C’è subbuglio nella scena culturale della Slovenia dopo che lo scorso 8 dicembre il Parlamento trainato dalla maggioranza populista e conservatrice, che risponde al presidente Janez Janša, già al centro delle critiche per nomine molto discusse nelle posizioni chiave delle istituzioni culturali, ha approvato, con 77 voti a favore e 48 contrari, il bilancio dello Stato per il 2022. Nei giorni scorsi la società civile slovena ha manifestato la propria preoccupazione per i tagli inferti alle ong che si occupano di cultura, che vedono drasticamente ridotti i fondi loro assegnati: si passa infatti dai 6,4 milioni di euro inizialmente pianificati ai 3,6 effettivamente concessi.
Il consistente taglio ha messo in allarme la Asociacija, importante rete di organizzazioni non governative e personalità della cultura, che si è quindi appellata al governo, al ministro della cultura Vasko Simoniti e ai deputati affinché preservino la cultura slovena. “Sebbene un’elevata percentuale di finanziamenti sia destinata alla cultura nel 2022 e nel 2023”, scrive Igor Bratož sul quotidiano Delo, “viene rilevato che sono previste riduzioni su singole voci: promozione della creatività culturale, editoria e cultura amatoriale. Il taglio maggiore è nella voce della promozione della creatività culturale, attraverso la quale lo Stato cofinanzia programmi e progetti delle organizzazioni non governative. Con il bilancio suppletivo per il 2022, i fondi di poco più di 6,4 milioni di euro (per l’esattezza 6.446.728) nel bilancio originariamente adottato saranno ridotti a circa 3,6 milioni di euro (3.633.399). La decisione, aggiunge Asociacija, inciderà sicuramente in modo significativo nel panorama culturale non istituzionale, che è parte integrante dell’ecosistema culturale e artistico nazionale”.
“La mossa del governo”, denuncia Asociacija, “va intesa come una continuazione del processo di destabilizzazione del settore iniziato lo scorso anno, quando abbiamo assistito a tutto, dal tentativo di ricollocare le organizzazioni a Metelkova 6 alle azioni molto problematiche nei riguardi dei media” (Metelkova 6 era sede di una ventina di ong artistiche raggiunte lo scorso anno da un ordine di sfratto da parte del Ministero della Cultura, proprietario dei locali: le associazioni si sono opposte con forza e al momento la vicenda è ancora in corso, l’esito giungerà nei prossimi mesi). In Slovenia il problema è molto sentito perché il settore della cultura prodotta dal basso, e in particolare dalle ong, è in fortissima crescita, rappresenta uno dei vanti della cultura nazionale e a detta di Asociacija dovrebbe semmai essere sostenuto: il rischio, altrimenti, è quello di mettere a repentaglio l’attività di molte associazioni dilettantistiche (tra cui anche orchestre, cori, gruppi dedicati alle tradizioni popolari: gran parte di quest’attività in Slovenia viene condotta in maniera non professionistica). “Siamo consapevoli”, scrive Asociacija nel suo appello, “delle conseguenze che un simile atteggiamento nei confronti della cultura avrà quando importanti centri culturali del paese chiuderanno? Quando scompariranno le connessioni culturali riconosciute a livello internazionale? Quando non ci saranno più visitatori nazionali e stranieri?”.
Tra gli istituti più colpiti (e di conseguenza tra quelli più attivi nelle proteste) figura il Teatro Glej, uno dei più importanti del paese: il taglio ai fondi per la cultura delle organizzazioni non governative, riporta il quotidiano Mladina, mette in discussione l’esistenza stessa del teatro, uno dei pochi spazi per il teatro d’autore contemporaneo in Slovenia, istituto di vitale importanza anche per i giovani artisti, in attività ininterrotta dal 1970 (è il più antico teatro indipendente del paese). E adesso è costretto a chiedere aiuto al suo pubblico. “Sappiamo che non siamo gli unici a pagare il prezzo dei tagli per la produzione non governativa, poiché i finanziamenti non sono stati concessi a molti altri candidati di alta qualità”, ha dichiarato il Teatro in una nota. “E sappiamo che il peggio per il settore deve ancora venire. Il taglio ci ha poi colpiti ancora di più perché siamo già al secondo anno di lotta al coronavirus, a causa del quale abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo chiusi o con capacità drasticamente ridotte dal 2020. Nonostante le condizioni di lavoro impossibili, abbiamo completato entrambe le ultime stagioni per intero. Al Glej avevamo un programma pronto per i prossimi quattro anni e oltre, con alcuni degli artisti più premiati, riconosciuti e di alto profilo sulla scena internazionale. La nostra missione è sempre stata rischiosa, in quanto abbiamo dedicato spazio anche a chi non ha ancora fatto molta strada, a chi osa andare contro corrente e a chi rompe gli schemi precostituiti. E quel rischio ci ha ripagato più e più volte. Molti artisti che hanno debuttato al Glej oggi creano le storie teatrali delle più grandi case, appartengono al canone teatrale sloveno e raccolgono premi in patria e all’estero. Come nostro dovere storico, sentiamo di dover continuare a lasciare questo spazio aperto per creare nuove storie di questo tipo. Rischioso, ma necessario per lo sviluppo del teatro contemporaneo sloveno. Non saremmo stati in grado di fare tutto questo senza il sostegno della Città di Lubiana, che riconosce la nostra qualità e ci finanzia programmaticamente da decenni. Siamo inoltre supportati dalla Commissione Europea, dal Centro per la Creatività, dal Ministero della Pubblica Amministrazione, dal Fondo Pubblico per le Attività Culturali e dagli sponsor. Grazie per aver fiducia in noi. Tuttavia, il Ministero della Cultura è stato il nostro più grande finanziatore, il che ha creato una lacuna nei nostri piani che non possiamo colmare senza un aiuto. Abbiamo deciso di cercare di implementare il programma 2022 nel modo più completo possibile a scapito di una drastica riduzione dei costi di manodopera e del programma. Facciamo appello al nostro pubblico e ai nostri sostenitori affinché ci aiutino a superare il peggio attraverso una campagna di donazioni”.
Ancora, si è fatto sentire il Manska Institute, che dal 1993 è attivo nel settore della produzione di arte contemporanea, e ha scritto una lettera molto dura, dove si legge che “la maggior parte delle organizzazioni rifiutate ha una cosa in comune. L’ultima volta, quando il loro finanziamento è stato tagliato, quattro organizzazioni hanno intentato un’azione contro il Ministero della Cultura e il tribunale amministrativo ha stabilito che le loro domande fossero riesaminate. Dopo il riesame della commissione, altri due istituti (Maska ed Emanat) hanno ricevuto un cofinanziamento. Tutte le organizzazioni che hanno presentato ricorso all’epoca sono state respinte anche quest’anno. Il taglio dei fondi è diventato un mezzo di punizione e soppressione della parola e della creatività. Queste organizzazioni condividono un’altra caratteristica, vale a dire il loro impegno socio-politico contro le autorità al potere e le loro pratiche, che tendono ad essere audaci in termini di formato e contenuto e creano lo spazio per la sperimentazione e il confronto con l’ignoto. Si potrebbe dire che questo è un tentativo deliberato di distruggere un gruppo di organizzazioni che spingono i confini. È una mossa di una politica culturale ristretta e conservatrice, una politica di revanscismo”.
Ci sono poi i timori per la libertà di stampa: il presidente Janša, scrive la testata Euronews, è considerato il Trump europeo, dal momento che ha spesso istigato attacchi contro i giornalisti, chiamandoli “mentitori” e arrivando addirittura a dare platealmente della “prostituta” alle giornaliste Evgenija Carl e Mojca Setinc Pašek. Inoltre, importanti organi di stampa, come l’agenzia di stampa STA e la rete RTA Slovenija, l’ente pubblico radiotelevisivo del paese (in pratica, la RAI slovena) sono finite nel mirino del governo, oggetto di numerosi attacchi. A novembre 2021, i giornalisti della sezione televisiva di RTV Slovenija hanno anche protestato per la proposta del nuovo piano di produzione che, secondo i professionisti, danneggerebbe la missione della rete. “La proposta per il 2022”, ha dichiarato allora Igor Bergant, direttore generale di RTV Slovenija, “interferisce con le trasmissioni chiave, ne cancella alcune o le sostituisce con altre trasmissioni. Il piano è vago, ma non è chiaro come possa essere attuato con la migliore volontà [...]. Allo stesso tempo, le modifiche proposte non risolvono quello a cui si riferiscono i fautori del piano, il problema degli ascolti. L’informazione non è l’unica, ma è sicuramente una delle missioni chiave delle emittenti europee. Gli ascolti sono influenzati da vari fattori: qualità dei contenuti, frequenza di pubblicazione, tempo di pubblicazione, tradizione delle trasmissioni, promozione dei contenuti e, in definitiva, valutazioni delle trasmissioni precedenti. Sfortunatamente, la proposta di piano non offre soluzioni significative”.
Di recente, la rete Civicus, che da due decenni lavora in tutto il mondo per controllare lo status delle libertà fondamentali dei cittadini dei vari paesi, ha dedicato molta attenzione al caso della Slovenia, parlando apertamente di “tentativi di ridurre gli spazi della società civile con forti tagli ai fondi per le organizzazioni non governative della cultura e dell’ambiente”.
Immagine: veduta di Lubiana, capitale della Slovenia
Tagli alla cultura, in Slovenia si protesta contro il governo populista |