Negli Stati Uniti sta facendo molto discutere un nuovo ordine esecutivo firmato il 27 marzo 2025 dal presidente Donald Trump: intitolato Restoring Truth and Sanity to American History (“Ripristinare la verità e la sanità nella storia americana”), l’ordine si pone l’obiettivo di eliminare contenuti ritenuti anti-americani o divisivi dalle istituzioni culturali federali. “Negli ultimi dieci anni”, si legge nel primo articolo dell’ordine esecutivo, che ne definisce gli scopi, “gli americani hanno assistito a uno sforzo concertato e diffuso per riscrivere la storia della nostra nazione, sostituendo i fatti oggettivi con una narrazione distorta guidata dall’ideologia piuttosto che dalla verità. Questo movimento revisionista cerca di minare i notevoli risultati degli Stati Uniti gettando una luce negativa sui suoi principi fondanti e sulle sue pietre miliari storiche. In questa revisione storica, l’ineguagliabile eredità della nostra nazione di promozione della libertà, dei diritti individuali e della felicità umana viene ricostruita come intrinsecamente razzista, sessista, oppressiva o altrimenti irrimediabilmente imperfetta. Invece di promuovere l’unità e una comprensione più profonda del nostro passato comune, lo sforzo diffuso di riscrivere la storia approfondisce le divisioni sociali e alimenta un senso di vergogna nazionale, ignorando i progressi compiuti dall’America e gli ideali che continuano a ispirare milioni di persone in tutto il mondo”.
L’ordine prende di mira in particolare lo Smithsonian, il più grande complesso museale ed educativo degli Stati Uniti: nella prima parte si prende a esempio addirittura una mostra in corso, The Shape of Power: Stories of Race and American Sculpture, in programma fino al 14 settembre 2025, come esempio di programmazione condotta da un istituto “caduto negli ultimi anni sotto l’influenza di un’ideologia divisiva e incentrata sulla razza”. Nell’ordine, Trump scrive che “i musei nella capitale della nostra nazione dovrebbero essere luoghi in cui gli individui vanno per imparare, non per essere sottoposti a indottrinamento ideologico o narrazioni divisive che distorcono la nostra storia comune”. Per lo Smithsonian, dunque, il programma è semplice: “ripristineremo”, si legge nell’ordine, “il suo legittimo posto di simbolo di ispirazione e grandezza americana, accendendo l’immaginazione delle giovani menti, onorando la ricchezza della storia e dell’innovazione americana e instillando orgoglio nei cuori di tutti gli americani”.
Insomma, seguendo questa narrazione, si potrebbe quasi obiettare che si passerebbe da un’ideologia all’altra: l’ordine si inserisce nel più ampio tentativo dell’amministrazione Trump di ridefinire la cultura nazionale attraverso un ritorno a una narrazione storica più tradizionale e patriottica, opponendosi a quello che il presidente ha definito nel suo ordine come un “movimento revisionista”. L’intervento diretto sulle istituzioni culturali rappresenta una mossa senza precedenti e ha suscitato forti reazioni da parte di storici, artisti e membri della comunità accademica.
Fondata nel 1846 con una donazione dello scienziato britannico James Smithson, la Smithsonian Institution gestisce oltre 20 musei, gallerie e centri di ricerca e custodisce una collezione che supera i 150 milioni di oggetti. Le sue esposizioni spaziano dalla storia americana all’arte, alla scienza e alla cultura popolare.
L’ordine esecutivo conferisce nuovi poteri al vicepresidente JD Vance, che è anche membro del Consiglio di Reggenza dello Smithsonian, affidandogli il compito di garantire che i programmi educativi e le mostre future riflettano i valori tradizionali. L’articolo 2 dell’ordine esecutivo si intitola proprio “Salvare il nostro Smithsonian”. L’amministrazione Trump, come detto, ha accusato lo Smithsonian di promuovere una visione distorta della storia e di enfatizzare eccessivamente temi legati al razzismo, al colonialismo e alla disuguaglianza sociale.
In particolare, si legge che il vicepresidente e il direttore dell’ufficio di gestione e bilancio dovranno collaborare col Congresso per garantire che i futuri stanziamenti destinati allo Smithsonian proibiscano spese destinate a mostre o programmi che “degradano i valori americani condivisi, dividono gli americani in base alla razza o promuovono programmi o ideologie incoerenti con la legge e la politica federale”, o che “celebrano i successi delle donne all’American Women’s History Museum senza riconoscere in alcun modo gli uomini come le donne all’interno del museo”.
Un altro articolo dell’ordine esecutivo riguarda anche i monumenti. In particolare, il Segretario degli Interni dovrà determinare se, a far data dal 1° gennaio 2020, “monumenti pubblici, memoriali, statue, lapidi o proprietà simili rientranti nella giurisdizione del Dipartimento degli Interni siano stati rimossi o modificati per perpetuare una falsa ricostruzione della storia americana, minimizzare in modo inappropriato il valore di determinati eventi o personaggi storici o includere qualsiasi altra ideologia partigiana impropria”, e ancora dovrà “adottare misure per ripristinare i monumenti, i memoriali, le statue, i marcatori o le proprietà simili preesistenti, come appropriato”, e dovrà “adottare misure, ove appropriato e in conformità con la legge applicabile, per garantire che tutti i monumenti pubblici, i memoriali, le statue o le proprietà simili sotto la giurisdizione del Dipartimento degli Interni non contengano descrizioni, raffigurazioni o altri contenuti che denigrino in modo inappropriato gli americani del passato o del presente (incluse le persone che vissero in epoca coloniale), e si concentrino invece sulla grandezza dei risultati e dei progressi del popolo americano o, per quanto riguarda le caratteristiche naturali, sulla bellezza, l’abbondanza e la grandiosità del paesaggio americano”.
L’ordine esecutivo, come visto, prevede un’analisi delle esposizioni in corso e future per rimuovere qualsiasi contenuto ritenuto anti-patriottico. Nonostante non specifichi quali opere o mostre debbano essere eliminate, si tema che la nuova politica potrebbe portare a una forma di censura preventiva su temi come la schiavitù e il suo impatto sulla società americana, il movimento per i diritti civili e le lotte contro il razzismo, la storia coloniale degli Stati Uniti e il trattamento riservato ai nativi americani, le questioni di genere e il ruolo delle donne nella società, la rimozione di statue e simboli legati all’era confederata.
L’ordine esecutivo di Trump rappresenta dunque uno dei più significativi interventi del governo federale sulle istituzioni culturali e museali nella storia recente degli Stati Uniti. Se da un lato mira a promuovere una visione della storia più tradizionale e patriottica, dall’altro non può che generare preoccupazioni sulla libertà di espressione, sulla censura e sul controllo ideologico delle arti e della cultura. Il suo impatto potrebbe infatti ridisegnare, almeno per la durata del mandato di Trump, il panorama culturale americano, limitando le narrazioni storiche che affrontano temi di giustizia sociale e diversità. Resta dunque da vedere come nei prossimi mesi lo Smithsonian e altre istituzioni risponderanno alle nuove direttive e se ci saranno controversie legali o azioni di protesta contro la loro applicazione.