Sarà Vittorio Sgarbi a far riaprire i musei chiusi dal dpcm del 3 novembre? Sta procedendo l’iter giudiziario del ricorso che lo storico dell’arte ha depositato, in qualità di sindaco di Sutri, al Tar del Lazio, e col quale Sgarbi, rappresentato dall’avvocato Carlo Rienzi, ha chiesto di sospendere il dpcm che ha imposto la chiusura dei luoghi della cultura in tutta Italia al fine di contenere il contagio da Covid-19.
Su quali elementi si basa il ricorso presentato il 3 novembre? In primo luogo, si legge nel testo, la “violazione e falsa applicazione del decreto-legge 20 settembre 2015 n. 146 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2015 n. 182”, ovvero il decreto che ha reso i musei servizi pubblici essenziali, ndr: “se con la legge 20 settembre 2015 n. 146 si è cercato di risolvere la questione del diritto di sciopero nei musei e negli altri luoghi della cultura pubblici”, si legge nel ricorso, “la portata della disposizione è ben più ampia, in quanto tende a valorizzare ulteriormente il patrimonio culturale come un bene che deve essere fruito, affinché possa svolgere la sua funzione che è quella di trasmettere testimonianze di civiltà e favorire lo sviluppo della cultura. Né più né meno delle scuoe e università di ogni ordine e grado. Si giustifica quindi la definizione di un sistema di garanzie di prestazioni minime, che debbono essere assicurate anche in presenza di conflitti sindacali”. Il servizio pubblico essenziale, si sostiene nel ricorso, “è quello di cui la collettività non può in nessun caso fare a meno” (il riferimento è a un pronunciamento della Corte Costituzionale, il 31 del 1969). Ci sono dei casi in cui la legge prevede la sospensione dei servizi pubblici essenziali, ma secondo l’avvocato Rienzi non sarebbe questo il caso, dal momento che, “nell’attuale contesto storico caratterizzato dal coronavirus”, si legge nel ricorso, “può e deve essere regolamentato, ma mai sospeso. In alternativa, lo stesso avrebbe dovuto essere regolamentato in base alla suddivisione delle aree (rossa, arancione e gialla), assegnata in relazione al grado di rischio al quale i cittadini sono esposti. Di conseguenza, il Decreto in parola, avrebbe dovuto differenziare le modalità di fruizione del servizio, in base al colore assegnato a ciascuna regione”.
Tra l’altro, prosegue il ricorso, “fra i servizi pubblici essenziali, la gestione dei musei e dei luoghi di cultura appare essere anche quello meno complicato, considerato che il servizio può essere assicurato con fruizione contingentata, limitata nel numero delle persone tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, con prenotazione, senza assembramenti e senza alcun rischio di contagio, con il rispetto della distanza di sicurezza e dell’utilizzo della mascherina, come meglio si vedrà nel successivo motivo di diritto”. Si contesta poi il fatto che il dpcm preveda le chiusure in maniera indiscriminata, cioè “senza distinzione delle grandezze, importanza culturale e possibilità di rispetto delle misure di sicurezza e nemmeno a seconda del colore delle regioni”, nonostante il Comitato Tecnico Scientifico per l’emergenza coronavirus abbia stabilito delle chiare indicazioni per la riapertura dei musei e dei luoghi della cultura a cui tutti si sono attenuti (vengono fatti gli esempi degli Uffizi, della Pinacoteca di Brera, dei Musei Reali di Torino, dei Musei di Sutri). Il ricorso rileva poi la “disparità di trattamento” nei confronti degli spettacoli televisi, che non sono stati sospesi ma “i cui spazi degli studi in cui si svolgono sono notoriamente inferiori rispetto a quelli garantiti nei musei e in cui i visitatori, ai fini dell’accesso, vengono suddivisi in piccoli gruppi, per fasce orarie, previa prenotazione”. Infine, il ricorso fa riferimento anche all’apertura delle classi iniziali delle scuole (“pur essendo rischiosissime per i contagi”), al fatto che “restano possibili assembramenti nei mezzi pubblici al 50% della capienza”, all’apertura dei parrucchieri.
Il Tar si era pronunciato rinviando al 2 dicembre la decisione sul ricorso. Tuttavia, il Codacons ha presentato un’istanza formale di audizione alla sezione I del Tar del Lazio chiedendo al tribunale amministrativo di sentire Sgarbi nell’ambito del ricorso.
Nell’istanza di audizione si legge che la questione della chiusura dei luoghi della cultura è di “particolare importanza” e di “estrema delicatezza”: la serrata, infatti, “incide sulla cultura, la quale, specie al tempo del coronavirus e dinanzi alle fragilità provocate dalla pandemia, può offrire spazio alla resilienza, dunque alla capacità di fronteggiare le avversità, trovando nuovi slanci, nuove ispirazioni, nuove energie fisiche, mentali e spirituali, non per niente considerata come servizio essenziale. Tra l’altro (è bene evidenziare) mentre i musei rimangono irragionevolmente chiusi, pur essendo luoghi in cui, più di ogni altro possono essere rispettate tutte le precauzioni necessarie, sono aperte librerie, gallerie d’arte, esercizi commerciali e grandi centri di vendita [...] ragion per cui si vuole assicurare la completezza dell’istruttoria, prima dell’adozione del provvedimento cautelare, consentendo all’On. Vittorio Sgarbi, sia come parte ricorrente sia come esperto, di rappresentare elementi e dati rilevanti ai fini della decisione”.
Il Tar potrebbe dunque decidere di ascoltare Sgarbi prima della data fissata per il pronunciamento: ad ogni modo prima della scadenza del dpcm del 3 novembre (che avrà effetto fino al 3 dicembre) sapremo se sarà la giustizia amministrativa a far riaprire i musei.
Sgarbi potrebbe far riaprire i musei? Ecco quando il Tar del Lazio si pronuncerà |