È noto che, stando alle statistiche fornite dall’Istat (l’Istituto Nazionale di Statistica) e relative all’anno 2016 (ovvero l’ultimo per il quale sono disponibili i rilevamenti) ben 7 italiani su 10 non si sono mai recati a visitare un museo. Entrando nel dettaglio, i musei italiani, nel 2016, hanno visto 45.521.194 visitatori varcare i loro ingressi (tra italiani e stranieri), e un tale afflusso di pubblico ha garantito agli istituti introiti per 174.988.721 euro. Ma quanti sono, al contrario, gli italiani che nel 2016 non vi hanno mai messo piede? Addirittura il 69,2%, e la percentuale sale al 75% se si tratta di mostre o esposizioni temporanee, e all’80,2% nel caso dei siti archeologici. Meglio se la cavano i monumenti storici (come chiese, abbazie, castelli, visite e giardini), dove la percentuale di italiani che nell’ultimo anno non ha compiuto visite si attesta al 59,2%, e i centri storici (in questo caso la percentuale scende al 56,2%). Le vette del “disinteresse” si toccano al sud e nelle isole, dove le percentuali sono in tutte le regioni superiori al 70% (tranne che in Sardegna, in linea con la media nazionale: 69,4%), con la punta dell’83,3% in Calabria. La regione in cui, al contrario, gli abitanti visitano più spesso i musei è il Trentino-Alto Adige: la percentuale scende al 59,3% (e si arriva al 51,8% nella sola provincia di Trento).
Volendo procedere oltre nella statistica, si registra una sostanziale parità tra maschi e femmine: il 69,8% dei maschi non ha visitato un museo nell’ultimo anno, mentre le femmine si fermano al 68,7%. Quanto alle classi d’età, i più propensi a visitare i musei sono i giovani e i ragazzi: la percentuale infatti scende al 48,8% nella fascia d’età tra gli 11 e i 14 anni, mentre gli ultrasettantacinquenni sono quelli che si recano meno nei nostri istituti della cultura (solo 12 su 100 hanno visitato un museo nel 2016). Molte anche le differenze per quanto riguarda l’occupazione: i più “appassionati” d’arte sono i dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (il 50,6% ha visitato almeno un museo), mentre le meno propense alla visita sono le casalinghe (con un 82,5% che non ha visitato un museo). Per ciò che invece concerne il titolo di studio, sono i laureati a frequentare di più i musei (il 39,8% dei laureati non ha visitato un museo nell’ultimo anno, mentre si sale al 90,9% per coloro che hanno la licenza elementare). Il motivo principale che spinge gli italiani a non visitare i musei è il disinteresse: il 41,8% ha dichiarato che i musei non erano di loro interesse, seguiti dal 23,5% che preferisce altri modi di impiegare il proprio tempo, dal 14,5% che si giustifica dicendo che nella loro città non ci sono musei, dal 9,4% che li considera troppo costosi, dal 5% che li ritiene noiosi e infine dal 3,2% che dichiara di non conoscere alcun museo. Le statistiche complete sono tutte consultabili sul sito dell’Istat, www.istat.it.
Molti spesso si domandano come vengono compiute queste rilevazioni. Le cosiddette “statistiche culturali”, ovvero quelle di cui si sono appena riassunti i principali risultati, sono basate sui dati di una rilevazione campionaria: sono state condotte indagini sui componenti di un campione di circa 24.000 famiglie, estratte dai registri anagrafici comunali e distribuite in circa 850 comuni italiani, di diversa ampiezza demografica. Si tratta di un metodo che è stato messo in atto per la prima volta nel 1995, e le rilevazioni seguenti sono state condotte con cadenza periodica pluriennale. Il campione raccolto è un campione significativo, ovvero fedelmente rappresentativo di tutta la popolazione italiana, e i dati vengono poi proiettati su larga scala attraverso calcoli statistici per dare una rappresentazione precisa dell’intero panorama nazionale.
Il metodo del rilevamento a campione (detto anche “campionario”), da quest’anno, interesserà peraltro anche il Censimento della popolazione, quello che finora veniva svolto a cadenza decennale e coinvolgeva l’intera popolazione italiana (l’ultimo è stato quello del 2011) secondo un metodo statistico detto “esaustivo” (volto, cioè, a coinvolgere tutti i soggetti che la statistica intende descrivere). Si tratta di un cambiamento che fornirà informazioni utili per le istituzioni del nostro paese, oltre che per le politiche economiche e sociali, dal momento che i dati dei rilevamenti consentiranno di valutare in modo tempestivo l’evoluzione del nostro paese. Il nuovo censimento della popolazione (che si chiamerà “Censimento permanente”), infatti, produrrà i dati su base annuale, in modo da comprendere e intervenire in maniera più efficace sui bisogni degli individui e delle famiglie. Il Censimento permanente interesserà ogni anno un campione di circa un milione e quattrocentomila famiglie, per un totale di 3,5 milioni di residenti in 2.852 comuni italiani (1.143 dei quali saranno quelli che parteciperanno ogni anno alle operazioni censuarie: i restanti parteciperanno una volta ogni quattro anni, così che entro il 2021 tutti i comuni parteciperanno almeno una volta alle rilevazioni).
Il Censimento permanente rivolgerà ai partecipanti domande su genere, età, luogo di nascita, cittadinanza, formazione, titolo di studio, condizione professionale, tipo di lavoro svolto, mobilità, e collegherà i dati rilevati con quelli familiari (il numero dei componenti della famiglia, le loro caratteristiche, quelle dell’abitazione in cui vivono) e con quelli relative al territorio (come il luogo di residenza). I vantaggi del nuovo sistema di rilevamento del censimento nazionale consistono nella riduzione dei costi di circa il 50% rispetto al censimento del 2011, contenendo anche in maniera sensibile il disturbo statistico sulle famiglie. Inoltre, sarà possibile migliorare i registri anagrafici e rafforzare l’apparato statistico organizzativo dei comuni. E ovviamente i cambiamenti demografici e sociali nei comuni italiani potranno essere registrati con cadenza annuale, così da avere dati più tempestivi e più utili per conoscere il territorio.
Per le rilevazioni, l’Istat si avvale di una rete permanente di rilevatori, una nuova figura professionale con uno stabile percorso di formazione che va a migliorare la qualità dei dati finali. Inoltre, affinché il censimento venga condotto nel migliore dei modi, tutti i cittadini verranno adeguatamente informati con una campagna di comunicazione basata sul claim “l’Italia ha bisogno di campioni” (che ovviamente gioca sul doppio significato statistico e sportivo). L’idea dell’Istat è quella di trasmettere il valore del censimento permanente come fonte continua di informazioni indispensabili per leggere e interpretare una realtà in continuo movimento come quella italiana. La partecipazione non dev’essere vista infatti solo come un obbligo di legge, ma anche come un’opportunità per il paese. Obiettivo della campagna informativa è quindi quello di far comprendere che l’Italia è fatta da tanti “campioni” del proprio quotidiano, piccole storie che diventano parte di una storia collettiva (si veda al proposito il video YouTube). Il progetto viene raccontato nei dettagli sul sito www.censimentigiornodopogiorno.it, un hub digitale che raccoglie curiosità, contributi video, e azioni di comunicazione messe in campo per promuovere e informare sui censimenti (ci sarà anche un contest fotografico per i social, #UnGiornoDaCampione, per spronare gli utenti web all’azione diretta).
Infine, il nuovo censimento nazionale farà sì che tutti i dati raccolti vengano digitalizzati, così da essere più facilmente fruibili e velocemente utilizzabili per monitorare istruzione, formazione, lavoro, salute, mobilità. Occorre poi sottolineare come il Censimento permanente darà un aiuto importante alle politiche di sviluppo sostenibile promosse dall’Italia e dall’Unione Europea, dal momento che dati più precisi e annuali consentono migliori politiche di crescita e un migliore sfruttamento delle risorse.
Nell’immagine: visitatori alla mostra L’ultimo Caravaggio a Milano nel 2018. Ph. Credit Finestre sull’Arte
7 italiani su 10 non visitano i musei: ma come funzionano le statistiche Istat, e come cambieranno dal 2018? |