USA, 153 intellettuali firmano lettera contro moralismi e chiusure ideologiche


Le proteste negli USA avrebbero condotto a un clima pesante e a un irrigidimento del dibattito. Per questo 153 intellettuali scrivono una lettera di denuncia.

Uno dei peggiori risvolti delle proteste nate a fine maggio sull’onda delle richieste del movimento Black Lives Matter è l’irrigidimento del dibattito che ha caratterizzato entrambe le parti, con posizioni oltranziste sia a destra che a sinistra: questo ha portato a un clima molto pesante anche tra le fila dei progressisti, e sono molti a denunciare il fatto che sia diventato sempre più difficile portare avanti un dibattito sano ed esprimere disaccordo senza il rischio di essere additati o addirittura ostracizzati. Per questa ragione, negli Stati Uniti, 153 intellettuali (giornalisti, scrittori, accademici, artisti) hanno scritto una lettera, pubblicata lo scorso 7 luglio sulla rivista Harper’s Magazine (nella versione online: uscirà a ottobre sul cartaceo), in cui si prende posizione contro il moralismo dilagante, contro la cosiddetta cancel culture (ovvero quel modo di pensare che porta chi esprime posizioni controverse a essere oggetto di pesanti attacchi) e contro certe chiusure ideologiche che stanno nuocendo alla discussione.

La lettera contiene firme eccellenti, alcune delle quali conosciute in tutto il mondo: per esempio, il filosofo Noam Chomsky e gli scrittori Salman Rushdie, J.K. Rowling e Margaret Atwood. Tutti denunciano il fatto che scrittori, registi, attori, giornalisti, musicisti e, in generale, personaggi della cultura o dello spettacolo, dovrebbero conformarsi a quello che viene percepito come un pensiero dominante, altrimenti correrebbero il rischio di vedersi boicottati o licenziati. Ovviamente la lettera sta facendo molto discutere: anche i firmatari stessi, con alcuni che mal tollerano la presenza della Rowling, a causa della sua controversa posizione sulle persone transgender. C’è per esempio chi la critica bollandola come espressione di una posizione privilegiata, e chi invece chi la ritiene eccessiva per il fatto che atteggiamenti razzisti o sessisti sono invece ancora ben radicati nella società americana, e i presunti attacchi alla libertà d’espressione serabbero invece soltanto la fisima di una élite colta che avverte eccessi di sensibilità progressista che, secondo altri, semplicemente non esisterebbero. E c’è chi sostiene che la cancel culture è comunque un problema minore rispetto a quelli che stanno alla base delle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter o di chi protesta.

Di seguito, pubblichiamo il testo integrale della lettera.

“Le nostre istituzioni culturali stanno affrontando un momento di prova. Le forti proteste per la giustizia razziale e sociale stanno conducendo a richieste, a lungo attese, per riformare a polizia, assieme ad appelli per avere più equità e più inclusione nella nostra società, nell’istruzione superiore, nel giornalismo, nella filantropia, nelle arti. Ma questa necessaria resa dei conti ha anche intensificato una nuova serie di atteggiamenti morali e impegni politici che tendono a indebolire le nostre regole di pubblico dibattito e di tolleranza delle differenze, a favore della conformità ideologica. Plaudiamo al primo punto, ma alziamo la voce contro il secondo. Le forze illiberali stanno acquisendo forza ovunque nel mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una vera minaccia alla democrazia. Ma la resistenza non deve irrigidirsi a sua volta nel quadro di dogmi o coercizioni, che i demagoghi di destra stanno già sfruttando a loro vantaggio. L’inclusione democratica che vogliamo può essere ottenuta solo se facciamo sentire la nostra voce contro il clima d’intolleranza che si è instaurato su ogni fronte.

Il libero scambio d’informazioni e di idee, linfa vitale di una società libera, ogni giorno viene sempre più stritolato. E se possiamo aspettarcelo dalla destra radicale, la tendenza alla censura si sta diffondendo anche nella nostra cultura: intolleranza nei confronti di visioni opposte, la moda dell’ostracismo e dell’additare al pubblico ludibrio, la tendenza a dissolvere complesse problematiche politiche in una cieca certezza morale. Noi sosteniamo il valore di una robusta e anche caustica contro-discussione che provenga da tutte le parti. Ma adesso ancora troppi chiedono rapide e severe punizioni per ogni abuso presunto della libertà di parola o di pensiero. E, ancor peggio, ci sono leader delle istituzioni che, mossi da uno spirito di gestione del pericolo dettato dal panico, stanno agendo con punizioni avventate o sproporzionate invece che con riforme ponderate. Ci sono direttori di giornali che vengono licenziati perché scrivono articoli controversi, ci sono libri che vengono ritirati per presunta mancanza di sincerità, ci sono giornalisti a cui viene impedito di scrivere su certi argomenti, ci sono professori sottoposti a indagine per aver citato opere letterarie in classe, un ricercatore è stato licenziato per aver fatto circolare studi accademici peer-reviewed, ci sono dirigenti di organizzazioni che vengono rimossi dai loro incarichi per quelli che a volte sono solo errori dovuti a goffaggine. Qualsiasi siano gli argomenti intorno a un particolare caso, il risultato è stato quello di limitare strettamente i confini di quello che può essere detto senza minaccia di rappresaglia. Stiamo già pagando un prezzo nei termini di maggior avversione al rischio da parte di scrittori, artisti e giornalisti, che temono per il loro sostentamento se si allontanano dal consentito, o addirittura mancano di sufficiente zelo nel mostrarsi d’accordo.

Questa atmosfera soffocante finirà per danneggiare le cause più vitali del nostro tempo. La limitazione del dibattito, che sia a causa di un governo repressivo o di una società intollerante, nuoce comunque a tutti coloro che non hanno potere e fa sì che tutti perdano in capacità di partecipazione democratica. Il modo per sconfiggere le cattive idee è l’esposizione, l’argomentazione, la persuasione, non il tentativo di metterle a tacere o il desiderio di allontanarle. Rifiutiamo qualunque falsa scelta tra giustizia e libertà, secondo cui l’una non può esistere senza l’altra. Come scrittori abbiamo bisogno di una cultura che ci lasci spazio per sperimentare, per assumerci dei rischi, e anche per sbagliare. Abbiamo bisogno di preservare la possibilità di esprimere un disaccordo in buona fede senza che ci siano tragiche conseguenza professionali. Se non difendiamo l’unico principio dal quale dipende il nostro lavoro, non possiamo aspettarci che il pubblico o lo Stato lo difendano per noi”.

Ph. Credit Pete Forsyth

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