Viareggio rischia di perdere uno dei suoi simboli: i pini che punteggiano il suo litorale e che si trovano nelle due grandi pinete, la Pineta di Ponente e la Pineta di Levante. C’è da dire che già da anni lo stato dei maestosi pini viareggini non è più quello di un tempo: diverse piante, negli ultimi anni, sono cadute per le cause più svariate (principalmente per via del maltempo), e sono state sostituite con altre essenze, in particolare con lecci e faggi, per cui nelle pinete la presenza dei pini che pure dànno il nome ai due grandi parchi è sempre più sparuta. Adesso però la situazione rischia di peggiorare perché, negli ultimi giorni, il consiglio comunale della città toscana ha preso una posizione decisa che purtroppo va contro i pini.
In particolare, secondo Federico Pierucci, assessore alla Rigenerazione Urbana e del Territorio, “la pineta di Levante è arrivata a fine vita”. Ma i problemi della Pineta di Levante non sono che una parte della questione.
La Pineta di Levante è il grande parco che si estende dalla darsena fino a Torre del Lago, per arrivare poi, praticamente senza soluzione di continuità, fino al Parco di San Rossore, alle porte di Pisa. Delle due pinete di Viareggio, è quella più estesa e meno “urbanizzata”: se infatti la Pineta di Ponente è un grande parco pubblico con viali e attività (bar, ristoranti, chiosci ecc.), la Pineta di Levante è decisamente più selvaggia, e si configura come un vasto bosco costiero. Al suo interno si trovano anche due riserve naturali, la “Lecciona” e la “Guidicciona”, istituite per la tutela delle specie endemiche che si trovano nel parco. Un grande brano di macchia mediterranea che si trova in questo luogo almeno dagli anni Quaranta del Settecento, quando, come in molte zone costiere dell’Italia tirrenica, furono piantati pini e lecci per difendere le coltivazioni dell’entroterra dai venti marini.
Molti di quei pini però se ne sono già andati, devastati da maltempo, malattie, tagli. L’assessore Pierucci, intervenendo la scorsa settimana in un consiglio comunale, ha fatto sapere che i pini che crolleranno o saranno rimossi non verranno sostituiti e che le pinete torneranno a essere boscaglia o macchia igrofila come lo erano prima degli interventi dell’uomo. Al più, al posto dei pini arriveranno altre piante, a cominciare dai lecci. “È inutile”, ha dichiarato l’assessore, “che si continui a piantare essenze arboree [i pini] che non sono né autoctone né adatte a un contesto densamente urbanizzato”.
Una decisione che dunque cambierà per sempre il volto della città. E già nelle settimane scorse sono partiti diversi abbattimenti: tra aprile e maggio sono stati rimossi sedici pini in via Indipendenza (uno dei viali che costeggiano la Pineta di Levante). Altri quattro imponenti pini di oltre 20 metri d’altezza sono stati tagliati a inizio maggio. Stando alle perizie degli agronomi di Treelab, azienda incaricata dal Comune dello studio sulle piante della pineta orientale, si tratta di piante malate che corrono il rischio di cadere sulla strada da un momento all’altro. Le scelte del Comune hanno conosciuto una rapida accelerazione dopo il crollo di una pianta lo scorso 19 aprile, che ha portato ai lavori lungo via Indipendenza. Secondo Treelab, tuttavia, sono 27 i pini che, tra via Indipendenza, via Virgilio e viale dei Tigli, soffrono di problemi derivanti dalla presenza di rami secchi e chiome pesanti. Ancora, altri pini hanno un apparato radicale fortemente sollevato e si appoggiano a pini vicini, aumentando il rischio di crolli. Di questi 27 pini, 4 dovevano essere abbattuti (sono quelli di cui s’è fatta menzione sopra). Per altri invece sono stati sufficienti interventi di messa in sicurezza urgente.
La Pineta di Levante dall’alto. Foto Piero Sant
La Pineta di Levante a Torre del Lago (comune di Viareggio)
Tagli alla Pineta di Ponente. Foto di Chiara Vannucci
Tagli alla Pineta di Levante, lungo viale dei Tigli. Foto di Barbara Carraresi
E non ci sono soltanto gli abbattimenti di piante malate, ma ci sono anche quelli che sono percepiti come del tutto gratuiti dalla popolazione. Sta facendo scalpore il taglio dei pini in Largo Risorgimento, dove alcuni pini che decorano il prato sono stati abbattuti perché qui sorgerà il parcheggio del supermercato Pam che si trova lungo uno dei lati della piazza. La riapertura del punto vendita è programmata per metà maggio. Nell’area, nonostante le rassicurazioni della direzione dei lavori (al posto dei pini, anche in questo caso, verranno piantati lecci), l’altro ieri, domenica 30 maggio, si è tenuta una manifestazione di protesta piuttosto partecipata (circa 150 persone). Ci sono dubbi anche sulla liceità dell’operazione: “in questo periodo”, scrive Anna Luisa Mattei nel gruppo Facebook “Comitato per la Salvezza della Pineta di Viareggio”, molto attivo con diversi aggiornamenti quotidiani, “la nidificazione degli uccelli è sempre in corso. Infatti la direttiva europea 2009/147/CE vieta assolutamente i tagli di rami di alberi nel periodo di nidificazione, vale a dire da metà marzo sino a tutto settembre. Nonostante ciò il comune di Viareggio ha autorizzato l’abbattimento senza tenere in considerazione il danno ecologico e le normative in essere”.
“Il progetto del parcheggio e della nuova viabilità è stato concordato con il Comune”, ha spiegato a La Nazione l’ingegner Paolo Polvani, direttore dei lavori e progettista. “Prevede sì l’abbattimento di tre piante, nel perimetro intorno all’edificio centrale, ma per restituire verde all’area parcheggio verranno piantati altri quattordici alberi. E nello specifico sono stati scelti dei lecci”. Pare che per il momento gli altri grandi pini di Largo Risorgimento non saranno toccati. Ad ogni modo, spiega ancora l’ingegnere, “l’obiettivo è rendere fruibile un’ampia porzione del parcheggio per il giorno d’apertura del supermercato, e proseguire poi con il compimento del progetto” che prevede anche importanti modifiche alla viabilità. Che si spera non vadano a toccare le piante.
I pini di Largo Risorgimento
Un momento della manifestazione del 30 maggio
Un momento della manifestazione del 30 maggio
Per fortuna, in città si è sviluppato un largo movimento di opposizione alla politica ambientale del Comune. Secondo il consigliere comunale Tiziano Nicoletti, di Viareggio Libera gli alberi non cadono perché sono anziani, bensì per l’eccessiva presenza di acqua nel suolo, “ed è un problema noto da tempo”, dice a La Nazione, “come si evince dal Piano gestione forestale delle Pinete 2002 - 2018 che evidenzia come la manutenzione sia carente sul 55% degli 11mila 600metri della rete scolante. Un problema atavico che questa amministrazione ha sottovalutato. E la negligenza non è solo operativa, ma anche nel rispetto delle normative. C’è una legge del 29 gennaio del 1992 che prevede che i comuni con più di 15 mila abitanti piantino un albero per ogni neonato, e un’altra che impone al sindaco, due mesi prima della scadenza del mandato, di rendere noto il bilancio arboreo. Tutto questo a Viareggio viene disatteso”.
Molto duro il commento di Antonio Dalle Mura, presidente di Italia Nostra Versilia: “La città”, afferma, “manca di una visione sistemica e organica dell’ambiente e del paesaggio connessi. Il quadro è sconfortante: il verde, che attraversa una fase involutiva caratterizzata da episodici stramazzi, dovuta agli insulti di una manutenzione disastrosa o assente, è soggetto a sommari abbattimenti, talora dettati dal timore di uno stramazzio talaltra del tutto incomprensibili e immotivati. Quanto agli alberi, prosegue Dalle Mura, ”presi di mira in modo particolare sono gli alberi lungo le strade e le piazze. I pini sono i più colpiti, ma non solo loro: basti pensare a quelle piazze in cui sono stati abbattuti tutti gli alberi (platani) e sono state trasformate in parcheggi e in aiole spartitraffico. Nelle strade sollevano asfalto e marciapiedi e, giudicati per il disagio che provocano, vengono inesorabilmente abbattuti. Anche preventivamente (o pretestuosamente?), senza aver provocato danno alcuno, come è accaduto per una decina di pini abbattuti alla Stazione Vecchia. Sono vittime della scorretta interferenza del loro apparato radicale con scavi, fresature, compattamenti, mutilazioni di radici, disordini idrologici... e altrettanto scorrette potature. E questo non una, ma più e più volte sugli stessi alberi. O si rinuncia agli alberi o si regolano gli interventi. Mantenere gli alberi, e mantenerli nelle migliori condizioni possibili, è un dovere".
“Vogliamo togliere questa velina di ipocrisia che accompagna ogni operazione di taglio che viene autorizzata”, sottolinea invece Andrea Landi del Comitato per la Salvezza della Pineta. “Con la scusa della massima urgenza e della salvaguardia dell’incolumità pubblica si taglia indiscriminatamente e soprattutto non si prevede un reale piano di salvaguardia per il futuro. La situazione è sotto gli occhi di tutti: abbiamo assistito inermi ad un attacco durissimo nei confronti del nostro verde e della nostra storia e non c’è alcun reale programma credibile alle spalle. Quando abbiamo chiesto cosa si prevede per mantenere il patrimonioarboreo non abbiamo ricevuto risposta”.
C’è contrarietà anche da parte di molti esperti. Non la pensa come l’assessore Pierucci il botanico Stefano Mancuso, docente alla facoltà di agraria dell’Università di Firenze, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale: Mancuso, in un’intervista a La Nazione, ha infatti spiegato che i pini sono piante del tutto autoctone. In alternativa, affermare che i pini non siano piante del territorio, equivale a dire che non lo è circa l’80% della nostra vegetazione. “I pini”, ha detto Mancuso,“fanno parte della nostra flora da tempo immemore. Allora che dovremmo fare con i cedri del Libano? Il nome stesso dice che non sono di qua, eppure i nostri giardini ne sono pieni. E le palme? La Versilia ne ha tantissime”. I pini “hanno sempre fatto parte del nostro litorale toscano, al pari dei cipressi e degli olivi. E non riesco a immaginare di non vederli più”. Il vero problema, secondo Mancuso, è il cambiamento climatico. “Pensare di risolvere il riscaldamento globale con la sostituzione delle piante”, ha spiegato, “è assurdo. I danni saranno sempre maggiori, con o senza i pini”. Il giornalista Beppe Nelli fa invece riferimento alla storia della città: “Tra Viareggio a Torre del Lago, fino a tutto il 1600, c’erano palude e acquitrinio con ampia diffusione della malaria. La Repubblica di Lucca affidò all’ingegnere veneziano Bernardino Zendrini le famose opere di bonifica, non solo sul Burlamacca. E tra il 1740 e il 1766 – come riportano studi pubblicati anche dal Parco di Migliarino – fu deciso il taglio del bosco litoraneo per piantarvi pini marittimi e domestici con un doppio scopo: migliorare la qualità dell’aria, e ostacolare i venti marini che avrebbero danneggiato le colture agricole nei campi strappati alla palude. Gli editti di allora parlano anche di pinete come risorse da coltivare: per la legna destinata ai cantieri navali, e per i pinoli per alimentazione. Per inciso, fino agli anni ’90 il Comune dava autorizzazioni a pagamento per la raccolta commerciale dei pinoli, sottraendoli alla libera cerca delle famiglie per uso domestico. Ma la città dimentica. Ed è curioso che la Soprintendenza, tanto accanita a non voler far spostare il muro della stretta e pericolosa via dei Lecci perché è un segno storico dell’area della Tenuta Borbone, non muova un dito per la conservazione di ben altro segno secolare, la Pineta di Levante”.
E c’è chi si mobilita. I cittadini hanno infatti lanciato una petizione su Change.org diretta al sindaco di Viareggio, Giorgio Del Ghingaro, al ministro dell’Ambiente Sergio Costa e al presidente della Regione Toscana Eugenio Giani per chiedere di salvare il patrimonio arboreo della città. “La città una volta verde con alberi di grande dimensioni”, si legge nel testo, “vengono tagliati in fretta e furia, con tagli che vengono pubblicizzati con gioia dallo stesso Sindaco sui social. Pratiche di capitozzature estreme vengono eseguite da personale inesperto con la scusa di pericolosità delle piante, le quali, invece sottoposte a tale pratica, si ammalano e perdono stabilità”. “In un momento dove il Mondo intero si dirige verso una direzione più ecologica”, conclude la petizione, “noi non possiamo permetterci di andare controcorrente”.