocento”. Pleonastiche dunque tutte le analisi tecniche alle quali è stato sottoposto il dipinto. “Volendo tirare le somme”, conclude Veronesi, “si può dire senza alcun dubbio che la notizia abbia avuto una eco senza dubbio mondiale e dato visibilità alla società che si faceva portatrice della attribuzione. Certo, bisognerebbe chiedersi se questa visibilità sia positiva o negativa, di fronte ad una ricerca che pare condotta a priori contro una risposta motivata già fornita nel 2018 dal Van Gogh Museum. È senz’altro il sogno di tutti trovare un capolavoro di un caposcuola e pagarlo poche decine di dollari o di euro in un mercatino, o riscoprire per caso in un bric-à-brac un dipinto di un grande maestro, ma questa fortuna, per quanto possibile, si ha molto raramente. Perlomeno, un capolavoro lo si apprende subito, immediatamente come tale, e non porta anche chi non è un professionista a rendersi conto che qualcosa non vada in una attribuzione che pare ‘gonfiata’, stentata, fuori luogo per delle immagini che manifestano ben altro”.
LMI ha già fatto sapere, scrivendo una mail alla rivista ARTnews, che si sente di escludere l’attribuzione a Henning Elimar per il fatto che la tavolozza, a loro dire, sarebbe ottocentesca e non novecentesca, oltre alle “altre basi per la sua autenticazione”. Ma senza far sapere quali basi (probabilmente quelle contenute nel rapporto, tuttavia non decisive). LMI ha acquistato il dipinto nel 2019, per una somma non rivelata, da un collezionista anonimo, che aveva comprato l’opera per meno di 50 dollari dopo averla trovata in un mercatino nel Minnesota. Certo, sarebbe piaciuto a tutti raccontare la storia di un Van Gogh pagato meno di una cena al ristorante, ma non è andata così. E non si può che convenire col commento di Bendor Grosvenor, che su BlueSky ha scritto: “Il mistero per me è perché questa storia, e altre simili, ottengano così tanta attenzione mondiale, quando sono fallite in partenza”.