I critofilm di Carlo Ludovico Ragghianti: la critica d'arte in pellicola

Cineart

2010, Nona puntata

I "critofilm" sono i film che il famoso critico d'arte Carlo Ludovico Ragghianti girò sull'arte italiana: un approccio particolare, diverso da quello dei documentari perché i "critofilm" volevano essere proprio delle critiche storico-artistiche in forma di film. Ma lasciamo la parola ad Alex, che con l'ultimo articolo della stagione saprà farci scoprire questi rari documenti, che, con un po' di buona volontà, si possono ancora reperire in qualche mediateca!

Carlo Ludovico Ragghianti, famoso storico e teorico dell’arte di Lucca, attivo soprattutto a metà del XX secolo, di cui parlerò, non fu l’unico a partecipare alla lavorazione di documentari sulla storia dell’arte: basti ricordare Roberto Longhi che nel 1947 realizzò Carpaccio e Umberto Barbaro che nel 1948 ne fece uno su Caravaggio, o la collaborazione Pallucchini-Pasinetti che portò al lavoro Arte Contemporanea nel 1948.

Nella maggior parte dei casi l’intervento dello storico dell’arte si limitava a una consulenza scientifica o a un testo critico che serviva da commento parlato; l’originalità di Ragghianti consiste invece in uno stretto legame tra lavoro teorico e pratica dei critofilm.

Ragghianti ritiene che ci sia uno stretto legame tra l’idea del cinema come arte figurativa e la determinazione di impiegare il mezzo cinematografico come un vero e proprio strumento di critica d’arte, di lettura e interpretazione dell’opera.

In uno dei suoi primi critofilm, Il cenacolo di Andrea del Castagno (1954), Ragghianti allinea nell’incipit tutti gli ingredienti del documentario tradizionale sull’arte: panoramica dall’alto su Firenze con il nastro azzurro dell’Arno e i monumenti canonici, una musica accattivante, una sommaria contestualizzazione architettonica dell’affresco e un commento di questo tipo: “Sulla via maestra della tradizione fiorentina...”, “il naturalismo fiorentino che in Andrea è energico e possente, pieno di espressione e di vita, si addolcisce nelle figure femminili”. A questo punto interviene uno speaker e si sentono voci di spettatori che protestano: “Ci siamo accorti che è così che va veduta e spiegata quest’opera d’arte. (…) Cerchiamo di penetrarla direttamente, di guardarla nel modo in cui l’artista la creò>”.

Ragghianti perciò si propone di fare uso di mezzi filmici come movimenti della macchina da presa e montaggio per “riprodurre” il percorso dello sguardo dello spettatore nella visione dell’opera, con relative pause, accelerazioni e intermittenze cercando di restituire attraverso il film il ritmo temporale interno dell’opera pittorica e della sua organizzazione spaziale.

Attraverso le direttrici sovrimpresse, statiche o animate che furono già introdotte nel documentario Rubens di Henri Storck e Paul Haesaerts, vengono così visualizzati i principi compositivi dell’opera.

Tale metodo viene riproposto in Stile di Piero della Francesca del 1954, nel quale si dichiara che il critofilm è dedicato alla definizione dello stile del pittore (“Entro i limiti di un documentario, questo critofilm intende dare un’immagine cinematografica aderente allo stile di Piero della Francesca”).

Nonostante alcune lacune, come ad esempio la mancanza del ciclo di affreschi della Chiesa di San Francesco ad Arezzo e la totale assenza di interpretazione iconografica dei soggetti, è da sottolineare l’uso di espedienti tipicamente cinematografici come dissolvenze incrociate, adottate per stabilire il rapporto tra Piero e i pittori contemporanei e uso di mascherini circolari che aiutano il critico a dimostrare “come una medesima figura ideale informa, in diversissime opere, i più diversi motivi, temi, elementi e dettagli figurali (ruote, teste, profili, architetture, ecc.)”. La ricerca di moduli rigidamente geometrici nelle figurazioni di Piero si conclude con la messa in evidenza della perfetta corrispondenza tra l’uovo di struzzo sospeso all’abside nella pala di Brera e il modulo identico della testa della Madonna. Ragghianti conclude che attraverso questo sistema di corrispondenze tra figure e moduli puri, si arriva a delineare “con rigorosa precisione un motivo informatore dell’arte di Piero”.

Diversa è l’impostazione del critofilm L’arte di Rosai (1957), che come avverte la didascalia fu iniziato in collaborazione col maestro fiorentino e concluso dopo la sua morte. Il materiale filmico è costituito esclusivamente dai dipinti di Rosai senza integrazione di alcuna immagine d’ambiente.

“Per quarant’anni – commenta la voce narrante – questo sguardo d’artista, ardente e solitario nella sua verità, doveva cogliere e fissare immagini che restano tra le più alte e vitali dell’arte moderna”.

Si succedono i soggetti preferiti da Rosai: spazi e figure della vita quotidiana, il padre, la sorella, i paesaggi toscani e vedute di Firenze.

Nell’opera prevale la preoccupazione di “muoversi dentro le immagini secondo la composizione dei loro spazi e dei loro ritmi”.

La dimensione critica ha la meglio sulla tentazione narrativa: dentro la segreta “architettura” delle forme, “costruite secondo una meditata tensione compositiva”, viene messa in evidenza la presenza di un “modulo dominante”.

Di particolare interesse è L’arte della moneta nel tardo impero (1958) in cui l’iconografia delle monete del tardo impero romano viene mostrata con effetti cinematografiche, in quanto ritratti e temi celebrativi si animano grazie all’impiego sistematico delle dissolvenze e delle variazioni di illuminazione. Il commento si limita all’enunciazione dei principali temi iconografici delle monete tardo antiche, mettendo in evidenza l’evoluzione dello stile, mostrando il percorso “dal realismo romano all’astrazione bizantina”, dal vitalismo ellenistico alla nuda impressionante sintesi grafica medioevale.

I critofilm d’arte di Ragghianti spaziano, dunque, dalla dimensione della arti cosiddette “minori” attraverso la pittura, allo studio della forma-città e del territorio. Per le arti minori va ricordato inoltre Urne etrusche a Volterra (1957), nel quale c’è un’attenzione al contesto architettonico-urbanistico che si trova anche in Pompei urbanistica (1958), in Certosa di Pavia (1961), in Antelami: il Battistero di Parma e Stupinigi (1963), Lucca città comunale (1955), Storia di una piazza (di Pisa, 1955) e Terre alte di Toscana. Di grande efficacia e funzionali sono le vedute aeree di Canal Grande (1963) e Michelangiolo (1964).

In quest’ultima opera il processo di messa in scena cinematografica dell’opera coincide con quello di lettura: “Prima e durante la lavorazione del film, Ragghianti passò ore a girare attorno alle statue di Buonarroti, a cercarne tutti i punti di vista, per comprenderne la validità di ciascuno”, afferma Cesare Molinari, assistente alla ricerca; il mezzo cinematografico è utilissimo alla restituzione dei vari punti di vista grazie alla sua natura che esprime il movimento.

Come sempre vi auguro buona visione di questi critofilm, in verità difficilmente reperibili, ma presenti nelle mediateche delle Biblioteche dei Dipartimenti di Storia dell’arte delle Università italiane.

Alex Fiorini








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