Rivoluzione in Sicilia, ecco la Carta di Catania: prestiti a pagamento per i beni nei depositi


Tutela o scempio? In Sicilia approvata la rivoluzionaria Carta di Catania, che concede i beni dei depositi dei musei dell’isola in prestito a pagamento.

Una vera rivoluzione scuote il mondo dei beni culturali in Sicilia: lo scorso 3 dicembre, infatti, l’assessore ai beni culturali e all’identità siciliana della Regione Siciliana, Alberto Samonà, ha firmato la cosiddetta Carta di Catania, un provvedimento che concede il prestito a pagamento dei beni nei depositi dei musei dell’isola, con gli inventari che saranno compilati non solo da esperti catalogatori ma anche da studenti universitari e volontari. Il provvedimento, ufficialmente il Decreto Assessoriale n. 74/GAB del 30 novembre 2020, decreta la concessione in uso, “per finalità di valorizzazione e di pubblica fruizione”, dei beni culturali “appartenenti al proprio Demanio e Patrimonio che si trovano in giacenza nei depositi regionali, affinché siano valorizzati attraverso l’esposizione in luoghi pubblici o privati aperti al pubblico che rispondano ai requisiti di legge”.

I beni che verranno concessi in prestito saranno quelli non esposti al pubblico e che sono stati acquisiti per confisca, oppure per donazione o per consegna spontanea, oppure ancora quelli “di più vecchia acquisizione di cui sia stata smarrita la documentazione e, in generale, quelli deprivati di ogni riferimento al loro contesto di appartenenza”. Gli istituti che possiedono i beni saranno tenuti a redigere gli elenchi di tali beni, “predisponendo lotti omogenei per caratteristiche storico-culturali o tipologiche”. La concessione dei beni, si legge all’articolo 6 della Carta, sarà “subordinata al pagamento di un corrispettivo che non potrà essere inferiore a un decimo del valore dei beni concessi, così come desunto dalle stime inventariali operate dal deposito regionale di origine”. Il pagamento potrà avvenire in denaro, ma anche in due ulteriori forme. La prima: “fornitura di beni e/o servizi destinati al patrimonio oggetto della concessione, o in favore di altri beni in giacenza nel medesimo deposito di provenienza, o in generale, a sostegno dei beni culturali del Demanio e Patrimonio della Regione Siciliana, quali, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, restauro, analisi archeometriche, catalogazione, pubblicazione e marketing”. La seconda: “fornitura di beni, servizi, infrastrutture o migliorie in favore del deposito di provenienza dei beni da concordarsi con l’Istituto concedente”.

I prestiti dei beni dei depositi potranno avere una durata compresa tra i due e i sette anni, tacitamente prorogabili una sola volta a parità di condizioni, salvo che il concessionario comunichi (con raccomandata o pec) entro i sei mesi antecedenti la scadenza la propria rinuncia al rinnovo. Alla scadenza del periodo di concessione, i beni torneranno nella disponibilità dell’istituto di origine. A garantire la sorveglianza sui beni affidati in prestito sarà la soprintendenza competente per il territorio, che avrà la facoltà di verificare in ogni momento l’effettiva applicazione delle disposizioni previste dal Codice dei Beni Culturali, dal bando che la Regione Siciliana emanerà per le concessioni, e dalla relativa convenzione. In caso di mancata applicazione della normativa di settore, scatterà la revoca della concessione.

Inoltre, lo scorso 10 dicembre, lo stesso Samonà ha firmato un altro decreto, il numero 78, contenente le linee guida per l’applicazione della Carta di Catania. Gli istituti che concederanno i beni dovranno produrre un documento tecnico (con le misure di sicurezza e conservazione dello spazio espositivo che accoglierà i beni oggetto della concessione) e un progetto di valorizzazione che dovrà prevedere ed esplicitare le forme in cui verrà fatta comunicazione esterna, i modi in cui si intende garantire la fruizione pubblica e possibilmente gratuita dei beni, le ricadute economiche in termini occupazionali e di sviluppo del progetto. Il documento descriverà inoltre il contenitore espositivo, le modalità di esposizione, le attività, saltuarie o periodiche, che si intendono collegare all’esposizione dei beni oggetto della procedura (per esempio, il calendario di apertura al pubblico, le attività didattiche, culturali e conviviali).

I concessionari indicheranno poi un conservatore tecnico scegliendolo tra archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori, collaboratori restauratori, esperti di diagnostica dei beni culturali in possesso di adeguata formazione ed esperienza. Ancora, il concessionario si impegnerà affinché la collocazione dei beni prestati sarà consona e rispettosa della valenza e della destinazione culturale dei beni. Ancora, prima delle operazioni di trasporto o durante il periodo di esposizione i beni saranno se necessario restaurati, sulla base delle indicazioni delle soprintendenze. Un altro punto importante riguarda l’inventariazione e la catalogazione dei beni conservati nei depositi: gli istituti della Regione Siciliana potranno avvalersi prioritariamente degli esperti catalogatori, oppure con l’ausilio di studenti universitari in discipline connesse alla conservazione dei beni culturali che operino in regime di tirocinio formativo, oppure di volontari delle associazioni culturali forniti di adeguati titoli.

“Un intervento rivoluzionario”, ha dichiarato Alberto Samonà, “grazie al quale migliaia di beni culturali, spesso non inventariati e conservati nei depositi dei musei e degli altri luoghi della cultura regionali, potranno essere finalmente esposti e fruiti da tutti. Il decreto, denominato ‘Carta di Catania’ grazie all’attività encomiabile della Soprintendente Rosalba Panvini che ne ha curato la redazione, onora l’impegno assunto insieme al Presidente Musumeci di consentire una maggiore valorizzazione del cospicuo patrimonio regionale. La Carta di Catania offrirà, altresì, nuove opportunità ai giovani professionisti che saranno chiamati a lavorare da esterni a fianco dell’amministrazione e dei privati per rendere possibile l’attuazione dei progetti di concessione in uso dei beni richiesti”.

“Ringrazio il Presidente della Regione e l’Assessore Samonà”, afferma dice Rosalba Panvini, Soprintendente di Catania nonché “mente” dietro la Carta, “che hanno prontamente raccolto la proposta scaturita da un convegno tenutosi nello scorso mese di febbraio e dato luogo alle attività per pervenire alla Carta di Catania. Il documento, che sancisce un’importante svolta nella gestione del patrimonio regionale, è frutto di una proficua collaborazione tra la Soprintendenza di Catania, e in particolare Fabrizio Nicoletti del nucleo degli archeologi, l’avvocato Nunzio Condorelli Caff e il dottor Mario Bevacqua, presidente internazionale dell’UFTA. Un lavoro di squadra che ha portato in brevissimo tempo ad un’importante innovazione nella complessiva gestione e valorizzazione dei beni culturali cosiddetti minori”.

Ma ci sono anche forti voci critiche, come quella di Salvatore Settis, che oggi sul Fatto Quotidiano parla di “scempio” e di “colpo basso alle buone pratiche della tutela”. “La cosiddetta Carta di Catania”, scrive Settis, ”incide sul patrimonio culturale della più grande Regione d’Italia (e una delle più ricche di beni culturali). Ma è ancor più pericolosa, perché vien diffusa come potesse servire da modello. Qualche precisazione è dunque necessaria. Prima di tutto, l’articolo 6 del Codice dei Beni culturali definisce la valorizzazione come intesa non a far cassa, ma a ‘promuovere la conoscenza del patrimonio culturale al fine di promuovere lo sviluppo della cultura’. Quanto ai depositi dei musei, la norma siciliana è vittima del pregiudizio, diffuso ma non per questo meno fallace, che i materiali in deposito siano condannati in perpetuo all’oscurità, coperti di polvere, trascurati dagli addetti ai lavori e ignorati dai cittadini. [...] Non meno irresponsabile è l’idea di affidare a studenti tirocinanti un compito come la scelta dei materiali da ‘affittare’. Reclutare manodopera non pagata risponde alla stessa ratio alla base della cosiddetta alternanza scuola-lavoro, generalmente fallimentare. Comporta il disprezzo per la competenza, anzi implica che per valutare quel che è nei depositi si possa fare a meno di un occhio esercitato, quale non può avere uno studente universitario alle prime armi”. Insomma, per Settis si tratta di un decreto “scritto in fretta e male” e che “verrà, speriamo, contestato nella stessa Sicilia a causa della sua genericità che lo rende inapplicabile. Ma il governo nazionale non potrebbe battere un colpo?”.

Nella foto: Selinunte

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